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Better Call Saul – It’s all good, man.

Si è conclusa l’ultima stagione di Better Call Saul, la serie AMC (in Italia distribuita da Netflix) che racconta la nascita del personaggio di Saul Goodman, l’eccentrico avvocato che appare dalla terza stagione di Breaking Bad.

Si tratta quindi di uno spin-off, del migliore spin-off degli ultimi dieci anni (come minimo) e una delle migliori serie della storia della televisione, oltre che, per certi versi, anche più matura della serie madre. Se non sapete come approcciarvi alla serie, continuate a leggere. Se volete la recensione completa, passate direttamente alla parte spoiler.

Di cosa parla Better Call Saul?

Jimmy McGill è un ottimo avvocato, che però ha cominciato dal niente e deve occuparsi solo dei peggiori casi al tribunale pubblico. Ma lui ambisce molto di più, anche andandosi ad invischiare in giri poco puliti…

Vi lascio il trailer della prima stagione per farvi un’idea:

Si può guardare Better Call Saul senza aver visto Breaking Bad?

Bob Odenkirk e Bryan Cranson in una scena di Breaking Bad, serie tv AMC in Italia distribuita da Netflix

In linea teorica, essendo un prequel, si potrebbe fare. Tuttavia avrebbe lo stesso senso di vedere la Trilogia Prequel di Star Wars prima della Trilogia Originale: nessuno.

Better Call Saul è una serie concepita proprio per chiudere il cerchio su alcune questioni di Breaking Bad, quindi vive in funzione di essa. Vederla senza avere in mente il punto di arrivo toglie tutto il fascino.

Quindi, anche se è un percorso lungo, cominciate da Breaking Bad e approcciatevi secondo i giusti tempi alla visione di Better Call Saul.

Vi assicuro che non ve ne pentirete.

Vale la pena di vedere Better Call Saul?

Bob Odenkirk in una scena di Better Call Saul, serie tv AMC in Italia distribuita da Netflix

Better Call Saul è una serie imperdibile per diversi motivi: anzitutto, è una narrazione complessivamente organica, pur con qualche deviazione dal percorso principale. Guardando Better Call Saul infatti si vede l’evoluzione perfettamente bilanciata di tutti i personaggi in scena.

Oltre a questo, i personaggi sono incredibili per più ragioni, anzitutto perché sono drammaticamente grigi: non ci sono spiccatamente positivi o spiccatamente negativi, ma figure multiformi, tormentate da drammi e tensioni che si evolvono perfettamente nel tempo.

Infine, come se tutto questo non bastasse, la regia e la scrittura sono ad un livello superbo. Una delle migliori serie mai prodotte, per l’appunto.

Il dramma di Saul in Better Call Saul

La figura di Saul si articola in diverse personalità e alter-ego che raccontano i diversi momenti della sua vita, ma tutte con elementi comuni.

Slipping Jimmy

Bob Odenkirk e Michael McKean in una scena di Better Call Saul, serie tv AMC in Italia distribuita da Netflix

La prima forma di Saul è Slippin Jimmy, un ragazzo che, fin da giovanissimo, era attirato verso le truffe e l’inganno del prossimo. In particolare il tutto si traduce in piccole e abbastanza patetiche truffe di strada con il suo amico Marco.

La fine di Slippin Jimmy è segnata da Chuck, che porta il fratello, dopo tanti anni che si era allontanato dalla famiglia, fuori di galera. Il tutto a patto che abbandoni quelle vesti e che metta la testa a posto.

Questo è il primo passo verso la transizione verso Jimmy McGill.

La chiusura definitiva avviene però solo più avanti, quando Jimmy torna per qualche tempo a fare truffe con Marco, fino alla morte dello stesso.

Jimmy McGill

Bob Odenkirk in una scena di Better Call Saul, serie tv AMC in Italia distribuita da Netflix

Il concetto intorno a cui gira un po’ tutta la narrazione è di come Jimmy sia fin dall’inizio portato verso fare le cose in grande. Inizialmente era solo un innocuo impiegato nell’azienda del fratello, che si occupava della posta.

In questa fase conosce Kim, al tempo già considerata come una brillante promessa per la HHM, e che è in parte l’artefice del suo cambiamento. L’inizio di tutto avviene infatti in un giorno qualsiasi, quando Jimmy si sente inadeguato davanti a Kim e Chuck che parlano di un caso.

E così decide di avvicinarsi alla professione di avvocato, tenendolo però nascosto a tutti.

Jimmy McGill

Dopo essere riuscito a raggiungere il suo obiettivo, ma senza essere accolto dentro alla HHM come sperava, comincia da zero presso il tribunale pubblico.

Jimmy incarna in questo senso veramente il sogno americano: un uomo lasciato a sé stesso, che nessuno aiuta e che, se non fosse così caparbio e pronto tutto, non arriverebbe da nessuna parte.

La figura di Jimmy McGill è la parte onesta di Saul: sicuramente non lavora sempre in favore della verità e della giustizia, ma nel complesso è portato verso la via più onesta e giusta.

Tuttavia, alla prova dei fatti, Jimmy non può essere veramente quella persona (almeno fino alla fine).

In questo senso è emblematico, all’inizio della seconda stagione, l’assunzione per Davis & Main: fin da subito Jimmy capisce che quel posto è perfetto, ma non adatto a lui.

E lo capisce per un evento banale, ma piuttosto eloquente, quando non riesce a trovare un posto per il thermos regalatogli da Kim nella nuova macchina aziendale, tanto da arrivare a rompere il vano per farcela stare.

E, lentamente, capisce che questa vita non è quella che più gli si addice.

Saul Goodman

Bob Odenkirk in una scena di Better Call Saul, serie tv AMC in Italia distribuita da Netflix

Saul Goodman è l’alter ego più importante di Jimmy, sempre presente e sotterraneo, pronto ad emergere.

Lo vediamo già quando promuove con degli spot televisivi il suo servizio di legge per gli anziani, nel suo modo di trattare i clienti, e, infine, quando deve scegliersi un nome per vendere gli spazi pubblicitari nella terza stagione.

It’s all good man.

Saul è una figura vincente, potente e infallibile, che non si ferma davanti a nulla.

Passo passo

Bob Odenkirk in una scena di Better Call Saul, serie tv AMC in Italia distribuita da Netflix

Il passaggio verso Saul è definito da più momenti emblematici, cominciando da quando, nella quarta stagione, dopo aver perso la carica di avvocato, passa un anno a lavorare in un negozio di cellulari.

E da subito trova un modo per sfruttare la situazione, creando questa realtà fittizia in cui ci ascoltano e in cui un cellulare usa e getta e non tracciabile, ovvero il suo prodotto, è assolutamente indispensabile.

La situazione è perfettamente definita quando Jimmy recupera la carica di avvocato, e decide di operare sotto un altro nome: Saul Goodman.

E si presenta subito ai clienti peggiori nel migliore dei modi: in una fiera di paese facendo un’offerta sui telefoni e offrendo sconti come un qualunque commerciante da strapazzo.

Ma questo è solo un avvocatucolo che aiuta i disperati, mentre per diventare davvero Saul Goodman e lavorare con i peggiori criminali bisogna aspettare la quinta stagione, quando Lalo gli chiede di intervenire per difendere Krazy8.

Il passo successivo non può essere che diventare avvocato di Lalo, il suo mulo, attraversare il deserto ed essere coinvolto in una sparatoria. Ma alla fine accettando tutto: il caldo, bere la propria urina, il viaggio sfiancante.

Il momento definitivo per Saul Goodman è l’abbandono di Kim: come dopo la morte di Chuck, Jimmy non ha più nessun motivo per essere Jimmy McGill.

Gene

Bob Odenkirk in una scena di Better Call Saul, serie tv AMC in Italia distribuita da Netflix

Saul è un personaggio eccessivo, quasi autodistruttivo.

E infatti, anche se non del tutto per colpa sua, Jimmy è costretto, alla fine di Breaking Bad, ad abbandonare le vesti di Saul. E allora diventa un mediocre commesso ad un negozio di Cinnamon Rolls in un centro commerciale, sotto al nome di Gene Taković.

La regia delle puntate del presente è davvero singolare: scene del tutto sui toni del bianco e nero, con musica malinconica, con cui solitamente si ambienterebbe una scena del passato.

Un forte contrasto con la fotografia generale della serie, che invece ha colori molto pieni. Quindi il presente è la realtà svuotata e senza significato, mentre il passato, nonostante tutte le vicissitudini anche terribili, era quello che valeva la pena vivere.

Il personaggio di Gene ci viene veramente rivelato nell’ultima stagione, quando si trova costretto ad architettare il furto al centro commerciale. Una macchinazione lunga e complessa, degna di Saul, che ha successo solo per la sua grande capacità di immedesimarsi in un personaggio.

E di raccontare, alla fine, la sua storia.

E da lì, ricomincia in parte ad essere di nuovo Saul.

Il rapporto con Chuck in Better Call Saul

Dipendenza

Il personaggio di Jimmy è fin da subito raccontato anche attraverso il suo rapporto con Chuck, il fratello che si crede malato e che Jimmy sa benissimo che non lo è.

Inizialmente, dopo essersi legato con il fratello la promessa di prendere una strada migliore per la sua vita, è incredibilmente timoroso nel deluderlo, nonostante Chuck dimostri più volte di non saper riconoscere le capacità del fratello.

Così, ad esempio, nella prima stagione, quando diventa per caso un eroe locale, lo nasconde consapevolmente a Chuck, per paura che il fratello possa pensare che di nuovo voglia mettersi in affari poco puliti.

E il suo desiderio di farsi riconoscere da Chuck ha radici molto lontane.

Dopo la parentesi disastrosa di Slippin Jimmy, Jimmy si rimette in piedi, lavora sodo e acquisisce il titolo di avvocato. Tuttavia questo non gli viene veramente riconosciuto né da Chuck né dalla HHM.

Si nota molto bene nella scena della prima stagione, quando Jimmy gli annuncia la sua carica di avvocato appena acquisita: Chuck gli rivolge dei sorrisi poco sinceri e stentati, e non lo sostiene davvero come dovrebbe.

Il primo momento di rottura arriva sempre durante il primo ciclo di episodi, quando Chuck ammette chiaramente e candidamente che il fratello non è un vero avvocato, e che la sua formazione non vale nulla.

Conflitto

Bob Odenkirk in una scena di Better Call Saul, serie tv AMC in Italia distribuita da Netflix

Il conflitto si accentua ancora di più con la nuova assunzione di Jimmy per Davis & Main nella seconda stagione.

Tuttavia fin da subito si conferma la bellezza del personaggio di Chuck: non banalmente cattivo, ma incredibilmente tridimensionale, che dal suo punto di vista ha tutte le buone ragioni del modo.

Per tutta la serie Chuck considera Jimmy ancora come Slippin Jimmy, non riesce a superare questa figura. Uno dei momenti più evidenti è l’incontro di Jimmy con Rebecca, la moglie di Chuck.

In quell’occasione il fratello si preoccupa in maniera anche piuttosto antipatica che Jimmy possa essere fastidioso per Rebecca, e, quando invece si rivela una piacevole compagnia, si dimostra infastidito.

Altro momento chiave che racconta le origini del conflitto è il racconto di Chuck a Kim riguardo al padre: un uomo specchiato, che aveva messo tutto sé stesso nel suo piccolo negozio, che si era visto costretto a chiudere per i ripetuti furtarelli di Jimmy.

E, come racconta Chuck, il padre non ci voleva credere, ed era morto poco dopo, con grandissimo dispiacere di Jimmy.

Quindi Jimmy per lui non è una persona cattiva, ma non può evitare di fare cose sbagliate e danneggiare gli altri. E sono sempre gli altri a rimetterci. Oltre a questo, Chuck non può sopportare che Jimmy sia sempre perdonato da tutti.

Questo antagonismo, neanche troppo sotterraneo, sfocia nella vendetta.

Vendetta

Bob Odenkirk e Michael McKean in una scena di Better Call Saul, serie tv AMC in Italia distribuita da Netflix

La spirale distruttiva del loro rapporto nasce dalla follia di Jimmy di far credere a Mesa Verde che Chuck sia stato incapace di redigere i giusti documenti, facendo un banalissimo errore di inversione di due cifre dell’indirizzo della sede.

Questo piano fa uscire di testa Chuck, che fa di tutto per dimostrare la sua innocenza, arrivando a registrare la confessione di Jimmy.

E questo, apparentemente per dare una lezione al fratello, in realtà volendo ossessivamente dimostrarne l’inferiorità. Questo porta alla denuncia con cui Jimmy rischia di perdere il ruolo di avvocato e al terribile processo in cui Jimmy umilia e rivela come in realtà Chuck non sia veramente malato, almeno non di quello che racconta.

Da qui Jimmy, pur avendo una rivincita temporanea, non riesce a rimettersi in piedi e per questo si prende la rivincita decisiva: finge di dispiacersi per il fratello davanti all’impiegata attonita dell’assicurazione, svelando la situazione mentale del fratello e i grossi errori che sta facendo, cosa che la HHM aveva cercato di nascondere.

In questo momento Chuck sembra sicuro di sé stesso, ma in realtà è solamente apparenza.

Basta infatti arrivare al punto di chiudere con Howard, danneggiarlo economicamente con l’assicurazione, minacciare di denunciarlo e, infine di non accettare il tentativo di ricongiungimento con Jimmy, anzi sminuire del tutto il loro rapporto.

E, infine, perdere totalmente il controllo e togliersi la vita.

Rinascita?

Bob Odenkirk in una scena di Better Call Saul, serie tv AMC in Italia distribuita da Netflix

Dopo la sua morte, Jimmy resta in quasi completo silenzio per un’intera puntata.

Sa in cuor suo che il motivo per cui Chuck ha perso infine la testa è colpa sua. Ma, appena Howard racconta i suoi sensi di colpa, invece che ammettere quello che ha fatto, si sente immediatamente liberato dalle sue colpe. E torna alla vita.

La freddezza di Jimmy nei confronti del fratello si vede soprattutto quando legge con grande serenità la lettera di addio di Chuck, mentre Kim si commuove.

Ma l’ombra di Chuck lo perseguita: quando dovrebbe riconquistare il ruolo di avvocato, fa un discorso veramente bello e sentito alla commissione. Tuttavia non nomina Chuck e, per questo, viene considerato poco sincero.

Allora Jimmy, pur di riconquistare il suo ruolo, sfrutta la commozione che tante bugie ben piazzare posso creare e rende protagonista Chuck del suo monologo. E infine riesce a tornare avvocato, ma in realtà diventa di più: si registra come Saul Goodman.

Finalmente si è liberato di Chuck.

It’s all good man!

Il rapporto con Kim in Better Call Saul

L’influenza (positiva) di Kim

Bob Odenkirk e Rhea Seehorn in una scena di Better Call Saul, serie tv AMC in Italia distribuita da Netflix

Il personaggio di Kim è la controparte morale di Jimmy, il punto di riferimento positivo che riporta il personaggio sui suoi passi e verso le migliori decisioni.

La relazione con Kim si forma molto lentamente: si capisce fin da subito che i due hanno una relazione sessuale, ma poco altro. Sicuramente erano grandi amici da tempo, come si vede con i flashback di quando lavoravano insieme alla HHM.

Per tutto il tempo Kim è consapevole del personaggio di Jimmy e, non a caso, all’inizio della seconda stagione, cerca di mettere un paletto alla loro relazione: niente più attività illegali.

Tuttavia fin da subito Jimmy, per tutta la questione di Sandpiper e la class action, si dimostra ben poco trasparente, andando incontro ad azioni che potrebbero costargli il titolo di avvocato. E, continuamente, Kim va in suo soccorso, salvandolo da ogni problema.

Definirsi tramite Kim

Così Jimmy scegliere di rinunciare anche a guadagni facili e sicuri per aiutare Kim: così rinuncia ad aiutare i Kettleman nelle loro azioni legali per fare in modo che Kim ne risulti vincente, dopo che aveva quasi perso la faccia per questo cliente.

Così aiuta Kim nella pazzia che porterà al processo contro Chuck, facendo credere che il fratello abbia fatto un errore banalissimo come sbagliare l’indirizzo della sede, di nuovo per mettere in buona luce Kim.

La trasformazione verso Saul è definita tanto più Jimmy si allontana da Kim e le nasconde le sue azioni. In particolare nella terza stagione quando Jimmy porta avanti la sua attività poco trasparenti vendendo cellulari usa e getta, i due sembrano vivere due vite separate.

Addirittura Kim, per evitare di dover tornare sui suoi passi e lavorare con Jimmy, si rivolge a Schwaikart per coprire Mesa Verde e lo spaccia come se glielo avessero offerto loro.

La parte oscura di Kim

Rhea Seehorn in una scena di Better Call Saul, serie tv AMC in Italia distribuita da Netflix

Il personaggio di Kim è peggiorato da Jimmy, e lei stessa si lascia trascinare nelle truffe e nei loro inganni.

Queste scappatelle sembrano l’unico momento di eccitazione per Kim, nonostante rappresentino la sua parte più negativa, da cui sembra sempre cercare di distaccarsi. Ma, come ammette lei stessa nell’ultima stagione, era troppo divertente.

Questa situazione inizialmente è anche innocua, limitata a piccole truffe con avventori dei bar, come puro divertimento senza conseguenze. Ma la situazione diventa incontrollabile con il piano per screditare Howard, che è Kim stessa a suggerire alla fine della quinta stagione.

Il piano è folle, arzigogolato, ma progettato e portato avanti con grande intensità da Kim stessa, che addirittura rinuncia ad un importantissimo appuntamento lavorativo per poter portare a termine efficacemente il piano, diventato quasi un’ossessione.

Quando Kim si distacca da questa parte più oscura di sé stessa, si rende conto che tutto è fuori controllo. Così, quando cerca di far quadrare la relazione e sposare Jimmy, con un tentativo disperato di far quadrare la situazione.

Infatti, appena Jimmy comincia a dirle la verità e lei prova ad opporsi, si rende conto di non avere comunque nessun potere su di lui e sulle sue scelte.

Dopo Kim

Bob Odenkirk in una scena di Better Call Saul, serie tv AMC in Italia distribuita da Netflix

L’abbandono di Kim è l’ultimo momento del passaggio a Saul Goodman.

Un’ellissi temporale improvvisa, ma forse dovuta, che ci lascia senza parole. E vediamo Saul che è davvero Saul, in una casa incredibilmente cheap, un atteggiamento e una presenza scenica che lo rende quasi una macchietta di un truffatore di terza categoria.

Ed è praticamente quello che abbiamo visto in Breakin Bad.

Solo che ora sappiamo tutto il dramma che c’è dietro. Ed è ancora più devastante per l’atteggiamento davvero meschino che Saul ha nei confronti di Kim: sia nella scena dove firmano le carte del divorzio, sia quando la chiama nel presente e comincia ad attaccarla verbalmente.

Jimmy, senza Kim, è un uomo totalmente perso.

Il personaggio di Kim

Farsi da soli (per bene)

Rhea Seehorn in una scena di Better Call Saul, serie tv AMC in Italia distribuita da Netflix

Come Jimmy, anche Kim è una donna che si è fatta da sola.

Da anni sotto l’egida della HHM, deve pagare con i soldi e con il tempo la sua possibilità di fare carriera. Non a caso nei flashback la si vede lavorare nel seminterrato e insieme a Jimmy.

Infatti negli Stati Uniti la cosiddetta law school è frequentabile solo dopo l’università, già di per sé molto costosa. E per questo ci si fa aiutare da firme importanti per la parte di studio con l’idea di poter poi fare carriera.

Il primo momento importante avviene alla fine della seconda stagione, quando Kim riesce finalmente a mettersi in proprio con Jimmy, prendendosi sulle spalle tutto il peso del caso di Mesa Verde.

Un peso abbastanza terribile, ancora più appesantito dalle azioni di Jimmy: per quanto il trucco folle dello scambio di numeri nell’indirizzo di Mesa Verde le permetta di ottenere il cliente, proprio per questo Kim diviene ossessionata per la minima virgola.

Kim è apparentemente inarrestabile e raggiunge il suo apice quando sceglie di accettare un altro cliente oltre a Mesa Verde, in realtà solo per dimostrare ad Howard, oltre che a sé stessa, di saper fare tutto.

Da qui si innesca un climax delirante, che raggiunge l’apice con l’improvviso e inaspettato incidente d’auto.

Trovare la propria strada

Rhea Seehorn in una scena di Better Call Saul, serie tv AMC in Italia distribuita da Netflix

Il momento successivo con cui Kim cerca di essere felice è quando decide di dedicarsi alle cause pro bono.

Col tempo il lavoro per la banca diventa sempre più un obbligo che un piacere, tanto che Kim, pur di salvare l’uomo che Mesa Verde cerca di sfrattare dalla sua casa, va contro il suo cliente e complotta con Jimmy per mettergli i bastoni fra le ruote.

Il momento finale è il distacco definitivo da Mesa Verde, per dedicarsi definitivamente alle cause pro bono. Questa situazione di apparente felicità è totalmente guastata dal suo cercare di stare dietro a Jimmy e alle sue pazzie, con il climax, appunto, rappresentato dal piano ai danni di Howard.

E il punto più basso è proprio al funerale della loro vittima: se guardate il dialogo fra lei e la vedova di Howard, noterete il gesto che fa Kim con la mano prima di inventare la peggiore calunnia che poteva inventarsi: è il gesto tipico di Saul Goodman.

A quel punto Kim capisce di aver davvero dato il peggio di sé, e finalmente parla a cuore aperto.

E scappa.

Reinventarsi

Rhea Seehorn in una scena di Better Call Saul, serie tv AMC in Italia distribuita da Netflix

La conclusione della storia di Kim è complessivamente positiva e di fatto analoga al percorso che abbiamo visto nel resto della stagione.

Kim deve distaccarsi dalla sua vecchia vita, è obbligata ad un lavoro ed a delle frequentazioni che in maniera evidente non sono alla sua altezza e non la soddisfano.

Cerca parzialmente di riabilitarsi portando la sua confessione riguardo alla vicenda di Howard alla polizia. Ma in realtà questa stessa si rivela fondamentalmente inutile, perché probabilmente non porterà ad una vera punizione.

E trova infine una realizzazione proprio in pro-bono, ma in forma diversa: un’associazione per aiutare le donne vittime di violenza, una buonissima causa dove può finalmente ritrovare sé stessa, pur dopo aver perso tutto.

Il personaggio di Mike in Better Call Saul

Gli inizi

Johnathan Banks in una scena di Better Call Saul, serie tv AMC in Italia distribuita da Netflix

Mike inizialmente appare come il tenace e silenzioso operaio del parcheggio, ma noi da Breaking Bad sappiamo di che personaggio si tratta.

Cominciano a vedere la sua storia solamente a metà della prima stagione: in un commissariato totalmente corrotto, il figlio Matt non volevo farsi coinvolgere nel giro di mazzette e viene, per questo, ucciso.

E la storia di Mike inizia proprio con la sua vendetta per il figlio compianto.

La sua vita criminale vera e propria nasce più per bisogno che per volontà: come potrebbe godersi la pensione, Mike decide invece di aiutare economicamente la famiglia che gli è rimasta, anche se questo significa andarsi a cacciare nuovamente in attività al limite della legalità.

Tuttavia una cosa non può sopportare: uccidere qualcuno, arrivare a quel livello. E infatti nella seconda stagione preferisce fare picchiare a sangue da Tuco piuttosto che ucciderlo.

Una morale di ferro

Johnathan Banks e Giancarlo Esposito in una scena di Better Call Saul, serie tv AMC in Italia distribuita da Netflix

Solo nella terza stagione Mike viene per la prima volta a contatto con Gus, proprio per la questione di Hector, e diventa direttamente suo dipendente. Questo suo nuovo rapporto, ben più pericoloso che fare il bodyguard per scambi commerciali poco puliti, dovrebbe mettere in discussione la sua moralità.

Ma Mike è un uomo di ghiaccio, indurito dalla vita, che non ha paura di niente, neanche di mettersi contro Gus. Il momento decisivo è la quinta stagione, quando Mike si trova a gestire le teste calde degli operai che dovrebbero costruire il futuro laboratorio di Gus.

Mentre il problema sembrano i ragazzi più giovani che Mike tratta col pugno di ferro, in realtà la mina vagante è Wilmer, il caposquadra. Lo stesso scappa per andare a trovare la moglie, sicuro di poterla passare liscia.

Ma, nonostante Mike cerchi di salvarlo in tutti i modi, non può salvarlo dal giudizio di Gus.

E ed è costretto, contro ogni suo principio, a ucciderlo a sangue freddo.

Howard in Better Call Saul

Un villain…

Patrick Fabian in una scena di Better Call Saul, serie tv AMC in Italia distribuita da Netflix

Howard non è propriamente un villain di Better Call Saul, ma è certamente un antagonista importante per la maggior parte della serie.

Possiamo dire quasi che è un antagonista nella mente di Jimmy, che lo vede come tale e cerca di mettersi in opposizione con lui, prendendo sulle spalle la vendetta insoluta verso il fratello.

Più avanti nella prima stagione scopriamo che l’odio di Jimmy per Howard ha radici più profonde: era stato Howard a dirgli, con assoluta freddezza e mancanza di tatto, che non l’avrebbero assunto per la HHM, nonostante avesse conseguito il titolo di avvocato.

Tuttavia poi veniamo a scoprire che Howard per due volte ha negato il ruolo a Jimmy, ma non per sua volontà, ma su richiesta di Chuck.

E così il personaggio ha una profondità decisamente diversa.

…o la vittima?

Patrick Fabian in una scena di Better Call Saul, serie tv AMC in Italia distribuita da Netflix

In generale, Howard rimane un personaggio di difficile lettura.

Come sembra spietato ed eccessivamente severo per come tratta più volte Kim nelle prime stagioni, così è lui stesso le rivela che era più severo con lei perché pensava dovesse spingerla a dare il meglio di sé.

Una sorta di antagonista che non sa di essere un antagonista.

E infatti dimostra tutte le sue buone intenzioni quando, con grande ingenuità, offre a Jimmy di tornare da HHM come avvocato. Invece Jimmy lo disprezza, cerca di metterlo in difficoltà, di punirlo, a parole per aver ucciso il fratello, nella realtà come capro espiatorio per la sua frustrazione verso Chuck e la HHM.

E alla fine lo uccide veramente.

L’ascesa di Gus in Better call saul

L’ossessione per Hector

Mark Margolis in una scena di Better Call Saul, serie tv AMC in Italia distribuita da Netflix

Better Call Saul si propone anche di raccontare l’ascesa di Gus come magnate della droga e come lo vediamo in Breaking Bad. In realtà Gus non lo vediamo di fatto molto diverso o con una vera evoluzione: appare da subito come freddo e calcolatore.

Il primo approccio al personaggio è nella seconda stagione, con il personaggio di Mike: Gus lo incoraggia a danneggiare la catena operativa del suo avversario, ma non vuole che lo uccida.

Solo Gus può uccidere Hector (e viceversa).

E infatti Gus è ossessionato da Hector, tanto che, quando questo è in coma, solo lui vuole decidere come intervenire sulla sua sorte. E, quando vede che effettivamente Hector è ancora sé stesso, solo paralizzato, decide che può essere lasciato così, senza provare a migliorare ulteriormente.

Ma di fatto noi sappiamo che Gus sta sottovalutando Hector, che si rivelerà una minaccia ben maggiore successivamente.

La vera malvagità: Nacho

Michael Mando in una scena di Better Call Saul, serie tv AMC in Italia distribuita da Netflix

La vera malvagità del personaggio di Gus si vede nel suo rapporto con Nacho, che comincia inizialmente come personaggio secondarissimo, prima nel ruolo del piccolo pesce che si approfitta della situazione per condurre i suoi affari sottobanco.

Una figura abbastanza imperscrutabile, che si preoccupa profondamente per il padre, arrivando addirittura ad attentare alla vita di Don Hector. Però la cosa gli si rivolta contro, rendendolo di fatto una vittima e una spia per Gus.

E questo non ha alcuna pietà nei suoi confronti, ma lo sfrutta fino all’ultimo, rendendolo il capro espiatorio dietro al quale nascondersi per la questione di Lalo.

Tuttavia Nacho, alla fine, riesce a prendersi la sua rivincita: prima di morire, sputa in faccia ad Hector tutta la verità e si toglie la vita da solo, andandosene secondo le sue regole.

L’ultimo nemico: Lalo Salamanca

L’ultimo nemico che Gus si trova a dover fronteggiare è Lalo, che cerca di riscattare la famiglia Salamanca.

Introdotto improvvisamente alla fine della quarta stagione, diventa da lì fondamentale. Infatti, quando sembrava che i Salamanca, con la dipartita di Hector, fossero diventati insignificanti, arriva Lalo.

Lalo è di fatto un’altra faccia di Gus: apparentemente amichevole e guascone, è in realtà un terribile macchinatore, spietato e vendicativo. Così crea tutto un’astuzia articolata per incastrare e smascherare Gus, portandolo ad un ultimo scontro finale.

Uno scontro che si risolve con la sua morte, ma che tiene lo spettatore con il fiato sospeso fino all’ultimo.

E Lalo se ne va sempre a modo suo: con il sorriso.

Better Call Saul è il giusto finale

Il finale di Better Call Saul racchiude tutta l’essenza del personaggio.

Una carrellata di flashback, con tantissimi riferimenti alle stagioni passate (Jimmy che viene trovato in un cassonetto come nella prima stagione, l’inquadratura sul cartello EXIT mentre parla di Chuck…), che servono a chiudere il cerchio.

In questa puntata Jimmy è semplicemente Jimmy, che si riveste per l’ultima volta del personaggio di Saul: lo ha interpretato per tanti anni ormai, e in ultimo nella sua falsa testimonianza contro Kim.

Ma infine confessa: la prima vera confessione in cui accetta tutto quello che ha fatto, tutti i danni che ha provocato. E si dimostra, per una volta, veramente pentito.

E allora non sceglie più la via facile, non la pena ridotta tramite trucchetti. Al contrario pure tutta la vita in prigione, potendo scontare di meno con la sua buona condotta.

D’altronde, it’s all good man.

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The Sandman – Al limite

The Sandman è una serie Netflix di recente uscita, tratta dalla graphic novel omonima di Neil Gaiman. Un autore che è diventato molto popolare negli ultimi anni: le sue opere sono state il punto di partenza per diversi prodotti seriali, fra Lucifer e American Gods, con risultati altalenanti.

Io sono stata impressionata dalle capacità narrative di Gaiman fin da Coraline (2002), prodotto che è riuscito a traumatizzarmi sia per il lungometraggio animato che per la sua controparte cartacea.

Tuttavia, ero in grande dubbio sulla riuscita di questo prodotto, per la poca soddisfazione che mi aveva dato Lucifer, e pure American Gods a lungo andare. Ma soprattutto ero scettica visto il tipo di produzione che c’era dietro, quella di Netflix, non sempre propriamente associata a prodotti di qualità.

Invece, sono rimasta sorpresa.

Alla fine della recensione troverete anche un interessante approfondimento dedicato al confronto col fumetto, scritto da una mia cara amica appassionata dell’opera di Gaiman.

Di cosa parla The Sandman?

Sandman è un’entità con vari nomi (Sogno, Morfeo…), che presiede il mondo dei sogni e degli incubi. Dovrà scontrarsi con diverso nemici, anche a lui molto vicini, con vicende quasi antologiche che ci accompagneranno nella scoperta del suo personaggio.

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di guardare The Sandman?

Tom Sturridge in una scena di The Sandman, serie tv Netflix tratta dall'omonima graphic novel di Neil Gaiman

Decisamente sì, e lo dico da persona che è rimasta sinceramente sorpresa vedendo la serie. Infatti, come anticipato, dopo essere rimasta abbastanza scottata dalla deriva di Lucifer e dalla discreta delusione di American Gods, non ero del tutto sicura che mi sarebbe piaciuta e non avevo un reale interesse.

E invece è un prodotto che è stato capace di gestire nel migliore dei modi la materia originale, sotto l’occhio esperto di Gaiman, con davvero poche sbavature. Aspettatevi quindi una serie che ha alcuni elementi in comune con gli altri prodotti precedentemente citati, ma che è su un livello decisamente più alto.

Vivere al limite

Tom Sturridge in una scena di The Sandman, serie tv Netflix tratta dall'omonima graphic novel di Neil Gaiman

Per la maggior parte della serie io ero abbastanza tesa, perché avevo già visto come la materia di Gaiman, con il suo incontro fra mitologia e modernità, se trattata malamente, potesse sfociare nel trash più becero.

E non aiutava l’estetica, del tutto peculiare, che rimanda ad un immaginario molto tipico della serialità degli Anni Novanta e primi Anni Duemila, dove tutto sembrava finto e posticcio.

E invece la produzione di The Sandman si ferma sempre al punto giusto, raccontando un immaginario interessante e mai eccessivo, con fra l’altro degli ottimi effetti speciali, anche in questo caso con pochissime sbavature.

Una conduzione peculiare

David Thewlis in una scena di The Sandman, serie tv Netflix tratta dall'omonima graphic novel di Neil Gaiman

Allo stesso modo mi ha sorpreso la modalità della narrazione: un’abile gestione di una trama sia orizzontale (ovvero della storia complessiva) che verticale (quasi autoconclusiva per alcuni episodi). La storia è gestita con piccoli archi narrativi che arricchiscono il world building e che portano avanti la storia in maniera complessivamente molto organica.

La serie di fatto racconta la caduta e la rinascita di Morfeo, ma al contempo la arricchisce con una serie di vicende più o meno secondarie, e con una carrellata di personaggi uno più interessante dell’altro. Fra tutte, ho particolarmente apprezzato la puntata 24/4 con David Thewlis, attore che fra l’altro mi piace moltissimo. Ma anche lo scontro fra Sogno e Lucifero in A Hope in Hell, e così anche la puntata The Sound of Her Wings dedicata a Morte.

Purtroppo mi ha un po’ meno convinto l’arco narrativo finale, con protagonista Rose. Infatti, davanti alla grande originalità del prodotto, gli ultimi tre episodi li ho trovati scorrere su binari più prevedibili e consolidati, che non sono riusciti a conquistarmi.

Un protagonista in divenire (e la sua spalla)

Tom Sturridge in una scena di The Sandman, serie tv Netflix tratta dall'omonima graphic novel di Neil Gaiman

La particolarità di The Sandman è che il suo protagonista è sempre in divenire, ma non in maniera forzata e poco organica, come accadrebbe in diversi prodotti di questo tipo. Sogno è per la maggior parte del tempo un personaggio immutabile ed etereo, soprattutto nei primi momenti della serie, in cui parla solo come voce narrante.

Tuttavia il suo confronto sia con gli umani sia con altre entità lo porta a mettersi alla prova, a dimostrarsi più volte fallibile, e, infine, a compiere un interessante arco evolutivo. L’attore, poi, sembra nato per il ruolo.

Molto indovinata anche la sua spalla, Matthew, che vive in funzione dello spettatore, per fare le giuste domande e per permettere ai personaggi di spiegarsi su cose che già sanno, senza che questo risulti forzato o didascalico.

Personaggi iconici

In The Sandman si vedono personaggi che fin dalla prima apparizione sono perfettamente identificabili e iconici. Anzitutto Lucifero, che ovviamente non può essere identificato con un genere, e che quindi si è scelto di far interpretare da un’attrice dai tratti androgini.

Una figura che si discosta dall’estetica del fumetto (ispirata a David Bowie), avvicinandola più che altro all’estetica del putto barocco, con un contrasto assolutamente vincente fra la sua eleganza angelica e la minaccia delle sue imponenti ali nere.

Ma la punta di diamante è stato sicuramente Desiderio: appena è apparso in scena, non ho avuto dubbi di chi si trattasse, tanto era convincente la sua estetica. Fra l’altro la produzione ha avuto l’ottima pensata di castare un interprete non-binary e che già di suo abbraccia l’estetica del suo personaggio.

Un andamento positivo, che vede uno spiraglio per questi interpreti anche nelle produzioni statunitensi, come già visto in Euphoria con Hunter Schafer, per cui è stata fatta un’operazione molto simile.

Il significato del sogno in The Sandman

Una delle colonne portanti della serie è il concetto di sogno, ben più ampio di quello che ci si potrebbe immaginare.

Il sogno non è solo quello in cui ci si immerge quando si dorme, ma un elemento fondamentale per l’umanità, da viva e da morta.

Infatti gli umani da vivi, se non avessero un sogno, quindi una speranza da inseguire, non avrebbero più volontà di vivere. E così i serial killer nella penultima puntata, privati del loro sogno di essere le vittime, si rendono conto della loro condizione bestiale ed egoistica, e si tolgono la vita o si costituiscono.

Ancora più interessante come viene raccontato nella puntata A Hope in Hell, quando Dream ricorda a Lucifero che i suoi dannati, se non sognassero il paradiso, non soffrirebbero più la loro condizione.

Un concetto potente e interessante.

Due parole sulla puntata bonus di The Sandman

La puntata bonus di The Sandman è stata un piccolo e gradito regalo per tutti gli spettatori che si sono appassionati alla serie. E fra l’altro un segnale molto positivo della produzione verso una a questo punto molto probabile seconda stagione.

Delle due storie ho sinceramente preferito la prima, anche se più stringata e veramente tanto surreale: un modo per raccontare i sogni dei gatti e delle possibilità della della malvagità umana. Il sogno per una sorta di paradiso dei gatti, più selvaggio ma anche più giusto, per certi versi.

Meno interessante a mio parere la seconda storia, Calliope: per certi versi mi è sembrato un more of the same della prima puntata, che non va particolarmente ad approfondire una tematica, ma ripropone questioni già ampiamente trattate nelle altre puntate.

Il confronto con il fumetto

The Sandman: quanto è fedele al fumetto?

Fin dall’uscita dei primi trailer della serie Netflix, si è parlato molto di affinità e differenze con il capolavoro a fumetti di Neil Gaiman, ma quanto è davvero fedele la serie all’opera originale e a cosa sono state dovute certe scelte?

Andando con ordine, ecco un’analisi di come sono stati rappresentati l’ambientazione, i personaggi e gli eventi in questa prima, riuscita stagione.

L’ambientazione

Le scelte estetiche dell’adattamento si rifanno molto ai telefilm di genere degli Anni Novanta, aspetto che chi leggeva il fumetto proprio in quegli anni non potrà non apprezzare. Nella storia originale, infatti, la fuga di Sogno raccontata nelle prime due puntate della serie avveniva in un tempo più o meno contemporaneo all’uscita del primo volume, tra l’88 e l’89.

Essendo però la serie di Netflix uscita il 5 agosto di quest’anno, a più di trent’anni di distanza, la scelta è stata quella di mantenere l’aspetto della contemporaneità  attualizzando gli eventi, dunque fondamentalmente spostando la fuga di Sogno di una trentina d’anni. Dal punto di vista narrativo questo ha permesso di aprire una piccola storyline [linea narrativa] sul personaggio di Alex Burgess, figlio del negromante Roderick Burgess, che perpetuerà la prigionia di Sogno dopo la morte del padre, coprendo quell’intervallo di trent’anni di differenza con la saga a fumetti.

Alex Burges

Il risultato è stato un buon compromesso tra l’esigenza di mantenere l’atmosfera originale – resa appunto tramite i richiami alla serialità di genere degli Anni Novanta – e l’esigenza invece di rendere l’opera il più possibile fruibile dagli spettatori odierni. Unica grande pecca: i fastidiosi effetti bagliore presenti dalla prima all’ultimissima scena della stagione: questi sono ripresi – bisogna concederlo – dalle copertine e dai numerosi artwork presenti nei fumetti originali, che univano fotografia e disegno con giochi di pattern e sovrapposizioni molto peculiari.

La resa su schermo però è tutt’altro che gradevole e restituisce impressioni ben diverse da quelle oniriche e astrattiste del fumetto, anzi, finisce per dare un’aria cheap [dozzinale] al prodotto, come se la produzione non avesse avuto abbastanza budget per i fondali. Questo a riprova del fatto che trasporre un’opera da un media all’altro dovrebbe richiedere più di un becero copia e incolla, ma di tradurne i linguaggi.

Lo stesso espediente o la stessa scelta estetica possono avere una resa del tutto diversa a seconda del media attraverso il quale sono veicolati, quindi alcune variazioni si rendono necessarie nelle trasposizioni per garantire certi standard di fruibilità, qualità e coerenza.

Questa stagione è ispirata ai primi due volumi (dal n.1 al n.16) del fumetto, che caso vuole siano anche quelli dalle ambientazioni più  concrete e terrene, ma se la serie continuerà – come spero – a seguire la trama dell’originale, dovrebbero esserci ambientazioni sempre più astratte e concettuali.

Vedremo come se la caveranno in quel caso.

I personaggi

Sogno nel fumetto The Sandman di Neil Gaiman

Tom Sturridge, il bravissimo interprete di Sogno, ha affermato che inizialmente avevano provato a dargli un look più fedele a quello del fumetto: capelli blu notte folti e sparati in ogni direzione, un cerone bianchissimo sul viso e le stelle negli occhi.

Sorpresone, il risultato era piuttosto ridicolo e poco organico. Tra l’altro, si tratta di un personaggio che viene introdotto al pubblico bloccato in una palla vetro, nudo, senza potersi muovere o parlare. La possibilità dell’attore di esprimersi attraverso espressioni facciali e piccoli movimenti del corpo – che diventa dunque estremamente importante – avrebbe rischiato di essere compromessa da un trucco pesante.

Hanno quindi continuato a provare trucchi e parrucchi diversi, senza trovarne uno convincente finché, a detta di Sturridge, non si sono resi conto che lui è già insanamente pallido, ha già i capelli molto scuri e, se lo guardi nel profondo degli occhi, puoi vedere il cosmo.

Non c’è bisogno di fare modifiche per farlo sembrare un essere eterno.

Gli altri

Sogno e Morte nel fumetto The Sandman di Neil Gaiman

Se su Sturridge non posso certo dissentire, sul personaggio di Morte ho invece qualche riserva in più. Se l’attrice Kirby Howell-Baptiste rende bene il carattere sicuro, dolce e affabile del suo personaggio, il costume non le rende giustizia, abbandonando i tratti mistici e punk del suo aspetto a favore di un’estetica che ricorda tanto un prodotto di scarsa qualità come l’adattamento di Shadowhunters.

Il maggiordomo di Sogno nel fumetto The Sandman di Neil Gaiman

Ci sono poi alcuni personaggi del cui casting si è parlato in termini di gender swap [scelta di cambiare genere a un personaggio] o presunto tale. Lucienne, aiutante di Sogno che si occupa della biblioteca nel palazzo dell’eterno, nel fumetto è un uomo bianco dall’aspetto vagamente elfico, mentre nella serie è interpretato dall’attrice nera Vivienne Acheampong, che riesce, a dispetto del phisique du role decisamente diverso, a rendere il personaggio in maniera fedelissima alla saga fumettistica, soprattutto nel suo rapporto con Sogno.

John Costantine nel fumetto The Sandman di Neil Gaiman

John Constantine nella serie diventa Johanna, questo a detta di Gaiman per rendere il personaggio più accessibile al pubblico di oggi, che potrebbe non avere con il personaggio originale, all’epoca del fumetto già molto popolare e titolare di una saga sua, la stessa familiarità che aveva il pubblico degli Anni Novanta.

Lucifer nel fumetto The Sandman di Neil Gaiman

Ultimo ma non ultimo il personaggio di Lucifero, che non avrebbe avuto senso far interpretare a Tom Ellis (interprete di Lucifer) per il mood [l’atmosfera] totalmente diversa della serie. È stata scelta invece la grandiosa Gwendoline Christie, già popolare per Game of Thrones. In questo caso, come ribadito dallo stesso Gaiman, non si può parlare di gender swap, perchè il Diavolo non ha genere. Per chi non conoscesse il fumetto, Lucifero è disegnato con le fattezze di David Bowie: prendere il testimone da un’icona del genere non dev’essere facile, ma per noi l’attrice ha raggiunto l’obiettivo.

Gli eventi

La serie è incredibilmente fedele alla trama dei fumetti, la differenza maggiore è la proroga di 30 anni della prigionia di Sogno, che apre una piccola digressione sul figlio del suo carceriere, Alex Burgess.

C’è poi un evento che non è stato gestito benissimo, ma costituisce uno spoiler che non raccomanderei a chi non abbia visto la serie, quindi andate avanti a leggere a vostro rischio e pericolo.

Si tratta della questione della gravidanza di Unity Kinkaid, che da come viene descritta nella serie sembrerebbe essere originata da un concepimento avvenuto in sogno, come nel caso di Lytha Hall, l’amica di Rose. Nel fumetto è invece chiaro come questo sia stato purtroppo originato da uno stupro.

In ultimo chiudiamo con un interessantussimo video in cui Neil Gaiman commenta il trailer della serie e racconta dei retroscena della produzione:

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Ms Marvel – Un arco distruttivo

Ms Marvel è l’ultima serie dell’MCU uscita su Disney+ questestate. Un prodotto che sembrava portare un po’ di aria fresca, sperimentando con il genere teen drama e facendo (a parole) espliciti paragoni con lo Spiderman di Tom Holland.

In realtà, ad eccezione delle prime due puntate, sostanzialmente è sempre la stessa minestra: una serie Marvel che segue i soliti schemi, con una produzione molto pasticciata e di grande mediocrità.

Di cosa parla Ms Marvel?

Kamala Khan è una ragazzina che abita nel Queens, parte della vivace comunità musulmana e grandissima fan di Captain Marvel. A sorpresa, grazie ad un amuleto della sua famiglia, acquisirà degli incredibili poteri che cambieranno completamente la sua vita.

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Ms Marvel?

Iman Vellani in una scena di Ms Marvel, serie tv Disney+ parte dell'MCU

Dipende.

A mio parere questa serie vale la pena di essere vista unicamente per due motivi: se non volete (come me) perdervi nessun prodotto dell’MCU e se vi piacciono in generale le serie Marvel uscite finora.

Se avete paura di trovarvi davanti ad un prodotto teen, vi posso rassicurare: questo elemento è presente unicamente nelle prime due puntate, poi si perde con grande facilità.

In generale una serie molto discordante al suo interno, che sembra essere scritta da persone che non sono state in grado di comunicare, piena di contraddizioni e incapace di portare una produzione davvero organica.

Ma, di nuovo, se vi piacciono questo tipo di prodotti, guardatela senza problemi.

Cominciare in un modo, finire…

Iman Vellani in una scena di Ms Marvel, serie tv Disney+ parte dell'MCU

Come anticipato, questa serie manca, ancora più di altre serie di questa produzione, di una coerenza produttiva.

La serie infatti si apre con due puntate con una forte e anche piacevole impronta registica, che gioca sulla creatività della protagonista con toni fortemente teen. Due puntate che mi avevano abbastanza coinvolto. Poi sono andata avanti.

Infatti già dalla terza puntata si sono cominciati a vedere i problemi: una regia che, anche nell’ultimo capitolo, è diventata molto più spenta e anonima, oltre che poco chiara e convincente nelle scene action, dove la chiarezza scenica è fondamentale.

Per quanto riguarda la sceneggiatura, un vero pianto.

L’arco distruttivo

Iman Vellani in una scena di Ms Marvel, serie tv Disney+ parte dell'MCU

Se la regia può essere anche tutto sommato essere perdonata, la sceneggiatura è davvero improbabile. La serie comincia in un modo, raccontandoci i piccoli problemi della protagonista, poi decide totalmente di dimenticarsene, dirigendosi totalmente verso un’altra direzione.

Così ci troviamo una sconclusionatissima parentesi in Pakistan, che presenta i due principali problemi delle serie Marvel: buchi di trama e flashback di poco interesse. Le questioni irrisolte in questo frangente si sprecano: come ha fatto Kamala a convincere la madre ad andare dalla nonna?

I cugini non si sono chiesti niente della cugina che non tornava da loro? Come fanno i Jinn ad arrivare così velocemente in Pakistan e come facevano a sapere che Kamala era lì? E si potrebbe andare avanti.

Non si migliora neanche con l’ultima puntata, che sembra trarre dal genere home invasion e specificatamente da Mamma ho perso l’aereo (1990), ma che appare del tutto anti-climatica e poco coerente con l’insieme della narrazione.

Come detto, un grande pasticcio.

Quando i villain sono di troppo

Nimra Bucha e Iman Vellani in una scena di Ms Marvel, serie tv Disney+ parte dell'MCU

Ms Marvel, se fosse stata coerente con sé stessa, non avrebbe avuto bisogno di villain, sicuramente non di villain così apparentemente importanti e minacciosi. Se si volesse essere coerenti, appunto, avremmo avuto delle piccole minacce di quartiere che permettevano a Kamala di avere un semplice ma efficace arco evolutivo.

Invece si è scelto di raccontare una minaccia per la sopravvivenza dell’universo, con una costruzione fra l’altro del tutto mancante: nel giro di una puntata Najma, il capo dei Jinn, cerca di portare Kamala dalla sua parte, per poi inalberarsi in un attimo quando la stessa non le da subito quello che vuole.

Così in un attimo diventa cattivissima e dice addirittura che Kamala l’ha tradita.

Personaggi che fanno un sacco di giri su sé stessi, con poteri poco chiari (Immortalità? Super forza? Creazione di armi?) e che sono resi ancora più ridicoli dalla società segreta che dovrebbe combatterli, ovvero i Pugnali Rossi: per come è messo in scena, sembra che sia composta da sole due persone.

Probabilmente la serie intendeva raccontare che i ragazzi che Kareem fa conoscere a Kamala al falò sulla spiaggia fanno parte del gruppo, ma non è per nulla chiaro.

Una protagonista interessante, tutto sommato

Iman Vellani in una scena di Ms Marvel, serie tv Disney+ parte dell'MCU

Una delle poche cose buone di questa serie è la protagonista, Kamala. Anzitutto, per la scelta dell’attrice: Iman Vellani non solo è una grande fan di Captain Marvel, ma è anche di per sé molto espressiva, riuscendo ad essere convincente anche alla sua prima apparizione televisiva.

Oltre a questo, Ms Marvel si inserisce nella fruttuosa serie di prodotti ideati da immigrati statunitensi di seconda generazione, pur con prodotti di dubbio gusto come Shang-chi (2021) e Red (2022).

In questo caso la rappresentazione della comunità musulmana è molto interessante: molto legata al proprio credo, ma anche aperta al cambiamento e complessivamente ben integrata nella realtà statunitense.

A guastare la credibilità del personaggio è in primo luogo la scrittura di cui sopra, ma anche la penosa CGI per i suoi poteri (e non solo). Mi ha ricordato molto quella meraviglia (si fa per dire) di Spy Kids, popolare saga di avventura per ragazzi dei primi Anni Duemila.

Cosa succede nel finale di Ms Marvel?

Il finale sembra aver confuso non pochi spettatori, quindi vale la pena di spenderci due parole. A differenza di come hanno pensato alcuni, la stessa showrunner ha confermato che Kamala non è diventata Captain Marvel, ma si è scambiata di posto con lei.

E questo sarà probabilmente uno dei momenti iniziali di The Marvels (2023), che rappresenta il sequel di più ampio respiro di Captain Marvel (2019) e che includerà indubbiamente anche Ms Marvel.

Oltre a questo, Kamala è una mutante: gli sviluppi di questa rivelazione sono ancora tutti da vedere, ma si inseriscono nelle bricioline che Kevin Feige, il capo dell’MCU, sta cercando di spargere per reintrodurre la sua versione degli X-Men.

Riscrivere un personaggio

Captain Marvel è stata introdotta nel film origin-story del 2019 omonimo, che è stato indubbiamente un grande successo commerciale, ma che non ha avuto la risonanza che ci si sarebbe forse aspettati per il film con la prima supereroina dell’MCU in un prodotto tutto suo.

E questo è dovuto probabilmente dal fatto che, molto ingenuamente, l’MCU ha preso come punto di riferimento una tendenza ben rappresentata da quella mediocrata di Wonder Woman (2017): raccontare personaggi femminili forti, testardi e fondamentalmente antipatici.

Come Gal Gadot può suscitare comunque un minimo di simpatia nel pubblico, Brie Larson ha la sfortuna di avere una faccia veramente antipatica. E la caratterizzazione che si è voluto dare nel suo film non l’ha aiutata.

Tuttavia, se andate a guardare le diverse apparizioni in altri film che si sono viste in questi anni, noterete un importante cambio di direzione: dopo Endgame (2019), in tutte le apparizioni Carol Danvers è presentata come decisamente più simpatica e generalmente più sorridente.

Un caso? Io non credo.

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Anatomy of a scandal – Not that type of man

Anatomy of a scandal, noto in Italia come Anatomia di uno scandalo, è una miniserie uscita quest’anno su Netflix.

Un buon prodotto di genere legal drama in cui si parla in maniera interessante e realistica di un caso di violenza sessuale. Non a caso il creatore è lo stesso di serie ottime (e anche dalle dinamiche simili) come The Undoing e Big Little Lies.

Di cosa parla Anatomy of a scandal?

James Whitehouse, un importante parlamentare britannico, viene coinvolto in uno scandalo per una relazione extraconiugale con una sua dipendente. La situazione si complica quando la sua amante lo accusa di stupro, portando il caso in tribunale…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Anatomy of a scandal?

Michelle Dockery in una scena di Anatomy of a Scandal, serie tv Netflix

Come anticipato, Anatomy of a scandal è un racconto non poco interessante per il tipo di rappresentazione il più possibile realistica di un caso di violenza sessuale.

Per questo è necessario anche fare un trigger alert, in quanto da questo punto di vista, pur senza esagerare sul dramma, si parla in maniera molto esplicita della questione. E questo potrebbe non essere digeribile per tutti.

Tuttavia se riuscite a sostenere questo tipo di argomenti e vi piacciono i legal drama che tengono col fiato sospeso, non ve la potete perdere.

James: raccontare il mostro

La parte decisamente migliore di questa serie è il tipo di rappresentazione dello stupratore: non un mostro, una persona instabile e cattiva, ma un uomo insospettabile, con la faccia pulita, nonché un marito affettuoso e attento.

E i suoi comportamenti non sono dovuti ad una malvagità intrinseca, ma il prodotto di un tipo di cultura machista in un ambiente protetto e inaccessibile. Quando James dice di non aver stuprato quelle donne, lo crede veramente. Quando dice che lei ha detto di no, ma intendeva sì, lo pensa veramente.

L’idea che una donna possa dirgli di no e non voler veramente avere un rapporto con lui non è contemplata, anche perché sembra non interessarsi per nulla al piacere della sua amante, ma solo al poter sfogare il suo desiderio sessuale nato in momenti di particolare stress emotivo.

E questo, nel contesto in cui è stato cresciuto ed educato, è del tutto normale e accettabile.

Sophie: l’ancella silenziosa

Il percorso di Sophie è altrettanto interessante: inizia come moglie e madre modello, che ha sempre sostenuto suo marito in tutto, e anche con la sindrome della crocerossina. E per la maggior parte del tempo sostiene il marito, anche stressata da tutti dalla necessità di dover perdonare il marito, perché boys will be boys.

Ma il dubbio, l’idea che il marito in realtà non sia così meritevole di essere supportato le cresce dentro per tutta la stagione. E alla fine conclude cercando di mettere il marito almeno davanti ad una parte delle responsabilità che si è rifiutato di affrontare.

Kate: la vittima sepolta

Il grande colpo di scena è la rivelazione della vera identità di Kate: in realtà è Holly Berry, la compagna di corso di Sophie che è stata stuprata da James vent’anni prima.

Una donna che ha portato dentro di sè per tantissimo tempo questo segreto e questo peso, arrivando addirittura a cambiare nome e identità. E combatte ogni giorno per aiutare altre vittime ad ottenere la loro verità. E alla fine, quando almeno sa che un po’ di giustizia è stata fatta, guarda in camera con sguardo sereno.

Una regia fra specchi e montaggio ad arte

Sienna Miller in una scena di Anatomy of a Scandal, serie tv Netflix

La regia di questa serie l’ho trovata veramente incredibile: questo montaggio dinamico, per cui i personaggi emergono dai flashback e tornano nel presente, per raccontare la loro verità.

Così questo uso interessantissimo degli specchi, che mostra la doppiezza sia di Kate che di James, che nascondono ben altro di quello che mostrano. E l’unica invece fuori da questa dinamica è Sophie: l’unica che non ha niente da nascondere.

Perché il finale di Anatomy of a scandal non mi ha convinto

Michelle Dockery in una scena di Anatomy of a Scandal, serie tv Netflix

Per quanto abbia apprezzato il fatto che realisticamente James venga assolto dal caso, non mi ha del tutto convinto questo tipo di narrazione del finale. Troppo improvviso per certi versi, come se Sophie, più che mettere il marito davanti ad una responsabilità, lo volesse punire.

E non viene poi mostrato molto, se non Tom e James arrestati, senza aggiungere altro. Una sorta di finale consolatorio, che forse voleva correggere la direzione troppo cruda e drammatica che aveva preso fino a questo punto.

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Space force – Boobs on the moon

Space Force è una serie tv di Netflix creata da Greg Daniels, autore anche di The Office, e Steve Carell, che è il protagonista.

Un prodotto che è stato accolto abbastanza tiepidamente, soprattutto per una delusione dei fan storici di The Office. Ma proprio perché, secondo me, si sono fatti i confronti sbagliati.

In questa recensione, assolutamente senza spoiler, vi darò tre motivi per guardare almeno la prima stagione (a cui mi sono fermata, per ora).

Di cosa parla Space force?

Appena nominato generale a quattro stelle, il generale Naird viene messo a capo di una divisione militare per lo spazio chiamata Space force. La serie segue le sue vicissitudini nel dover portare risultati per mantenere in piedi la divisione, contro importanti minacce internazionali.

Vi lascio il trailer della prima stagione per farvi un’idea:

È un divertimento rilassato

Come detto, da questa serie non vi dovete aspettare The Office. L’umorismo per certi versi è simile, ma non vuole essere una sitcom (pure raffinata come The Office, appunto) che deve farti ridere continuamente.

Al contrario è una serie di genere commedia, piuttosto realistica, che fa ridere e appassionare ai suoi personaggi, che devono scontrarsi con problemi non da poco. Però sempre con un divertimento generalmente leggere e rilassato.

Non mancano le sottotrame più fini a se stesse e per la costruzione dei rapporti fra i personaggi, ma non mancano comunque tutte di un minimo di profondità e non sono solamente riempitive.

Steve Carell e John Malkovich a stessa serie

Direi che il titolo è esplicativo già da solo, ma in generale vi posso dire che la chimica fra questi due attori è davvero coinvolgente, addirittura toccante in certe scene. E entrambi hanno trovato un loro spazio.

Da una parte il generale Naird, un uomo di ferro, figlio di una cultura militarista e machista, ma che nasconde molte debolezze. Con uno Steve Carell al massimo della forma, con la sua esplosiva recitazione corporea e facciale con cui si fece conoscere fin da Una settimana da Dio (2003)

Il dottor Adrian Mallory è una sorta di grillo parlante per Naird, che cerca di portare l’amico e collega verso le scelte più giuste. Per la maggior parte del tempo è un personaggio contenuto e riflessivo, ma Malkovich non manca neanche di mostrare la sua verve comica, che ricordo fin da Burn after reading (2008)

Space Force parla di noi

Non propriamente di noi, ma sicuramente degli Stati Uniti a lui contemporanei. Facendo neanche troppa attenzione, si capisce che parla, pur nascondendo i personaggi dietro pseudonimi e non nominandolo esplicitamente, degli Stati Uniti di Trump.

E infatti non è una serie imbevuta di stereotipi tipici della cinematografia americana main stream, che individua ancora come nemico la Russia della Guerra Fredda, ma, al contrario, racconta la paranoia legata alla ben più importante minaccia cinese.

E affronta non di meno altri temi importanti come la cultura delle armi e tematiche morali inaspettate per un prodotto del genere.

Ma quindi, vale la pena di vedere Space force?

Steve Carell e John Malcovitch in una scena della serie tv Space Force di Netflix

In generale, sì.

Non mi sento di venderla come serie imperdibile come può essere Severance o un Better call Saul. Tuttavia è una serie che mi sento di consigliare se vi piacciono le serie comedy che non vi devono far sganasciare, ma intrattenere con un umorismo di buon livello e dei personaggi profondi e coinvolgenti.

Fra l’altro, con dieci puntate dalla durata molto contenuta.

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The Boys 3 – Niente di nuovo

The Boys 3 è la terza stagione di una delle serie di punta di Prime Video. Un prodotto che è partito come fondamentalmente rivoluzionario per il genere, perdendosi già dalla seconda stagione in una scrittura poco indovinata.

Tuttavia al contempo per molti è una semplice serie di intrattenimento spicciolo che riesce a sorprendere e ad emozionare, nonostante tutto. E per certi versi va bene così.

Se sapete nulla di The Boys e non sapete se può fare per voi, continuate a leggere. Altrimenti, passate direttamente alla parte spoiler cliccando qui.

Di cosa parla The Boys

Antony Starr in una scena di The Boys, serie tv Prime Video

In una realtà parallela simile alla nostra, i supereroi sono prodotti di una multinazionale che li sfrutta e li controlla come armi e come prodotti di marketing.

Hughie, un ragazzo normalissimo che non ha mai avuto niente a che fare con i super, viene coinvolto in una inaspettata tragedia. Questo lo porterà a far parte del gruppo dei Boys, che cerca di opporsi ai super e al loro strapotere.

Una tendenza mai sbocciata

Al tempo The Boys sembrava una tendenza nuova per il genere supereroistico. In realtà è stato un fenomeno che è nato e morto con questo prodotto, ritrovando una nuova vita solamente in pochi prodotti di successo come Invincible.

Il problema è probabilmente che questo tipo di narrazione non può essere replicato più di tanto, se non proponendo la stessa medesima storia con qualche piccola differenza.

The Boys può fare per me?

Antony Starr in una scena di The Boys, serie tv Prime Video

The Boys è una serie famosa per essere molto violenta e splatter, ed effettivamente è così. Tuttavia non vi dovete immaginare una violenza orrorifica, ma, al contrario, molto cartoonesca, alla The Suicide Squad (2021).

Se riuscite a sopportare questo aspetto, in generale almeno per la prima stagione è stata una serie che ha portato un po’ di freschezza al genere, pur poi perdendosi in se stessa.

Ma se, appunto, vi aspettate un intrattenimento spicciolo e molto spesso caciarone, potrebbe anche piacervi. Insomma, provate e, se vi stufa già alla seconda, mollate: non vi perderete molto.

Di cosa parla The Boys 3?

Il gruppo dei Boys si trova a combattere con un nuovo nemico: Soldier Boy, un vecchio supereroe che è tornato fra loro. Lo stesso però potrebbe essere il modo di uccidere finalmente Homelander…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea.

Vale la pena di vedere The Boys 3?

Karen Fukuhara, Karl Urban, Tomer Kapon e Laz Alonso in una scena di The Boys, serie tv Prime Video

Dipende: se vi è piaciuta la seconda stagione, soprattutto se vi è piaciuta molto, decisamente sì. La strada presa è sempre quella: un prodotto con poche pretese, che cerca di scioccare ingenuamente lo spettatore con tanti fuochi d’artificio, ma con nessun contenuto rilevante. E piegandosi del tutto alla necessità, appunto, di farci rimanere a bocca aperta.

Se, al contrario, la seconda stagione vi è piaciuta poco e vi siete già stancati di questa serie, non vi dico di non guardarla, ma di avere semplicemente la consapevolezza che non troverete niente di diverso come dinamiche e scrittura.

Il gusto dell’eccesso

Jack Quaid, Karl Urban, Laz Alonso in una scena di The Boys, serie tv Prime Video

Un aspetto che mi ha sinceramente infastidito, soprattutto nelle prime puntate, è stato questa continua insistenza nel voler stupire lo spettatore con violenza gratuita ed altre scene sconvolgenti.

Tuttavia certe scene, soprattutto se reiterate gratuitamente troppe volte in un solo episodio, non mi danno la sensazione di qualcosa di sconvolgente, ma di maldestri tentativi di voler sembrare molto alternativi e senza freni.

Per fortuna dopo la metà della stagione si torna su binari più controllati, riuscendo a farmi sentire effettivamente intrattenuta e stupita da quello che stavo vedendo sullo schermo.

Soldier Boy: un nuovo amore

Per me Solider Boy è stata la parte migliore della stagione. Anzitutto per l’ottima recitazione di Jensen Ackles, che mi ha fatto totalmente innamorare del suo personaggio. Divertente, convincente, poliedrico: un’ottima nuova introduzione che hanno deciso stupidamente di buttare via.

Probabilmente la scelta peggiore di tutta la serie, che ha gettato alle ortiche un personaggio nuovo e da scoprire, che avrebbe potuto davvero portare linfa nuova e nuove trame a The Boys. Invece si è deciso di liberarsene con scelte pigre ed raffazzonate.

Come sempre, niente di nuovo

Anthony Starr, Erin Moriarty in una scena di The Boys, serie tv Prime Video

Una brutta tendenza che ha preso The Boys fin dalla seconda stagione è la sua incapacità di rinnovarsi, continuando a girare in tondo su se stessa, riducendo i villain alle minacce della settimana, senza che portassero effettivamente ad una progressione della trama.

Di fatto, alla fine della stagione ci hanno buttato in faccia tante cose nuove e sconvolgenti, che però non sono state per nulla costruite, ma sono state appunto buttate lì, come sempre, per stupire lo spettatore. E nient’altro.

Perché Ryan ha questo cambio di idee su Homelander? Perché gli altri personaggi sembrano dimenticarsi che l’obbiettivo della stagione era proprio quello di uccidere Homelander? Perché ce ne dovrebbe fregare qualcosa della Neuman, personaggio sostanzialmente inutile per l’intera stagione?

Ma parliamo della Newman.

L’inaspettata inutilità della Neuman

Claudia Doumit in una scena di The Boys, serie tv Prime Video

La Neuman doveva essere la grande minaccia della stagione, anche perché ne rappresentava la rivelazione e il cliff-hanger finale dello scorso ciclo di episodi. Invece, tranne per pochi momenti all’inizio e alla fine, è un personaggio fondamentalmente inutile.

Il suo segreto viene rivelato quasi immediatamente, e, lentamente, sparisce di scena. Non sembra più importante, finché non la riportano prepotentemente in scena per la grande sorpresa finale della stagione. E, a questo punto, non ho nessuna aspettativa per il suo personaggio, visto che potrebbero di nuovo dimenticarsene dopo poche puntate.

Il secondario riempitivo

Karen Fukuhara in una scena di The Boys, serie tv Prime Video

Un altro grande problema della stagione è quello di tenere in caldo una serie di personaggi secondari che non aggiungono niente alla trama, ma che servono solo per raggiungere un certo minutaggio.

Cominciamo ovviamente da Kimiko e Frenchie, che hanno tutta una loro trama a parte che gira in tondo per tornare al punto di partenza. Poi Abisso, che sembrava importante all’inizio della stagione, totalmente inutile. Per non parlare di A-Train, con una trama inutilissima e un’ottima conclusione servita su un piatto d’argento, ma del tutto sprecata.

Insomma, una serie che si conferma per nulla coraggiosa e del tutto incapace di rinnovarsi.

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Stranger Things 4 – La grande abboffata

Stranger Things 4 è la quarta stagione di una delle serie più amate di Netflix.

Un nuovo ciclo di episodi tornato dopo tre anni di assenza, e con una veste del tutto nuova: episodi dalla durata monumentale (minimo un’ora l’uno) e una distribuzione spezzata, con gli ultimi due episodi rilasciati a distanza di un mese.

Con questa stagione i Duffer Brother hanno voluto fare un grande passo avanti, anche se non riuscendoci fino in fondo.

Anzi, fallendo in alcuni aspetti fondamentali.

Di cosa parla Stranger Things 4?

In Stranger Things 4 ritroviamo per la prima volta i personaggi divisi, dopo il trasferimento della famiglia di Will, con a seguito anche Eleven, in California. Ma una nuova minaccia sembra farsi largo ad Hawkins, quando alcuni adolescenti sono ritrovati con il corpo devastato da una forza misteriosa…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Stranger Things 4?

In generale, assolutamente sì.

Nonostante non sia per nulla la mia stagione preferita (in un’ipotetica classifica occuperebbe un dignitoso terzo posto), tuttavia questi nuovi episodi hanno suscitato un enorme successo proprio per il fattore novità.

In particolare, la apprezzerete di certo se vi piace lo splatter, quello neanche troppo spinto, ma tipico di certa cinematografia horror Anni Ottanta.

Tuttavia se siete molto impressionabili e questo genere vi è davvero allergico, considerate che in questi episodi si è spinto molto di più sul versante horror, tanto da non renderlo più tanto un prodotto per ragazzi.

Io vi ho avvertito.

Top Stranger Things 4

Body horror e un villain accattivante

L’aspetto indubbiamente migliore di questa stagione è l’utilizzo quasi smaccato del body horror.

È ridicolmente facile in questo tipo di produzioni rendere scene di questo tipo banali e stupide (il riferimento alla più recente produzione di horror mainstream è voluta).

In questo caso invece le morti terrificanti dei personaggi sono veramente spaventose e finalmente Stranger Things abbraccia in tutto per tutto il genere horror.

Allo stesso modo il villain di questa stagione è indubbiamente il migliore finora. All’inizio sembrava un po’ un more of the same delle scorse stagioni, anche per l’utilizzo di topoi molto tipici dell’horror per ragazzi.

Tuttavia l’incredibile rivelazione finale mi ha davvero sorpreso, anche perché risulta totalmente coerente nel complesso della storia raccontata. Così, sia per le morti violente, sia per il design del villain, la CGI utilizzata è davvero ottima e credibile.

Anche la retcon riguardo al fatto che Vecna fosse in realtà stato sempre il villain di tutte le stagioni tutto sommato non mi è dispiaciuta: era questa obbligatorio tirare le fila a questo punto, in vista del finale dell’intera serie che arriverà con la prossima stagione.

Un’ottima costruzione della trama

Priah Ferguson (Erica), Gaten Matarazzo (Dustin), Caleb McLaughlin (Lucas) in una scena di Stranger Things 4 uscita su Netflix il 27 Maggio 2022

Nonostante qualche forzatura, di cui parlerò nella parte flop, nel complesso la trama principale è ottimamente costruita: le prime morti di personaggi secondarissimi, il coinvolgimento di personaggi principali, l’investigazione, le rivelazioni passo passo e, infine, lo scontro finale.

Un racconto lungo e molto ampio, ma assolutamente necessario.

La scelta di dividere la grande mole di personaggi è stata a tratti fastidiosa (la storia di Mike, Will e Jonathan era la meno interessante), ma assolutamente fondamentale per riuscire a gestire al meglio la storia e a dare il giusto spazio a tutti.

In particolare, anche per l’utilizzo di un trope molto comune per il genere: ragazzini contro un nemico enorme e a cui nessuno crede, con gli adulti che cercano di ostacolarli.

Semplice, ma sempre vincente.

La storia di Eleven

Bobbie Millie Brown (Eleven) in una scena di Stranger Things 4 uscita su Netflix il 27 Maggio 2022

I am different. I do not belong

Sono diversa. Non appartengo a questo posto.

La storia di Eleven prende veramente senso solamente alla fine: all’inizio tutta la questione del bullismo sembra veramente forzata (ed è sicuramente molto tipizzata), ma è un punto di partenza per raccontare il suo dramma interiore.

Il primo ciclo di episodi sono infatti preparatori per lo scontro finale: Eleven deve recuperare la sua identità, i suoi ricordi e poteri perduti, e così accettare sé stessa, con le sue luci e le sue ombre.

E spero, anche alla luce del finale, che questa stagione sia un punto di partenza per la maturazione del personaggio, che all’inizio della stagione (e comprensibilmente) appare spaesata e molto immatura.

In questo senso la chiusura del rapporto con papa è stato un buon punto di arrivo: non eccessivamente drammatico, nonostante lo scivolone un po’ imbarazzante della frase sei tu il vero mostro.

Una chiusura onesta e credibile, per cui Eleven si libera finalmente del peso di quello che, di fatto, è stato il suo aguzzino.

La rivalsa di Hopper

David Harbour (Jim Hopper) in una scena di Stranger Things 4 uscita su Netflix il 27 Maggio 2022

In questa stagione hanno voluto dare un ruolo molto più centrale ad Hopper, uno dei personaggi più amati della serie.

Dopo averci fatto piangere la sua morte, qui ritroviamo il nostro sceriffo prigioniero in Russia. E troviamo anche un personaggio pieno di risorse e astuzie, capace di salvarsi praticamente da solo, nonostante tutti gli ostacoli.

Fra l’altro per fortuna si è scelto di offrire una rappresentazione equilibrata dei due blocchi, senza sbilanciarsi né sulla crudeltà russa né su quella statunitense.

E facendo parlare i russi in russo, cosa per nulla scontata.

Vivere nel proprio tempo

Bobbie Millie Brown (Eleven), Finn Wolfhard (Mike) e Noah Schnapp (Will) in una scena di Stranger Things 4 uscita su Netflix il 27 Maggio 2022

Un grave difetto della terza stagione di Stranger Things era il fatto che per molti tratti si metteva in bocca ai personaggi discorsi e parole assolutamente fuori dal tempo (e non è solo un problema di Stranger Things, ovviamente).

In questo caso invece (e per fortuna) hanno deciso di tornare sui loro passi e far parlare i personaggi in maniera realistica e credibile.

Oltre a questo, si è continuato sulla buona strada di rappresentare personaggi di tutti i tipi, e soprattutto un gruppo di personaggi femminili piuttosto sfaccettati.

Ottima anche l’introduzione dei nuovi personaggi: Enzo, interpretato dall’ottimo Tom Wlaschiha, che abbiamo già visto in L’incredibile storia dell’Isola delle Rose (2020), e ovviamente di Eddie, che si è pure visto meno di quanto avrei voluto.

Ed ovviamente è morto.

Flop Stranger Things 4

Forzature e pesantezza

Joe Keery (Steve), Gaten Matarazzo (Dustin), Maya Hawke (Robin), Natalia Dyer (Nancy), Caleb McLaughlin (Lucas) e Sadie Sink (Max) in una scena di Stranger Things 4 uscita su Netflix il 27 Maggio 2022

La scelta di portare un minutaggio così importante non è stata del tutto vincente, in quanto la pesantezza, alla lunga, si è sentita.

Personalmente avrei la storia di Jason e del gruppo dei bulli, fondamentalmente inutile, e avrei fatto prendere altre strade al gruppo di Will. Così magari avrei anche semplificato la storia di Eleven, e in generale avrei distribuito la storia su più puntate.

Così ci sono anche non poche forzature: al di là dell’idea veramente idiota di mandare Eleven in una città sconosciuta lontano dai suoi amici (la stessa bambina, ricordiamolo, traumatizzata che non sa vivere nel mondo), tutta la sua storia ha delle forzature importanti.

In particolare, veramente poco credibile che venga arrestata e mandata in galera senza che un tutore venga interpellato, per un crimine neanche così grave.

Perché il finale non mi ha convinto

Jamie Campbell Bower nei panni di Vecna in una scena di Stranger Things 4 uscita su Netflix il 27 Maggio 2022

Molto banalmente, ho testato le mie reazioni al finale della stagione rispetto a quelle per la fine del primo ciclo di episodi.

E non sono riuscita a trovare effettivo trasporto ed interesse. L’unica eccezione è stato il riconciliamento fra Eleven e Hopper, che stavo aspettando con grande interesse.

Per il resto, non ho apprezzato il finale né nei suoi contenuti né per come è stato strutturato. Ho trovato abbastanza stancante questa durata infinita, quando, nella maniera più evidente, l’ultima puntata poteva essere divisa in due parti, dando un po’ di respiro allo spettatore.

Il momento in cui effettivamente Eleven sconfigge Vecna l’ho trovato improvviso e per nulla ben costruito, basato esclusivamente su una situazione al cardiopalma in cui lo spettatore teme per la morte di Max.

Ma per me ci vuole ben altro, e sicuramente ci voleva di più di Mike che incoraggia Eleven, la cui relazione non mi ha mai veramente coinvolto.

Oltre a questo, la tecnica di mostrare un’apparente calma per poi mettere un colpo di scena finale l’ho trovato più che scioccante, molto anti climatico. Sarebbe stato molto più intelligente costruire un climax drammatico che raccontava il fallimento, per una volta davvero, di Eleven.

Le morti gratuite

Joseph Quinn nei panni di Eddie in una scena di Stranger Things 4 uscita su Netflix il 27 Maggio 2022

Una scelta che mi ha fatto veramente arrabbiare di questa stagione è stata la morte di Eddie.

I Duffer Brothers hanno preso questa brutta abitudine di introdurre personaggi secondari amatissimi e ucciderli alla fine della stagione. Ovviamente Eddie è un personaggio adorato dai fan (me compresa) e ovviamente non poteva stare in vita per più di una stagione.

Tuttavia, come nelle scorse stagioni Bob e Alexei erano stati evidentemente eliminati perché, da un certo punto in poi, troppo ingombranti per la narrazione, la morte di Eddie è totalmente gratuita. Infatti non aggiunge veramente nulla alla trama, non era utile alla stessa, e l’ho trovata anche piuttosto smaccata.

Non era forse invece ora di sfoltire il gruppo di personaggi principali?

E no, non credo che Max sia veramente morta nella maniera più assoluta…

Robin e Nancy: la coppia che scoppia

Maya Hawke (Robin) e Natalia Dyer (Nancy) in una scena di Stranger Things 4 uscita su Netflix il 27 Maggio 2022

Un’idea poco vincente per me è stata quella di mettere Nancy e Robin nella stessa scena.

Nancy, personaggio già insipido e profondamente antipatico, ne emerge ancora più sconfitta davanti alla spettacolare performance di Maya Hawke, un personaggio invece divertente e frizzante, con un’attrice che sta dimostrando le sue capacità eccelse.

Niente di tutto questo ha né il personaggio di Nancy né l’attrice che la interpreta, purtroppo.

Nancy in generale mi ha dato meno fastidio del solito, se non fosse per il richiamo ancora a Barb, personaggio assolutamente sopravvalutato, così il tentativo di creare un triangolo amoroso fra lei, Steve e Jonathan.

Veramente insostenibile.

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The Umbrella Academy 3 – Sapersi rinnovare?

The Umbrella Academy è una serie mistery-fantascientifica di Netflix, giunta quest’anno alla sua terza stagione. Un prodotto piuttosto particolare, non per tutti i palati, ma di cui potreste facilmente innamorarvi.

La cominciai all’uscita della prima stagione, ma la abbandonai dopo il primo episodio, per poi recuperarla su consiglio di amici. E divorandomi le prime due stagioni.

Se non sapete niente di The Umbrella Academy e non siete sicuri che possa fare per voi, continuate a leggere. Se invece volete solo sentir parlare della terza stagione, cliccando qui potete passare direttamente alla parte spoiler.

The Umbrella Academy: Guida alla visione

Di cosa parla The Umbrella Academy?

Aidan Gallagher, Emmy Raver-Lampman, Robert Sheehan, David Castañeda, Elliot Page e Tom Hopper in una scena della seconda stagione di The Umbrella Academy, serie tv netflix

Il 1° ottobre 1989 43 donne in tutto il mondo partoriscono contemporaneamente, senza però essere mai state incinte. Un misterioso miliardario, Sir Reginald, adotta sette dei neonati per addestrarli ad usare i loro poteri speciali nella Umbrella Academy.

Se vi sembra la trama degli X-Man, ricredetevi: la serie prende da subito tutta un’altra direzione. Il gruppo infatti si divide piuttosto velocemente, rincontrandosi in occasione della morte del loro patrigno. E fin dalla prima puntata si comincia a parlare di Fine del Mondo…

Ha senso fare più stagioni?

La serie si dipana su più stagioni, che hanno ognuna una trama a sé stante, pur perfettamente collegata con il ciclo di episodi precedenti. In ogni stagione vi è una minaccia differente e spesso i personaggi partono divisi, per poi rincontrarsi alla fine.

Vi è comunque una trama di fondo che collega tutti gli episodi, che ancora alla terza stagione non è stato del tutto svelata. Quindi prevale molto il tono mistery e ovviamente fantascientifico, ma quel fantascientifico alla Guida intergalattica per autostoppisti e quindi alla Dirk Gently. Insomma, una fantascienza molto surreale e con diversi momenti comici.

The Umbrella Academy può fare per me?

Elliot Page e Adam Godley in una scena di The Umbrella Academy, serie tv Netflix

Per apprezzare The Umbrella Academy deve sicuramente piacervi il genere della fantascienza e del mistery, anche piuttosto intricato e surreale, che però non si prende mai sul serio.

Se avete in mente gli esempi sopra fatti, ovvero Guida intergalattica per autostoppisti e la serie Dirk Gently, avete sicuramente capito di cosa state parlando. E se vi piace questo tipo di prodotti, molto probabilmente farà per voi.

Nel dubbio, vi lascio il trailer della prima stagione.

Di cosa parla la terza stagione di The Umbrella Academy

Nella terza stagione il gruppo si trova subito a scontarsi con la Sparrow Academy, il gruppo supereroistico che sembra aver preso il loro posto. La scoperta della verità su questa nuova dimensione porterà anche allo svelamento di una nuova minaccia.

Vale la pena di vedere The Umbrella Academy 3?

Aidan Gallagher, David Castañeda,Tom Hopper e Robert Sheehan in una scena della seconda stagione di The Umbrella Academy, serie tv netflix

In generale, sì. Fra le stagioni è per me la più debole: pur mantenendo il suo tono e le sue dinamiche, vi è una grande problematica di dispersione della trama, che fino alla fine non sembra avere una direzione chiara. Oltre a questo, vi è un peggioramento terribile di alcuni personaggi, così come le dinamiche di coppie vecchie e nuove che ho trovato a tratti nauseanti.

Tuttavia, a parte questo, non è una stagione che mi sento del tutto di sconsigliare: nonostante tutti i difetti, sono contenta di averla vista e aver scoperto il prosieguo della trama, che comunque nel complesso è anche interessante. E andiamo avanti con la quarta stagione.

Non avere una direzione

Aidan Gallagher, Emmy Raver-Lampman, Robert Sheehan, David Castañeda, Elliot Page e Tom Hopper in una scena della seconda stagione di The Umbrella Academy, serie tv netflix

Come anticipato, per me il grande problema della stagione è stata proprio la sua dispersività: ho avuto la sensazione per la maggior parte del tempo che i personaggi vagassero in scena, senza avere una direzione precisa, incappando incidentalmente in delle storyline.

E vi sono state una marea di scena e dinamiche che per me sono state una grandissima perdita di tempo, per poi correre sul finale, lasciando un sacco di dubbi irrisolti. Oltre a questo, mi è personalmente mancata la presenza della Commissione come villain o comunque minaccia, che desse un po’ più di tridimensionalità alla vicenda.

La Sparrow Academy

La Sparrow Academy è stata una delle parti che mi ha più convinto della serie: mi sono piaciuti i personaggi che, a parte Sloane, sono tutti terribilmente sgradevoli. In particolare mi è piaciuto come è stato caratterizzato Ben, il fratello sempre rimpianto, che in questa veste è invece un personaggio estremamente negativo.

Tuttavia mi è al contempo dispiaciuto che la loro storia non sia stata più di tanto approfondita, lasciando un po’ di buchi ed eliminando sistematicamente i suoi componenti. Evidentemente la scena sembrava troppo affollata, tanto che per certi versi questi personaggi, tranne Ben e Sloane, mi sono sembrati un po’ usa-e-getta.

Due relazioni a confronto

Le due relazioni più forti della stagione sono quelle di Diego e Lila e di Luther e Sloane. Come ho trovato insopportabile la prima, ho adorato la seconda: Diego e Lila li ho davvero trovati estenuanti, non sono per niente stata coinvolta dalle loro dinamiche, e in certe scene le ho trovate anche eccessivamente melense.

Al contrato il nuovo amore fra Luther e Sloane a sorpresa mi è piaciuto moltissimo, nella sua semplicità e ingenuità. Un amore fra l’altro messo continuamente alla prova dalle continue sparizioni dell’uno e dell’altro. Spero sinceramente che questa storia sia portata avanti, e che non scelgano invece di riesumare la coppia di Luther e Allison.

Il vero problema: Allison

Emmy Raver-Lampman in una scena della terza stagione di The Umbrella Academy, serie tv netflix

Allison è stata la parte peggiore dell’intera stagione. Non so esattamente cosa avessero in mente con questo personaggio, ma io l’ho trovato insostenibile, sia nei momenti in cui dovremmo empatizzare con lei, sia quanto entra totalmente nella sua spirale negativa.

Alla millesima volta in cui si lamentava di aver perso la figlia e il marito, sempre come se tutti i problemi al mondo fossero solo i suoi, non ne potevo davvero più. Così la sua spirale negativa l’ho trovata eccessiva, e, soprattutto, non perdonabile, nonostante Victor le continui a correrle dietro e tutti i personaggi siano sempre pronti a perdonarla.

Nell’ordine Allison ha ucciso una persona cara a suo fratello, ha cercato di forzare Luther ad avere una relazione con lei, ha mentito a tutta la sua famiglia e si è alleata alle spalle della stessa, mettendo tutti in pericolo per il proprio tornaconto. Direi che è oltre il perdonabile. Ma, purtroppo, sono sicura che verrà reintegrata facilmente.

La questione di Elliot Page

L’attore di Victor, Elliot Page, ha recentemente fatto coming-out, dicendo di sentirsi un uomo e cambiando anche il suo nome. Nella prime due stagioni interpretava un personaggio femminile, mentre in questa stagione anche il suo personaggio cambia genere e nome, diventando appunto Victor.

Per quanto per certi versi l’ho trovata un po’ tirata, penso che sia stato più che giusto questo cambiamento, e in certi passaggi l’ho trovato anche toccante il modo in cui è stato messo in scena.

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Obi-Wan Kenobi – Un inutile girotondo

Obi-Wan Kenobi è l’ultima serie dell’universo di Star Wars, conclusasi questa settimana. Il terzo prodotto che la piattaforma propone agli appassionati della saga, dopo prodotti discutibili, ma nondimeno di grande successo, come The Mandalorian e The Book of Boba Fett.

Questa serie per me è un clamoroso fallimento, sotto tantissimi aspetti: registico, di scrittura, di coerenza, di distruzione del canon. Insomma, ce n’è per tutti i gusti. Tuttavia la serie ha avuto un enorme successo, e si vocifera già una seconda stagione…

Di cosa parla Obi-Wan Kenobi?

La serie si ambienta fra Episodio III ed Episodio IV (se non sapete di cosa sto parlando, ecco una guida per voi), ovvero nel periodo di apparente ritiro di Obi-Wan. Dieci anni dopo lo scontro con Anakin, lo jedi viene riportato sul campo per il rapimento della giovane Leila Organa, portandolo a scontrarsi con il suo mortale nemico…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea.

Guida alla visione

Perché non vedere Obi-Wan Kenobi

Moses Ingram e Vivien Lyra in una scena della serie Obi-wan Kenobi per Disney+

Le motivazioni per perdersi totalmente questa visione sono tanti e vari. Senza andare nello specifico, la serie di fatto non aggiunge niente a Star Wars. Anche se potrebbe sembrare il contrario, Obi-Wan Kenobi costruisce una storia arraffazzonata, senza né capo né coda, che non va ad arricchire il canone, ma, al contrario, a rovinarlo.

Troviamo diverse e terrificanti retcon, che vanno veramente a snaturare il senso della Trilogia Originale stessa. Oltre a questo, la trama è di un ripetitivo insostenibile e si basa solamente su fan service gratuito, e pure mal fatto. E non fatemi cominciare sui personaggi.

Perché vedere Obi-Wan Kenobi

Ewan McGregor in una scena della serie Obi-wan Kenobi per Disney+

Per me Obi-Wan Kenobi è una serie che può piacere a due condizioni: essere irrimediabilmente innamorati della trilogia prequel e godere quando si rimpasta il canone, tutto pur di avere del fan service.

Purtroppo questa è ormai la norma. Tuttavia, se tutto sommato serie come The Mandalorian e soprattutto The Book of Boba Fett vi sono piaciute e siete riusciti a passare sopra a tutto, allora potrebbe pure a piacervi. E magari, arrivando con aspettative bassissime, potreste pure godervela.

Ewan McGregor: crederci

Ewan McGregor in una scena della serie Obi-wan Kenobi per Disney+

Io voglio molto bene a Ewan McGregor ed è un attore che apprezzo molto. Purtroppo negli ultimi anni è entrato in una spirale molto negativa, inanellando un flop dietro l’altro: da Il ritorno al bosco dei 100 Acri (2018) non ne ha imboccata una.

Tuttavia, seguendo comunque da vicino la sua carriera, non ho mai visto un prodotto in cui McGregor non si sia quantomeno impegnato. E questo è anche il caso di Obi-Wan, personaggio per cui ha dimostrato un sincero entusiasmo.

Non a caso nella serie è il personaggio fra tutti più credibile. Tuttavia, in un gruppo di personaggio uno più improbabile e peggio interpretato dell’altro, non era tanto difficile. Nondimeno ammiro la passione che indubbiamente l’attore ci ha messo.

Baby Leila: che belli gli Anni Novanta

Vivien Lyra in una scena della serie Obi-wan Kenobi per Disney+

Baby Leila è stata il mio incubo. Non c’è niente di peggio di quando un prodotto vuole venderti un personaggio in un certo modo, mentre tu lo vivi completamente all’opposto. Il suo personaggio ha risvegliato le mie paure più recondite, in particolare il bambino di Bugiardo Bugiardo (1997), per me l’emblema dei bambini insopportabili dei film degli Anni Novanta.

Leila dovrebbe essere un prequel al personaggio della Trilogia Originale, e già questo è stato un passo falso: forse non ve lo ricordate, ma la recitazione della compianta Carrie Fisher, soprattutto in Una nuova speranza (1977) era insopportabilmente sopra le righe. Quindi provare a mimarne la recitazione è stata un’idea terribile

Oltre a questo, l’attrice in questo caso è obbiettivamente pessima. Potrebbe pure essere che sia stata diretta male, come d’altronde la maggior parte degli interpreti della serie, ma la sua recitazione è davvero scadente. E non giustificabile per via dell’età: vi ricordo che l’attrice al tempo delle riprese aveva nove anni, Jude Hill ne aveva dieci ai tempi delle riprese di Belfast (2021) e i protagonisti di Stranger Things avevano appena undici anni al tempo delle riprese della prima stagione.

Insomma, se si cercano, gli attori bambini talentuosi si trovano.

Reva, non ti ho capito

Moses Ingram in una scena della serie Obi-wan Kenobi per Disney+

Ammetto i miei limiti: non ho proprio capito il personaggio di Reva. Non ne ho capito la storia, il senso, le motivazioni, nulla. Parte come il villain più stereotipato possibile, con una recitazione agghiacciante e con sequenze da far invidia al Goblin di William Dafoe in Spiderman (2001).

Dopo, ne vengono rivelate le (prevedibilissime) motivazioni e da lì per cinque minuti assume un significato, poi si perde totalmente nell’ultima puntata. Non si capisce come abbia in primo luogo capito che il bambino di cui si parlava alla fine della quinta puntata fosse Luke e, più in generale, non si capisce cosa volesse fare e per quale motivo.

Mi dispiace veramente vedere un’attrice che è stata premiata con una candidatura agli Emmy per la sua interpretazione ne La regina degli scacchi appiattita in questo modo nelle mani di una regista davvero incapace.

Dart Vader: ma perché?

Molti fan si sono strappati le vesti nel sapere che Haiden Kristensen sarebbe tornato nei panni di Vader. E non ne ho capito il motivo, visto che l’attore è un riconosciuto cane ed si è fondamentalmente rovinato la vita con la sua interpretazione nella trilogia prequel.

Per fortuna non si vede praticamente mai in faccia, ma riesce comunque a rovinare nuovamente il personaggio con una recitazione corporea per nulla credibile. L’unico che avrebbe potuto aiutarlo poteva essere la storica voce del personaggio, James Earl Jones, che effettivamente lo doppia nella serie.

Tuttavia anche questo povero attore, ormai novantenne, si è rivelato totalmente incapace di tornare nel ruolo. Di fatto Vader sembra nè più nè meno che il cattivo di un videogioco Anni Novanta di Serie B, con un set preimpostato di frasi.

Una scrittura delirante

Insieme alla regia, la scrittura è se possibile il punto più basso della serie. In origine il progetto era di un film con un numero di eventi limitati. Quindi, dovendo fare una serie e non avendo la minima idea di cosa invertasi, si è scelto di duplicare gli eventi.

Così Leila viene rapita due volte, così abbiamo due scontri. E gli errori di sceneggiatura sono incalcolabili: come ha fatto Reva a sopravvivere all’attacco di Anakin? Con quale credibilità nella prima puntata Leila (ricordiamo, una bambina di dieci anni) parla come un’adulta, come la serie stessa sottolinea? Perché nella terza puntata Obi-Wan non è capace di aspettare un paio di minuti l’arrivo del suo contatto? Qual era il motivo di far rapire Obi-Wan nella quinta puntata per poi farlo scappare un attimo dopo? E si potrebbe andare avanti.

Sulla questione delle retcon, non voglio dilungarmi troppo. Mi basta nominare la più grave: per quello che vediamo in Una nuova speranza, non è credibile che Leila e Obi-Wan avessero il rapporto affettuoso mostrato nella serie.

Dare una serie ad un incapace

Prima di cominciare a dire solo il peggio sulla regia, devo spezzare una piccola lancia: ogni tanto azzecca qualche campo lungo con i personaggi in scena. Per il resto, disastro. Deborah Chow non è proprio capace di mettere i personaggi in scena e di farli muovere.

L’esempio più eclatante è sicuramente la puntata quattro nella sua interezza, nella quale Tala continua a comunicare con Obi-Wan e mette fuori gioco diversi personaggi senza che nessuno si accorga di nulla, nella maniera meno credibile possibile. E così Obi-Wan fugge con Leila nascosta sotto all’impermeabile, in un siparietto comico-grottesco che vorrebbe tenerti sulle spine, ma nella migliore delle ipotesi fa ridere.

Per non parlare della ridicola scena dell’inseguimento di Leila nella prima puntata, dove si vede che l’attrice sta effettivamente camminando e quelli che la inseguono fanno così evidentemente finta di correre da far veramente ridere.

Non so chi abbia avuto l’idea di mettere in mano ad una novellina una serie così importante, ma spero che si penta per il resto della vita.

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Stranger Things 3 – Finalmente l’horror

Stranger Things 3 ovvero la terza stagione di una delle serie di maggior successo di Netflix, fu la prima che ebbe il sapore di evento.

Il nuovo ciclo di episodi uscì dopo che i fan erano rimasti a bocca asciutta per ben due anni. E questa volta i Duffer Brothers vollero puntare sul fattore novità, dopo una seconda stagione che, pur ottima, sembrava un more of the same della prima.

In questa stagione invece ci si concentra molto di più sull’entrata dei protagonisti nell’età adolescenziale, proprio nell’estate prima del loro approdo al liceo, con tutte le conseguenze del caso (e non sempre piacevoli).

Ma la novità più importante, ulteriormente confermata dalla stagione successiva, è finalmente la scelta di puntare davvero sul genere horror.

Di cosa parla Stranger Things 3?

Nella terza stagione i protagonisti, ormai adolescenti, si districano nelle loro relazioni sentimentali appena sbocciate, con tutto il dramma che solo l’adolescenza può regalare…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di guardare Stranger Things 3?

Sadie Sink, Caleb McLaughlin, Finn Wolfhard, Noah Schnapp e Millie Bobbie Brown in una scena di Stranger Things 3 (2019) serie tv Netflix dei Duffer Brothers

Assolutamente sì.

La terza stagione di Stranger Things è fra le mie preferite, seconda solo alla prima. Sicuramente, se vi è piaciuta la serie fino a qui, non potete perdervi questa terza stagione, che porta grande freschezza al prodotto, smarcandosi dall’atmosfera di Halloween come le prime due.

Inoltre, come anticipato, ci si avvicina definitivamente al genere orrorifico, ispirandosi meravigliosamente alle atmosfere de La Cosa (1982), il principale riferimento dell’intera stagione.

E già questo è tutto un programma.

Top Stranger Things 3

Robin: una scelta vincente

Maya Hawke in una scena di Stranger Things 3 (2019) serie tv Netflix dei Duffer Brothers

Robin è stata la scelta migliore che Stranger Things potesse mai fare. Per chi non lo sapesse, questa splendida attrice è figlia di Uma Thurman e Ethan Hawke, e questo ci dice già molte cose.

Un personaggio davvero stupendo, che in una sola stagione è entrata nel cuore dei fan dal primo minuto, confermando la capacità dei Duffer Brothers di saper introdurre e creare sapientemente nuovi personaggi, soprattutto femminili.

Robin viene da subito inclusa nella coppia esplosiva di Dustin e Steve, dimostrandosi immediatamente capace e di fatto fondamentale per sciogliere il mistero. Così è adorabile il suo rapporto con Steve: ci hanno illuso per un’intera stagione, introducendo invece a sorpresa il primo personaggio queer (dichiarato) della serie.

Un mistero ben costruito

Il Mind Flayer in una scena di Stranger Things 3 (2019) serie tv Netflix dei Duffer Brothers

Dopo un tentativo di cambiare rotta nella seconda stagione, in questo ciclo di episodi si è deciso di tornare alle dinamiche della prima stagione, in cui i personaggi scoprono autonomamente un pezzo del mistero, per poi incontrarsi per il combattimento finale.

Ho decisamente preferito che il mistero fosse presente fin dalla prima puntata, così che le trame secondarie, soprattutto quelle teen, non siano così pressanti, ma anzi portino dei momenti importanti della trama. Proprio come nella prima stagione, appunto.

Inoltre, finalmente il personaggio di Billy, che avevo poco apprezzato alla sua introduzione, ha un senso di esistere. E in generale la trama horror l’ho trovata veramente ottima, terrificante al punto giusto, senza mai scadere nello splatter troppo spinto.

La follia dell’adolescenza

Caleb McLaughlin, Finn Wolfhard e Noah Schnapp in una scena di Stranger Things 3 (2019) serie tv Netflix dei Duffer Brothers

Max dumped me like five times

Per quanto la parte teen sia quella che mi interessa di meno in assoluto, devo riconoscere che, a differenza di come era stata trattata la trama di Nancy nella prima stagione, in questo caso si procede con uno sferzante e quasi folle realismo.

Infatti, è assolutamente credibile che i protagonisti, comunque ancora molto giovani (dovrebbero avere ancora quattordici anni) non riescano a districarsi agevolmente in queste relazioni nuove di zecca.

Anche se, come spiegherò nella parte flop, su alcune cose hanno esagerato, tutto sommato è ben scritta.

La parte più triste è l’altro lato della medaglia, Will.

Indipendentemente da quello che viene rivelato nella quarta stagione, il suo personaggio si sente totalmente tradito dal nuovo atteggiamento dei suoi amici, che sono saltati sul carro dell’adolescenza prima di quanto lui si aspettasse e prima che fosse pronto a sua volta.

L’evoluzione di Eleven

Millie Bobbie Brown in una scena di Stranger Things 3 (2019) serie tv Netflix dei Duffer Brothers

Per me questa non è la stagione migliore per il personaggio di Eleven. Tuttavia, secondo lo stesso ragionamento di quanto detto sopra, il suo comportamento è assolutamente credibile e realistico.

Lei infatti è sicuramente il personaggio più spaesato dalla sua relazione con Mike, e anche quella che ha il piglio più ribelle fin dalla prima stagione.

Purtroppo, come spiegherò dopo, il suo personaggio è davvero inquinato dalla presenza di Max, ma è quantomeno bello vederla evolversi in strade che non riguardino solamente i suoi poteri.

Oltre a questo, il rapporto con Hopper, per quanto faccia un passo indietro, è davvero esilarante, soprattutto per la scena in cui minaccia Mike. E per questo vi lascio qua sotto i bloopers, gustosissimi soprattutto per la scena appunto in cui Hopper cerca di parlare con Mike e El.

Personaggi secondari esplosivi

Oleh Yutgof e Priah Ferguson in una scena di Stranger Things 3 (2019) serie tv Netflix dei Duffer Brothers

Come nella scorsa stagione, anche in questa sono stati introdotti (o reintrodotti) dei bellissimi personaggi secondari.

Anzitutto Erica, che era già presente nella scorsa stagione ma che in questo ciclo di episodi è diventata qui molto più protagonista. Io, personalmente, la trovo davvero esilarante. E mi piace molto anche il discorso che lei cerca di essere la cool girl che vuole prendere in giro di nerd, pur essendolo lei stessa.

E alla fine accettando questa parte di sé.

Ma la grande sorpresa di questa stagione è stato sicuramente Alexei, che segue purtroppo la stessa via di Bob nella scorsa stagione: un personaggio chiave, che adori fin dal primo minuto, che raggiunge il suo climax, e viene brutalmente eliminato appena ha concluso la sua funzione.

Flop Stranger Things 3

Max: la difficoltà di portare avanti un personaggio

Sadie Sink e Millie Bobbie Brown in una scena di Stranger Things 3 (2019) serie tv Netflix dei Duffer Brothers

Per me Max rappresenta il problema principale della stagione: non sapersi dare dei limiti.

Il suo personaggio diventa inutilmente aggressivo e fondamentalmente stupido, facendosi portavoce in maniera del tutto insensata di ideali anche giusti, inquinati dal suo isterismo e dalla sua irrazionalità.

Oltre a questo, il fatto che Max stia sbagliando è evidente da quanto la regia indugi su Mike, che non sa come comportarsi davanti alla sua amica che sbotta cose assurde su come lui non sia a capo delle decisioni di Eleven.

Oltretutto Mike è un personaggio evidentemente positivo, che evidentemente si preoccupa di Eleven e della sua incolumità. E, dopo averla persa già una volta, è del tutto comprensibile. Insomma,

Max è una grande occasione persa di un personaggio introdotto molto bene, ma del tutto appiattito in questa stagione.

Il punto più basso di Nancy

Natalia Dyer in una scena di Stranger Things 3 (2019) serie tv Netflix dei Duffer Brothers

Non è un mistero che per me Nancy sia la parte più debole di tutto Stranger Things, e in questa stagione raggiunge il suo punto più basso.

In questi episodi è infatti associata ad una dinamica se possibile ancora più ridicola e assurda di quelle di Max, in cui è fortemente bullizzata dalla redazione nel giornale.

Ma, appunto, per la dinamica poco credibile, non sono riuscita né a credere a quello che vedevo né ad esserne coinvolta.

I suoi atteggiamenti li trovo sempre al limite dell’estenuante, perché sembra sempre che faccia le cose non per un obbiettivo, ma per dimostrare qualcosa. Sicuramente è un personaggio in cui tante giovani donne possono identificarsi, soprattutto rendendola (a mio parare in maniera ridicola) la donna forte e protagonista dell’azione.

Non è il mio caso.

Devo piangere?

David Harbour e Winona Ryder in una scena di Stranger Things 3 (2019) serie tv Netflix dei Duffer Brothers

Per quanto la trama di Hopper e Joyce mi sia piaciuta molto, ho davvero mal sopportato, anche se a posteriori, l’apparentemente morte di Hopper, che è stata smentita immediatamente dalla scena post credit dell’ultima puntata.

Mi è sembrata la classica scelta che porta alla lacrima facile dello spettatore, togliendo di mezzo uno dei personaggi più amati della serie, con una costruzione anche abbastanza raffazzonata.

Il mio problema con La storia infinita

Questo non è di per sé un flop, ma una mia confessione.

La scena di Suzie e Dustin che, totalmente a sorpresa, cantano la canzone di La storia infinita (1984), ha fatto impazzire moltissimi.

Purtroppo, non è il mio caso: quel film non è per nulla un cult della mia infanzia. Ed è stato micidiale non trovarsi nel target per una scena che evidentemente voleva emozionare.

La stessa sensazione che si potrebbe provare quando, guardando Spiderman No Way Home (2021), vedere arrivare gli Spiderman di Garfield e Mcguire senza conoscerli per nulla.

Come in tutte le stagioni di Stranger Things, anche questa è piena di riferimenti a fenomeni culturali e sociali del periodo.

Ma in questo caso vale la pena di spenderci due parole.

Il primo riferimento importante riguarda i centri commerciali: l’apertura del nuovo shopping centre a Hawkins diventa la maggiore attrattiva per i protagonisti, ancora di più della Sala Giochi nella scorsa stagione.

Ed è assolutamente realistico: per centri così piccoli come Hawkins, avere a portata di mano un luogo in cui, a poca distanza, si potesse godere di tutti i benefici di vivere in una grande città, era una bellissima ed emozionante novità.

Ma ancora più interessante è inserire la New Coke, un caso studio di marketing fallimentare.

Nell’aprile del 1985 la Coca Cola provò a rilanciarsi cambiando la formula della sua bevanda iconica, scatenando delle asprissime polemiche (le stesse che vediamo nella serie, appunto).

Un esperimento brevissimo: l’11 luglio 1985 (pochi giorni dopo la conclusione della terza stagione) venne ripristinata la formula originale, denominata Coca Cola Classic.