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Severance – Contro me stesso

Severance è una serie tv Apple Tv+, piattaforma streaming che sembra ormai incapace di produrre prodotti di scarso valore: da Fondazione a Ted Lasso, era da tanto che non si vedevano prodotti di così altro livello, uno dietro l’altro.

Severance, in Italia nota come Scissione, è infatti una serie di altissimo valore, che sono riuscita a divorarmi in pochissimo tempo, tanto era la tensione ed il coinvolgimento che mi ha offerto.

Di cosa parla Severance?

Mark è impiegato per due anni in un’azienda molto particolare: per accedere al lavoro ogni dipendente deve sottoporsi all’operazione della severance, che permette di dividere la vita privata da quella lavorativa…

Vi lascio qui la sigla, che è già abbastanza autoesplicativa…

Vale la pena di vedere Severance?

Adam scott in Severance, serie tv di Apple Tv+ nota in Italia come Scissione

Assolutamente sì.

Severance è già un piccolo cult, soprattutto oltreoceano: oltre ad un’ottima costruzione del mistero, la serie può godere di un ricco world building e di personaggi interessanti e intriganti, persino i più secondari.

Si tratta di una fantascienza piuttosto particolare, che si avvicina come tematiche e atmosfere a Black Mirror – in particolare allo speciale White Christmas (2015) – e gode di villain tremendamente inquietanti e di una trama assolutamente coinvolgente.

Insomma, assolutamente imperdibile.

Ogni elemento al suo posto

Zach Cherry, Britt Lower, John Turturro e Adam scott in Severance, serie tv di Apple Tv+ nota in Italia come Scissione

L’ottima qualità di Severance risiede soprattutto nella scrittura ben calibrata e che mette tutti gli elementi al loro posto.

Infatti, per la costruzione di un mistero che tenga col fiato sospeso lo spettatore, è importante che la soluzione dello stesso sia potenzialmente accessibile, tendenzialmente nelle mani di un personaggio.

In questo caso questo ruolo è ricoperto da Petey, che purtroppo dura pochissime puntate, e che serve solo come punto di partenza per la risoluzione del mistero – che poi non è neanche veramente risolto.

A differenza di altre occasioni in cui semplicemente i personaggi potevano mettersi ad un tavolo e in dieci minuti tutto si sarebbe risolto, in Severance la fonte della soluzione è poco attendibile e ritrosa anche a raccontare quello che conosce, con delle dinamiche assolutamente credibili – e non è scontato.

E, per rendere la risoluzione ancora più difficile, il protagonista non è del tutto convinto di voler conoscere la verità.

Al contempo un elemento fondamentale per avere un buon world building ed evitare spiegoni inutili è la presenza di un personaggio esterno alla storia che venga introdotto nel nuovo ambiente raccontato, al pari dello spettatore.

In questo caso ancora di più il personaggio nuovo, Helly, è una scheggia impazzita: di fatto, se lei non avesse cercato di ribellarsi, non avremmo saputo la maggior parte delle torture e dei segreti della Lumon.

L’alienazione e l’infantilizzazione

Zach Cherry, Britt Lower, John Turturro e Adam scott in Severance, serie tv di Apple Tv+ nota in Italia come Scissione

The work is important and mysterious

La strategia di Lumon, solo apparentemente favorevole per il lavoratore che si può distaccare dallo stress lavorativo, è in realtà un metodo di totale alienazione e di conseguente infantilizzazione del lavoratore.

Chi lavora alla Lumon viene infatti privato della sua personalità, delle sue memorie, e quindi delle sue libertà. Messo in stanze senza finestre, senza quindi possibilità di vedere il mondo esterno, senza avere neanche idea di come sia fatto.

Così essere totalmente alienato dal suo lavoro, senza sapere cosa produce e addirittura cosa significa quello che sta facendo.

Al contempo una totale infantilizzazione: il dipendente viene ricompensato del buon lavoro fatto con dei premietti, delle piccole gratificazioni senza alcun valore, dalle gomme da cancellare a cinque minuti di musica.

Oltre a questo, il lavoro sembra più un videogioco che un lavoro effettivo. Questo aspetto si nota in particolare quando Helly riesce a completare il file e gli viene mostrata una cut scene di Kier che si complimenta con lei.

Ancora peggio la questione della break room: teoricamente significherebbe la stanza della pausa (da break, pausa), ma in realtà è la stanza che ti rompe, fisicamente e soprattutto mentalmente.

Una terribile tortura psicologica, assimilabile a quando alle elementari fanno scrivere mille volte ai bambini sulla lavagna quello che non dovrebbe fare. E così il lavoratore vive nel terrore di doverlo fare ancora, e in qualche modo assimila anche quello che ha dovuto ripetere all’infinito.

E così viene spezzato, appunto.

Le facce giuste

Adam scott in Severance, serie tv di Apple Tv+ nota in Italia come Scissione

La scelta del cast è ottima: le facce giuste, le facce particolari, che si sposano con il carattere grottesco e surreale della serie.

In particolare, Adam Scott, che interpreta Mark, attore che, possiamo dirlo, ha una faccia molto particolare, ma, soprattutto, veramente antipatica. Infatti, la maggior parte delle volte interpreta personaggi negativi e sgradevoli.

In questo caso, come personaggio chiuso in se stesso e remissivo, funziona alla perfezione.

Così perfetti anche Zach Cherry e soprattutto John Turturro, che sono riusciti a mettere in scena dei credibili impiegati, le facce che ti aspetteresti entrando in qualsiasi ufficio americano.

Per i villain è un discorso a parte.

I villain

Patricia Arquette  in Severance, serie tv di Apple Tv+ nota in Italia come Scissione

I villain sono costruiti a regola d’arte, con dei volti e degli interpreti azzeccatissimi. In primo luogo, Mrs. Cobel, interpretata dall’ottima Patricia Arquette, con i suoi occhi di ghiaccio e i capelli color ferro, perfettamente acconciati.

Una donna accecata dal culto della persona di Kier, apparentemente calma e calcolatrice, in realtà irosa e violenta.

Insomma, una donna di cui avere paura.

Tramell Tillman in Severance, serie tv di Apple Tv+ nota in Italia come Scissione

Good man Dylan, good man

Mr. Milchick a Dylan

Ancora più inquietante Mr Milchick, che cerca di vendere questa apparenza di uomo festoso e cordiale, quasi da animatore del villaggio turistico, in certe scene al limite del grottesco.

Infatti, è sempre lui che porta i premi ai lavoratori, ma anche quello che glieli toglie e li tortura nella break room. Fra l’altro Tramell Tillman, l’attore che lo interpreta, ha una capacità di cambiare espressione nel giro di pochi secondi veramente ammirevole.

La Severance ti ha cambiato

Britt Lower in Severance, serie tv di Apple Tv+ nota in Italia come Scissione

I am a person. You are not.

Helen outie alla sua innie

Per la maggior parte dei personaggi che hanno subito la severance, non sembra che ci siano particolari cambiamenti nel loro carattere e modo di fare fra le loro versioni innie e outie. Tutti tranne Helly, che poi conosciamo come Helen.

Il maggior colpo di scena della serie, ma al contempo il più importante mistero e spunto di riflessione.

Chi poteva immaginare che la piccola Helly, indottrinata fin da piccola alle idee di Kier, potesse diventare la prima dei ribelli? Helly è la prima a stupirsi, non riuscendo ad accettare l’idea che la sua outie possa rivoltarsi contro di lei.

E invece la stessa accentua ancora di più l’alienazione e la spersonalizzazione del lavoratore, negandogli in via definitiva la sua identità, anzi distaccandosi dalla sua persona.

E Helly riesce in parte a prendersi la sua vendetta.

Cosa non mi ha convinto di Severance

John Turturro e Christopher Walken nella serie tv di Apple Tv+ nota in Italia come Scissione

Ci sono alcune piccole cose che non mi hanno del tutto convinto della serie Severance.

Anzitutto, per quanto sia stato molto coraggioso includere una coppia non solo omosessuale, ma anche di personaggi anziani (scelta rarissima nelle produzioni mainstream), ho trovato che la loro relazione sia stata eccessivamente drammatizzata.

Infatti, la loro storia mi ha convinto, anche molto, fino a quando Irving non va a bussare disperatamente alla porta di Burt outie, scelta che ho trovato appunto troppo eccessiva.

Al contempo, spero sia meglio spiegata la questione del perché ci sia così poco controllo e di fatto un personale ridottissimo all’interno di Lumon: tutti i protagonisti hanno la possibilità di fare molte cose che, se non ci fossero solo quattro gatti in quella azienda, non avrebbero mai potuto fare.

Ma, a parte questo, una serie magnifica.

Cosa sappiamo finora

La serie lascia aperti molti interrogativi, anche perché, secondo dichiarazione degli stessi showrunner, era stata pensata per diverse stagioni.

Per ora quello che sappiamo è che Helen aveva deciso di sottoporsi alla severance, che la sua outie è assolutamente spietata, e che è riuscita per qualche secondo a parlare al mondo della sua condizione. Mrs. Cobel l’ha minacciata di non farla più tornare dentro a Lumon, e quindi è possibile che, almeno all’inizio, non la vedremo più, almeno come innie.

E magari conosceremo meglio la sua outie.

Per quanto riguarda Mark, è riuscito effettivamente a parlare con la sorella della Lumon, e quindi a questo punto sia il suo outie che la sorella stessa cercheranno di penetrare all’interno dell’azienda, anche se probabilmente con non poche difficoltà, visto lo strapotere dell’azienda.

Al contempo Mark dovrà ritrovare la sua moglie perduta, che fa probabilmente parte di un piano più articolato per testare la severance.

La cosa particolare è che la moglie nella sua versione innie dice di aver vissuto 107 ore, che corrispondono a circa 13 giorni lavorativi. Veramente poco: che la Lumon avesse in qualche modo il suo corpo in questo misterioso testing floor per due anni per poi testarlo su Mark e avere la certezza che la severance funzionasse?

Altre teorie più fantasiose ipotizzano che la Board sia in realtà formata dalle coscienze digitalizzate dei fondatori o dei vari CEO dell’azienda, e che quindi non siano persone reali.

A tutte queste domande, potremo rispondere almeno fra un anno. Infatti, ancora non è stato annunciato l’inizio della produzione, anche se, visti i tempi piuttosto celeri di conferma di un seguito, forse già la prossima primavera potremo goderci la seconda stagione.

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South Park: Guida alla visione

South Park è una serie d’animazione satirica statunitense, giunta quest’anno alla venticinquesima stagione. Una serie che mi ha accompagnato per la maggior parte della mia vita, da quanto la scoprì ancora forse troppo giovane per capirne le battute, rimanendone una fan fedele ancora oggi.

Una serie incredibile per molti motivi: non va confusa con prodotti apparentemente simili come I Simpson e I Griffin, che in realtà non c’entrano assolutamente nulla. South Park è infatti una serie sui generis, che gode di ottima salute e che ha una durata potenzialmente infinita.

Di cosa parla South Park

Cartman, Kyle, Wendy, Red, Clyde in una scena della serie South Park

Partiamo dalle base: South Park non è una sitcom.

Almeno non in senso stretto.

È più che altro una serie satirica di stampo comico: si concentra tramite i suoi protagonisti sugli argomenti di più stringente attualità con una tecnica di animazione molto particolare (di cui parlerò più avanti).

La serie vede come protagonisti un quartetto di ragazzini che abitano nella città di South Park in Colorado. Il più importante dei quattro è Cartman, che rappresenta l’americano medio e spesso al centro delle storie più assurde.

Tuttavia, la serie spazia anche su trame e personaggi molto diversi.

Come è possibile essere così attuali

Kyle e Stan in una scena della serie South Park

La particolarità di South Park è appunto essere sempre così attuale: a differenza delle altre serie (animate e non) che richiedono di essere programmate dall’inizio alla fine con mesi di anticipo, South Park può godere di maggiore flessibilità.

Infatti, la tecnica di animazione utilizzata permette di creare le puntate in poco tempo.

Non a caso i disegni sono estremamente stilizzati ed i movimenti dei personaggi molto meccanici. Ad oggi sono sicuramente più fluidi e con maggiori particolari, ma all’inizio erano veramente dei pezzi di carta che si muovevano su uno sfondo statico. Un apparente limite, ma che in realtà diventa quasi un vantaggio per la natura stessa della serie.

Un umorismo veramente pesante

Topolino e i Jonas Brother in una scena della serie South Park

South Park si caratterizza da un umorismo veramente pesante. Al di là delle parolacce, che ormai sono la norma nelle produzioni statunitensi, la serie si spinge davvero molto in là con l’umorismo, giocando col surreale e l’assurdo nei suoi momenti migliori, scadendo anche (e per fortuna non troppo spesso) in battute riguardanti le feci, i genitali e simili.

Oltre a questo, chi pensava che I Simpson e I Griffin fossero serie per adulti, non ha mai visto South Park: come nelle prime due serie le scene di sesso vengono solo suggerite, al contrario in South Park ci sono talvolta anche scene di sesso piuttosto esplicite. Ovviamente non fanno grande effetto per la qualità dell’animazione, ma comunque ci sono.

Non mancano ovviamente le battute, anche piuttosto pesanti, su argomenti sensibili, su organizzazioni religiose e anche ad personam, che hanno sollevato diverse proteste negli anni.

Censura

Come anticipato, negli anni South Park è stato al centro di importanti polemiche e censure.

Tom Cruise in una scena della serie South Park

Una delle polemiche più famose riguardò Scientology e particolarmente Tom Cruise per la puntata Trapped in the closet (9×12).

Infatti, in tale puntata non solo si definiva l’organizzazione religiosa come una truffa globale, ma si insinuava che Tom Cruise fosse segretamente omosessuale. Per questo l’attore richiese che non vi fossero ulteriori repliche della puntata.

Uno dei bersagli preferiti è ovviamente la religione cattolica: nella puntata Bloody mary (9×14) viene rappresentato il miracolo del sanguinamento della statua della Madonna come legato alle sue mestruazioni, e così vi è una scena in cui il Papa ispeziona la statua e viene spruzzato dal suo sangue.

Questo ha ovviamente suscitato pesanti polemiche, con la richiesta ufficiale di scuse e di rimozione dell’episodio da parte di un importante gruppo cattolico statunitense.

Uno dei momenti più alti della censura fu l’autocensura applicata nella puntata 200 (5×14), nella quale, a seguito di moltissime polemiche e persino minacce di morte per la rappresentazione di Maometto, i creatori di South Park censurarono per protesta interi dialoghi.

Perché guardare South Park

Kyle e Stan in una scena della serie South Park

Se tutto questo non vi ha ancora convinto, vi dico che dovete guardare South Park perché nella vostra vita non vedrete probabilmente mai un prodotto mainstream così tanto geniale. Questa serie, oltre ad essere genuinamente divertente, ci permette al contempo di ridere e riflettere sulla nostra società e sull’attualità in generale, in maniera spesso anche molto sottile.

I prodotti a cui potrei associare questa serie non sono molti, ma vi direi che se vi piace un prodotto come The Suicide Squad (2021) o, abbassando di più il livello, This is the end (2009), probabilmente vi piacerà South Park. Ovviamente se non potete sopportare un certo tipo umorismo e di volgarità molto pesante, lasciate stare.

Tuttavia, se decidete di guardarla, potete facilmente recuperare quasi tutte le puntate gratuitamente sul loro sito ufficiale, anche se ovviamente sono in lingua originale e con i sottotitoli in inglese. In generale vi consiglio di guardare la serie in lingua originale, per apprezzarla appieno.

Trey Parker e Matt Stone, i creatori della serie, oltre ad essere splendidamente geniali, sono degli abilissimi doppiatori, che si occupano della maggior parte dei personaggi.

Per farvi capire di che tipo di persone stiamo parlando: nel 2000 South Park Il film (1999) venne candidato come miglior Canzone Originale. Per l’occasione i due decisero di presentarsi vestiti da donne e, come se questo non bastasse, erano anche fatti di LSD.

E, per evitare di essere cacciati, indossarono due vestiti già presentati agli Oscar anni prima da Jennifer Lopez e Gwyneth Paltrow, così, nel caso qualcuno avesse avuto qualcosa da dire, avrebbero detto A loro non avete fatto problemi, perché a noi sì? Tutto ciò è sessista e omofobo!

Trey Parker e Matt Stone creatori di South Park agli oscar del 2000

Una foto di repertorio

Tuttavia, i doppiatori italiani fanno comunque un ottimo lavoro:

Come guardare South Park

Mr Garrison in una scena della serie South Park

Questa è probabilmente la domanda più difficile, per due motivi: la mole di episodi e la qualità crescente. Si contano ad oggi 317 episodi (episodi da 20 minuti, ma comunque tanti). Oltre a questo, a mio parere, più si prosegue, più la qualità visiva e di scrittura migliora. Quindi possiamo dire che è un investimento che ripaga nel tempo.

Tuttavia, ci sono tre modi in cui ci si può approcciare a South Park.

Il metodo purista

Cominciare dall’inizio, semplicemente. E poi proseguire passo passo, prendendosi tutto il tempo necessario, fino ad essere in pari. Questo perché, a differenza di altre serie come I Griffin, le vicende non sono strettamente autoconclusive, ma spesso personaggi e questioni vengono ripresi a distanza anche di diverse puntate.

Inoltre, certe tematiche onnipresenti si comprendono e si apprezzano nella loro interezza guardando l’intero arco evolutivo della serie.

In particolare la morte di Kenny era una gag ricorrente nelle prime stagioni, ma col tempo è divenuta meno frequente, per poi essere a volte ripresentata a sorpresa. E, non avendo in mente cosa significava questo elemento per la serie agli inizi, non fa lo stesso effetto.

Quindi, se ne avete il tempo, cominciate così.

Il metodo pigro

Il metodo pigro consiste nel cominciare a recuperare la serie cominciando dalle stagioni più recenti, così da mettersi al passo e venire a contatto con tematiche più attuali. Io vi consiglio di cominciare almeno dalla ventesima stagione, a mio parere una delle più geniali e ancora profondamente attuale.

Tuttavia, per i motivi sopra detti, non è un metodo che vi consiglio. Una cosa molto importante è non partire dagli speciali dedicati al Covid che sono usciti negli ultimi due anni: per la maggior parte si basano su delle battute che possono essere comprese solo avendo almeno un’idea generale delle dinamiche della storia e dei personaggi.

Il metodo toe in the water

Cominciare a mettere un piede nell’acqua, ovvero avere un assaggio della serie per capire di cosa si tratta. E, solo in seguito, cominciare a guardarla in maniera organica.

Io non posso dirvi da che puntata partire, ma posso darvi la mia classifica delle puntate, secondo diversi parametri.

La mia puntata preferita

World War Zimmerman (3×17)

Cartman in una scena della serie South Park

La puntata fa riferimento a un caso di cronaca nera del 2012 che fece molto scalpore: George Zimmerman sparò ad un ragazzo afroamericano disarmato e dichiarò in tribunale di averlo fatto per legittima difesa. La puntata fa inoltre riferimento al film World War Z (2013).

La puntata più strana

You’re Getting Old (15×07)

Stan in una scena della serie South Park

Stan compie dieci anni e viene colpito da un profondo cinismo. Da vedere insieme alla puntata successiva, che ne è il seguito.

La puntata che non riesco a rivedere

HumancentiPad (15×01)

Ispirato al film The Human Centipede (2009), che già da solo mi disturba tantissimo.

La puntata che cito continuamente

Dance with the Smurfs (13×13)

Cartman in una scena della serie South Park

Cartman riesce a diventare la voce che dà gli annunci al mattino nella scuola, ma ne approfitta per esporre le sue idee politiche.

La puntata che mi fa più ridere

Fishsticks (15×03)

La puntata ha come protagonista l’assolutamente non permaloso Kanye West.

La puntata più devastante

Scott Tenorman Must Die (5×04)

Cartman viene bullizzato crudelmente da un ragazzo più grande di lui.

La puntata più sorprendente

Woodland Critter Christmas (8×14)

Stan in una scena della serie South Park

In italiano, Il Natale degli animaletti del bosco. Sembra molto tenero vero? Non lo è.

La puntata più graffiante

The Tale of Scrotie McBoogerballs (14×02)

Cartman, Kenny, Kyle e Stan in una scena della serie South Park

I protagonisti scrivono un libro volgarissimo e, una volta scoperti, danno la colpa a loro amico Butters. Tuttavia, la situazione non va come si aspettavano…

E potrei andare avanti. Ma lascio che siate voi a scoprire le puntate migliori.

Buona visione!

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Ozark: iniziare bene e finire malissimo

Sono una grande fan di Ozark. Ho adorato la serie di Jason Bateman fin dalla prima puntata. Poi, è arrivata la quarta stagione.

Ozark ha debuttato nel 2017 su Netflix, ed è sempre stata una serie un po’ di nicchia: abbastanza chiacchierata e con un suo fandom solido, resistendo per quattro stagioni, ma non di grande popolarità come Stranger Things Squid Game, per capirci.

Prima di parlare dell’ultima e, a mio parere, vergognosa stagione, parlerò senza spoiler delle prime tre.

Disclaimer doveroso

Questa recensione è stata scritta in due momenti: una volta conclusa la prima parte dell’ultima stagione (quando avevo ancora qualche speranza) e una volta conclusa la seconda parte.

Di cosa parla Ozark

La serie parla di Marty, interpretato da Jason Bateman (che è anche regista e produttore), che da anni lavora per un cartello della droga messicano. Improvvisamente si trova costretto a traslocare tutta la famiglia da Chicago a Ozark, una tristissima località del Missouri, per continuare a riciclare il denaro del cartello.

Lascio il resto al trailer della prima stagione.

Cosa funziona

Jason Bateman e Laura Linney in una scena della serie tv Ozark (2017-2022) di Netflix

Ozark è una serie fuori dal comune: ricorda moltissimo Breaking Bad come tematiche, ma è per molti aspetti molto più dark, a partire dalla stessa fotografia gelida che domina tutte le scene. Inoltre è iper realistica, ovvero realistica nella maniera più cruda possibile, rappresentando dei personaggi molto credibili e spesso, per questo, anche spaventosi.

Le vicende, per loro stessa natura, sono incredibilmente intriganti, piene di colpi di scena, tensione, voltafaccia. Soprattutto la terza stagione, dove si arriva ad un punto focale della trama, è incalzante e intrattiene splendidamente per tutta la sua durata.

La regia è pazzesca: oltre alla fotografia che ti trasmette continuamente quel senso di freddezza e di terrore in ogni scena, ci sono guizzi registici non indifferenti e una messa in scena davvero convincente.

Personaggi gelidi

Jason Bateman e Laura Linney in una scena della serie tv Ozark (2017-2022) di Netflix

I personaggi in generale sono gelidi, hanno dei rapporti contradditori, snervanti, distruttivi, e, soprattutto, incredibilmente realistici. Le prove attoriali sono davvero di alto livello: a partire dalla stella nascente Julie Garner, vista recentemente nella serie Inventing Anna, che interpreta Ruth, uno dei personaggi principali e anche meglio scritti della serie.

Poi Jason Bateman, che finalmente si smarca dai suoi ruoli comici. In Ozark interpreta Marty, un personaggio silenzioso e calcolatore, portato in scena con così tanta bravura che a malapena sembra che stia effettivamente recitando.

Così anche Laura Linney, che interpreta Wendy, personaggio per tanto tempo relegato al ruolo di moglie e madre, ma che riesce finalmente a diventare protagonista della sua vita. Per questo ruolo l’attrice riesce a dosare splendidamente la sua espressività, giocando sui suoi sorrisi apparentemente rassicuranti, ma che in realtà nascondono un personaggio maligno e spietato.

Perché Ozark potrebbe non piacervi

Jason Bateman in una scena della serie tv Ozark (2017-2022) di Netflix

Ozark non è una serie per tutti. E i motivi sono abbastanza evidenti: alcune delle vicende sono davvero crude, una sofferenza da vedere. Il ritmo è davvero strano: succedono moltissime cose, ma al contempo sembra che tutta la vicenda proceda molto lentamente.

Soprattutto all’inizio, è difficile empatizzare coi personaggi: hai bisogno di tempo per conoscerli, perché all’inizio ti appaiono freddi e distanti. Diciamo che se vi piace Breaking Bad Narcos avete già un piede dentro la porta, ma non è comunque detto che faccia per voi.

Io la consiglio molto, nonostante tutto.

Perché la quarta stagione è una vergogna (secondo me)

Jason Bateman e Laura Linney in una scena della serie tv Ozark (2017-2022) di Netflix

La terza stagione, come ho detto, è veramente intrigante per la trama e i personaggi: Helen è in assoluto il mio villain preferito e Ben l’ho veramente adorato. Mi piaceva lo sfondo del casinò appena aperto, e anche tutta la dinamica fra Frank Jr. e Ruth.

Diciamo che la morte di Helen avrebbe già dovuto essere un campanello d’allarme: il villain che la dovrebbe sostituire, ovvero Javi, è fra i più banali e peggio scritti della storia delle serie tv. La trama politica ho fatto veramente fatica a seguirlaOzark non ha brillato per trame semplici, proprio per il fatto che voleva introdurre concetti verosimili, ma in questo caso è stato veramente difficile appassionarsi.

La trama di Navarro, semplicemente, non ha senso: hanno esasperato in maniera inverosimile il rapporto con Maya, quando era così ben bilanciato nella scorsa stagione. Infatti la serie continua a perdersi in sé stessa da questo punto di vista.

Marty e Wendy sono snervanti, Johan prende il posto di Charlotte come figlio ribelle in maniera poco interessante, tutta la trama di Ruth è esagerata e Marlene è davvero diventata un personaggio fuori controllo. Come se non bastasse, chi ha scritto questa stagione vuole molto poco bene ai suoi personaggi, visto che non fa altro che ammazzarli.

Aspettiamo fiduciosi la seconda (e per fortuna ultima) parte.

Due parole conclusive sull’ultima parte 

Julia Garner in una scena della serie tv di Netflix

Come si può facilmente immaginare, ero veramente poco interessata a questo ultimo ciclo di episodi. In generale, mi sembra si confermino tutti i problemi della prima parte, e aggiungendone pure di nuovi.

Si parte con uno degli episodi per me peggio scritti della serie: un tirata lunghissima sulla vendetta di Ruth, con tantissime ed estenuanti scene oniriche e una conclusione che arriva all’improvviso senza alcuna costruzione. Una puntata fra l’altro che conferma Javi come personaggio inutilmente violento e di pochissimo spessore. Quindi ero pure contenta l’avessero finalmente fatto uscire di scena.

Si continua sempre con la trama politica poco coinvolgente e che porta in scena un nuovo personaggio, Camila, che dovrebbe riprendere vesti di Helen, fallendo miseramente. Infatti viene fatta passare come avida e calcolatrice, ma relegandola ancora alla figura abusata della madre vendicativa. Niente di esaltante, insomma.

Jason Bateman e Laura Linney in una scena della serie tv Ozark (2017-2022) di Netflix

Nota di merito per la bruttezza della trama del padre di Wendy, personaggio al limite del disgustoso e con le motivazioni più stupide possibili, che riesce a portare la figlia al suo punto più basso. Fra l’altro divenendo protagonista di una insulsissima sottotrama che si conclude improvvisamente e senza una degna costruzione.

Infatti alla fine i personaggi della famiglia sembrano ricongiungersi, senza che però i loro rapporti si siano veramente risaldati. E festeggiano questa ritrovata unione con il cadavere di Ruth ancora caldo e una chiusa che probabilmente Bateman considerava geniale, ma che io trovato al limite dell’imbarazzante.

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Moon knight – Un nuovo livello di mediocrità

Moon Knight è l’ultima serie Marvel uscita su Disney+, conclusasi questa settimana. A sorpresa (o forse no) un ulteriore tentativo fallimentare di portare le storie dell’MCU sul piccolo schermo.

Una serie al cui finale sono arrivata indecisa se ridere o essere irritata come dopo la visione di The King’s man (2021), a mio parere una delle peggiori pellicole uscite in tempi recenti.

Di cosa parla Moon Knight?

Moon Knight racconta la storia di Steven, un ingenuo e solitario commesso di un museo egizio che scopre di possedere non solo una seconda personalità, chiamata Marc Spector, ma anche poteri straordinari, datagli da una divinità egizia…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di guardare Moon Knight?

Oscar Isaac in una scena della serie tv Moon Knight (2022) miniserie Marvel per l'MCU con Oscar Isaac

Proprio no.

Per me questa serie è una vera perdita di tempo, visto anche il successo non eccellente che sta riscontrando, non è neanche detto che questo personaggio sia incluso nei prodotti per il grande schermo. Quindi potrebbe non essere essenziale guardarla.

Tuttavia, non è detto che non vi piaccia o che ve ne dobbiate privare: per quanto a mio parere sia una serie assolutamente mediocre, se vi sono piaciuti gli altri prodotti televisivi dell’MCU e le dinamiche che hanno portato in scena, potrebbe essere la serie per voi. Magari partendo con aspettative veramente basse e spegnendo il cervello per tutto il tempo.

Tuttavia, non mi sento assolutamente di consigliarla.

Una serie di fallimenti

Oscar Isaac in una scena della serie tv Moon Knight (2022) miniserie Marvel per l'MCU con Oscar Isaac

Io ho visto tutte le serie tv Marvel uscite finora.

E solitamente va sempre nello stesso modo: inizialmente sono sempre interessata e coinvolta, poi piano piano le serie prende la strada della mediocrità, con un finale stupido e arraffazzonato.

Questo è successo per tutte le serie, con eccezione di Wandavision, che mi ha tenuto incollata allo schermo fino all’ultima (deludente) puntata e Hawkeye, serie che non è mai riuscita particolarmente a prendermi, ma che considero molto innocua.

Nel caso di Moon Knight la mia esperienza con la serie è stata un pendolo fra la noia e la totale indifferenza fin dalla prima puntata, fino a sfociare nel divertimento amaro misto a grande fastidio per la puntata finale.

Quindi, per quanto mi riguarda, un mezzo disastro.

Un problema alla radice

Oscar Isaac in una scena della serie tv Moon Knight (2022) miniserie Marvel per l'MCU con Oscar Isaac

Il problema comune di tutte queste serie, con forse l’esclusione solo di Wandavision, è che nella maniera più evidente sono serie pensate non per essere serie tv, ma dei film, inutilmente allungati e divisi in puntate.

Il pubblico italiano al momento non è molto abituato a serie supereroistiche ad alto budget: l’unica che è arrivata anche in Italia e che ha avuto una buona diffusione è The Boys. Tuttavia io sono convinta che se Peacemaker, una vera e ottima serie di supereroi, arrivasse in Italia, vedrei molte più teste scuotersi con dispiacere davanti a questi prodotti.

Moon Knight è una serie ancora più dispersiva del solito, con una prima puntata che poteva essere riassunta nei primi quindici minuti di un film di due ore, seguita da puntate che sarebbe bello chiamare filler, ma che in realtà non sono altro che stupide e inconcludenti deviazioni dal percorso principale.

La trama principale è infatti portata avanti in maniera davvero estenuante, rimandando continuamente l’ovvio scontro finale con soluzioni di scarsissimo interesse.

Prendi gli attori, buttali via

Ethan Hawke in una scena della serie Moon Knight (2022) miniserie Marvel per l'MCU con Oscar Isaac

E nulla è servito portare in scena attori di primo livello come Oscar Isaac e Ethan Hawke.

Se il primo tutto sommato ha fatto davvero del suo meglio, Hawke appare veramente un villain pallido e spento. E se volete vedere quanto possono essere bravi questi due attori, vi consiglio caldamente di recuperarvi The card counter (2021) per l’uno e The Northman (2022) per l’altro.

Oltre a questo, dominano le sequenze e le scelte di trama veramente infantili e stupide, che la fanno sembrare tutto tranne un prodotto horror e dark (come alcuni critici l’avevano definito), ma al contempo neanche un buon prodotto dell’MCU, produzione che negli anni, coi suoi alti e bassi, ci ha regalato comunque grandi prodotti di intrattenimento.

Marc, Steven e Moon Knight?

Oscar Isaac in una scena della serie tv  miniserie Marvel per l'MCU con Oscar Isaac

Una delle cose che ho più odiato della serie è la puntata flashback.

Per quanto mi riguarda, la storia di Marc è davvero terrificante: non solo perché è prevedibile dal minuto uno, ma perché è assurdamente esagerata, in particolare per la violenza improvvisa e macchiettistica della madre.

Oltre a questo, la questione delle personalità è veramente confusa, già solamente per il fatto che, per come è messa in scena, Marc sembra che crei Steven per fargli prendere le botte della genitrice.

Oltre a questo, non ho in generale apprezzato il rapporto fra i due e il conseguente rapporto con Layla. A parte il contrasto fra le personalità, che si risolve molto facilmente nell’ultima puntata, ho trovato assurdo e imbarazzante il fatto che Steven prova attrazione per Layla e le dinamiche che si creano al riguardo.

Uno splendido esempio di come portare il machismo di due uomini che litigano per una donna ad un nuovo livello.

Il villain

Harrow si rivela fin da subito un villain poco convincente: anzitutto per la dinamica classica in cui cerca di raggirare il protagonista confuso dicendogli che il suo padrone, che crede positivo, lo stia invece ingannando, estremamente abusata e che ha sinceramente stancato.

Oltre a questo, Harrow è un personaggio che per me non ha nessun interesse: semplicemente un invasato religioso che deve portare a termine la sua missione, senza un vero e interessante approfondimento in merito.

Ancora più delirante la figura di Khonshu: inizialmente appare effettivamente come una divinità inquietante e minacciosa, poi sembra essere tutto sommato ragionevole, diventa l’eroe della vicenda quando si scontra con Ammit, per poi ridursi di nuova ad essere un villain nell’inutile colpo di scena finale.

Perdere tempo

May Calamawy in una scena della serie tv Moon Knight (2022) miniserie Marvel per l'MCU con Oscar Isaac

La serie, proprio per il fatto che vive come un film allungato, perde continuamente tempo. Anzitutto la parte del manicomio, che sembra servire solo a buttare fumo negli occhi agli spettatori: prima ti mette prima il dubbio di cosa sia vero e falso nella maniera più goffa possibile, poi diventa la solita puntata spiegone-flashback, come già in Wandavision.

Come ci dimostrano anche serie non di altissimo livello (Pieces of her, per dirne una), i flashback sono possibili anche se non infilati a forza in un’unica puntata, e con risultati anche più soddisfacenti.

Oltre a questo, l’ultima puntata è una continua perdita di tempo, soprattutto per Layla, che si intestardisce più e più volte, per farle fare quello che doveva fare fin dall’inizio, senza che ci venga mostrato il suo cambiamento di idea. Ovvero diventare una brutta copia di Wonder Woman.

Il limite del ridicolo

Sicuramente la Marvel si è sempre distinta dai suoi concorrenti per la capacità di portare film divertenti e frizzanti, con una comicità non sempre sopraffina, ma raramente di basso livello. Anche per questo l’MCU, che è stata capace (ed è ancora capace) di portare avanti un universo compatto e a lungo termine, non va sottovalutata.

Per questo, l’infantilizzazione o comunque la poca credibilità di molti elementi per me non è assolutamente giustificabile. Avrebbero potuto utilizzare molto meglio l’elemento comico e riuscire al contempo a dare un minimo di credibilità a queste divinità, che dovrebbero essere enormi e terribili, ma che al massimo sono goffe e stereotipate.

Il caso peggiore è ovviamente Taweret, la dea del passaggio all’aldilà con l’aspetto di un ippopotamo. Al di là del character design che non mi ha convinto fino in fondo, questa rappresentazione della scolaretta impreparata l’ho trovata veramente imbarazzante.

Come hanno fatto poi con Ammit, che è un poderoso coccodrillo, potevano rendere questa figura, legata fra l’altro ad un elemento così interessante e misterioso della cultura egizia, quantomeno seria ed imponente, invece che questo personaggio ridicolo.

E infatti per me tutta la parte dell’aldilà manca di qualsiasi credibilità e mi è sembrata solo una grande perdita di tempo.

La CGI altalenante

La CGI della Marvel non è sempre stata eccellente, ma comunque a mio parere, almeno in tempi recenti, mai così discontinua. Infatti, oltre al fatto che le ambientazioni delle tombe sono davvero cheap, la tecnologia utilizzata dà dei risultati veramente altalenanti.

A partire dai casi peggiori di quella sorta di lupi che vediamo nelle prime puntate, a quelli complessivamente migliori (anche a livello di character design) della dea Ammit, in generale mi è sembrato di trovarmi davanti ad un risultato piuttosto pupazzoso e generalmente poco credibile.

In particolare non è mai riuscito a convincermi Moon Knight, soprattutto nei momenti della trasformazione.

Un finale?

Per me il finale è al limite del disastroso.

Al di là della quantità di tempo persa all’inizio, al di là di come tutta la parte ultraterrena si riveli fondamentalmente inutile, al di là dello scontro finale che dura pochissimo, gli ultimi minuti sono un vero e proprio delirio.

Si arriva al momento decisivo della trama, quando finalmente (e con una facilità disarmante) Marc e Layla riescono a imprigionare Ammit e questa usa la classica frase da cattivo Io tornerò! A quel punto Marc è messo davanti alla scelta di mettere fine ad un problema enorme che potrebbe potenzialmente tornare da un momento all’altro, oppure intestardirsi.

E sceglie la seconda. E a quel punto perché non metterci un bel taglio netto di montaggio, far concludere il momento totalmente fuori scena, e riportare lo spettatore nel manicomio, così da confonderlo ancora di più.

Il problema della terza personalità

Oscar Isaac in una scena della serie tv Moon Knight (2022) miniserie Marvel per l'MCU con Oscar Isaac

Partiamo dal fatto che questa serie è stata annunciata come miniserie, quindi almeno nelle intenzioni vi era l’idea di fare una storia autoconclusiva.

Possiamo pensare che abbiamo scelto il trucchetto di lasciare qualche spiraglio aperto, come d’altronde si fa spesso con progetti dubbi fin dal primo capitolo di Star Wars. Tuttavia, ameno sulla carta, la serie si è conclusa.

E invece il finale con la scena post-credit è un cliff-hanger pesantissimo: sostanzialmente ci ritroviamo nella situazione iniziale, in cui il protagonista non ha idea di possedere un’identità segreta e di essere controllato da una divinità.

E il ciclo ricomincia.

La terza personalità poteva essere introdotta nella serie ben prima, dando un elemento in più e potenzialmente veramente interessante. E invece la sua presenza viene solo suggerita in diversi momenti, dal terzo sarcofago nel manicomio al blackout di Marc alla fine della terza puntata.

E, oltretutto, la presenza della terza personalità rende totalmente insensata la dichiarazione di Taweret sul fatto che Marc sia completo: a parte come è possibile che la terza personalità non sia percepita dalla dea, ma poi appunto come fa Marc ad essere completo (your heart is full) se non ha conoscenza di una terza personalità?

Domande di cui non avremo mai una risposta. E lo spero: perché altrimenti significherebbe che questa serie dovrebbe avere un seguito.

Ultimo ma non ultimo: Khonshu in smoking è una di quelle cose che farò fatica a dimenticare.

E non in positivo.

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Pieces of her – Un mistero da manuale

Pieces of her è una serie tv di genere mistery in otto puntate, disponibile su Netflix. Un buon esempio di un prodotto che coniuga ottimamente il genere mistery con l’investigativo e il thriller. Una costruzione da manuale, nonostante qualche inciampo sulla strada.

Ma andiamo con ordine.

Di cosa parla Pieces of her

Pieces of her parla di Laura, una madre vedova che interviene per difendere la figlia, Andy, in un situazione di pericolo, rivelando capacità di combattimento inaspettate. Per via di questo episodio la figlia comincerà a scoprire il passato oscuro della madre, svelando segreti che non avrebbe mai potuto immaginare.

Vi lascio il trailer per farvi un’idea.

Perché guardare Pieces of her

Toni Colette in una scena della serie tv netflix con Toni Colette

Come anticipato, Pieces of her è una serie mistery da manuale: la storia è molto interessante e gode di una struttura narrativa generalmente solida. La trama si svela poco a poco, disseminando indizi più o meno palesi fin dalle prime puntate, riuscendo a tenerti ottimamente sulle spine fino alle ultime sequenze.

Infatti, per quanto non riesca fino in fondo a gestire il mistero che tratta (come spiegherò nella parte spoiler), la costruzione è vincente: circa a metà della stagione si conosce la maggior parte della backstory. E da lì è un crescendo per scoprire l’intero mistero.

Toni Collette, mon amour

Toni Colette in una scena della serie tv Pieces of Her (2022) serie tv netflix con Toni Colette

La madre protagonista della serie è interpretata da Toni Collette, una delle mie attrici preferite fin da Little miss sunshine (2006). Il personaggio sembra essergli stato cucito addosso, sfruttando ancora una volta la particolarissima espressività di questa attrice e rendendola solo apparentemente apatica e calcolatrice.

Non male neanche l’attrice che interpretata la sua versione giovane: Jessica Barden, già vista in The end of the f*cking world, altra serie di Netflix. Non era per niente facile misurarsi con la recitazione monumentale di Toni Collette, ma nonostante tutto questa giovane attrice si è dimostrata all’altezza.

La protagonista inconsapevole

Bella Heathcote in una scena della serie tv Pieces of Her (2022) serie tv netflix con Toni Colette

Un altro elemento vincente, che di fatto regge l’intera serie, è la protagonista, Andy. Il classico personaggio ingenuo ed inconsapevole che accompagna lo spettatore nella visione e nello svelamento del mistero. Questo processo funziona quasi fino alla fine (come spiegherò meglio nella parte spoiler), ma rende più semplice il coinvolgimento, nonostante alcune scelte molto stupide e poco credibili che la coinvolgono.

Ovviamente, come per le migliori serie mistery, la trama poteva essere risolta in dieci minuti di orologio se i protagonisti si fossero seduti ad un tavolo a parlare, ma non di meno è bello seguire il suo personaggio, assolutamente ingenuo e fallibile, in cui possiamo anche facilmente identificarci. Perché, al suo posto, probabilmente ci saremmo comportati allo stesso modo.

Sospendere l’incredulità

Bella Heathcote in una scena della serie tv Pieces of Her (2022) serie tv netflix con Toni Colette

Come in ogni prodotto, soprattutto quelli mistery e investigativi, dobbiamo sospendere la nostra incredulità. Tuttavia, ci sono dei momenti in questa serie che sono veramente troppo poco credibili.

In particolare, ho trovato davvero assurdo che Andy riesca a sabotare gli aiutanti di Nick, prima bucandogli le gomme e poi intrufolandosi nella loro auto, senza che questi si accorgano di alcunché. Il classico caso dei criminali più stupidi della storia della criminalità.

Oltre a questo, è altrettanto poco credibile è il comportamento di Andy da bambina: come si oppone testardamente all’idea di seguire la madre, allo stesso modo si sarebbe dovuta opporre ad un uomo sconosciuto e con un aspetto anche poco rassicurante che cercava di portarla via nel bosco. E invece in quel caso sembra pronta a seguirlo senza battere ciglio.

Qualche capitombolo

Jessica Barden e Joe Dempsie in una scena della serie tv  Pieces of Her (2022) serie tv netflix con Toni Colette

Nonostante la scrittura sia appunto generalmente buona, ci sono delle scelte di trama che mi hanno convinto poco. Anzitutto, il comportamento di Nick con Jane: per quanto evidentemente il loro rapporto si fosse gustato dopo l’attentato di Oslo, è tuttavia troppo improvviso il fatto che Nick la picchi con così tanta violenza. Sembra più un meccanismo della trama per farle prendere definitivamente la scelta di scappare.

Così anche ho capito fino ad un certo punto la scelta del finale: la vicenda sembra lasciata abbastanza in sospeso, come se nonostante tutto Jane abbia ancora qualcosa da nascondere, e che debba ancora vivere con il peso della sua scelta e la minaccia del fratello. Così il modo in cui ci viene svelato l’ultimo segreto di Jane è a mio parere poco convincente: la questione era già stata rivelata esplicitamente per bocca di Nick, che dice proprio Io non ho dato quella pistola a Grece Juno, guardando negli occhi Jane in maniera piuttosto eloquente.

Non mi ha convinto neanche il rapporto fra Andy e Jane, che sembra conflittuale fino all’ultima scena, si risolve con una sequenza consolatoria ma che lascia, ancora una volta, la questione in sospeso. Avrei preferito un percorso più convincente e che giungesse ad un finale più credibile e conclusivo, appunto.

Tuttavia rimane comunque una serie che mi sento di promuovere.

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The Cuphead Show! – Divertimento d’altri tempi

The Cuphead Show! è una serie tv Netflix ispirata all’omonimo videogioco (Cuphead, 2017), piccolo cult del genere che ha colpito i videogiocatori per l’altissima qualità grafica e per la grande originalità, anche del gameplay: Cuphead si colloca nel sottogenere degli sparatutto popolare negli Anni Ottanta-Novanta, run ‘n’ gun.

Inoltre per la grafica è ispirato ai cartoni per bambini degli Anni Trenta-Quaranta, con personaggi assurdi e caricaturali, ma comunque splendidi a vedersi.

Aveva senso fare una serie su questo prodotto?

Di cosa parla The Cuphead Show!

La serie ruota intorno ai due fratelli, Cuphead e Mugman, i quali, come si può intuire dal nome, sono due tazze antropoforme. Così anche il resto dei personaggi sono animali, cibi o oggetti dalle forme umanoidi.

La storia ha una trama orizzontale e verticale: è composto da brevissimi episodi autoconclusivi, con dinamiche tipiche delle sitcom e i cartoni dell’epoca, ma presenta anche una piccola trama orizzontale. Il fil rouge sono le assurde avventure dei due fratelli scavezzacollo, che arrivano persino a scontrarsi con il Diavolo in persona.

Non vi dirò di più per non rovinarvi la sorpresa, ma vi lascio il trailer per farvi un’idea.

Perché vale la pena di guardare The Cuphead Show!

Cuphead e Mugman in un scena della serie The Cuphead Show (2021) serie tv Netflix dal videogioco Cuphead

Sulla scia di ottimi prodotti tratti da videogiochi (a cominciare da Arcane), Netflix si conferma la casa di produzione vincente per il genere. The Cuphead Show! è una serie di ottima qualità, che parte da una base già molto solida, ma riesce a imbastire delle piccole trame dal grande potere intrattenitivo.

In particolare, se siete cresciuti con i cartoni come Tom & Jerry e di Willy il Coyote, probabilmente troverete un prodotto di vostro gusto. L’unica differenza sostanziale dai prodotti più datati è il fatto che i personaggi parlano, come non sempre succedeva al tempo.

Tutte le vicende, anche se assolutamente prevedibili come dinamiche perché partono da topoi piuttosto consolidati, sono gustose e di grande intrattenimento, portando in scena personaggi e situazioni piuttosto variegate.

The Cuphead Show! è una serie che fa per me?

Cuphead e Mugman in un scena della serie The Cuphead Show (2021) serie tv Netflix dal videogioco Cuphead

Come anticipato, se avete ancora nel cuore un certo di animazione vecchio stile, è probabile che sia un prodotto per voi. E non fatevi ingannare dal fatto che si tratta di una serie di animazione: The Cuphead Show! è tutto tranne che un prodotto per bambini (come spiegherò più avanti).

Tuttavia appunto si tratta di una serie molto specifica e ispirata ad uno specifico periodo: non esattamente un prodotto per tutti. Se siete dei fan del videogioco, semplicemente l’amerete: pur senza averlo giocato in prima persona, ho sentito grande entusiasmo da parte fan del prodotto videoludico, anche per la quantità di citazioni e easter egg presenti.

Animazione per adulti?

Cuphead in una scena della serie The Cuphead Show (2021) serie tv Netflix dal videogioco Cuphead

Non posso dire che The Cuphead Show! sia del tutto una serie pensata per un pubblico adulto: non stiamo insomma parlando di Bojack horseman. Tuttavia l’animazione destinata ad un pubblico molto giovane è oggi molto più castigata (anche giustamente), e non include quella violenza smaccata e a tratti quasi inquietante dell’animazione più datata. Quindi il gap fra prodotti per adulti e prodotti per bambini si è fatto, a mio parere, ancora più ampio.

In questo caso non è presente tantissima violenza gratuita, ma quando c’è si sente, e certe volte fa venire i brividi. Il tutto comunque all’interno di in un contesto genuinamente divertente e comico, con dinamiche davvero spassose e personaggi molto sopra le righe.

Mi sento quindi di classificarla come una serie abbastanza trasversale come target, andando ad includere dai ragazzi non troppo giovani ad un pubblico più maturo. Insomma, eviterei di mettere davanti a questo prodotto ragazzi al di sotto dei 14 anni.

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Fondazione – Una scommessa vincente?

Fondazione è una serie di Apple TV+ uscita lo scorso autunno, liberamente ispirata (e sottolineo liberamente) alla saga letteraria omonima di Asimov, uno dei più importanti autori fantascientifici di tutti i tempi.

La serie risulta una scommessa vincente per la qualità visiva e della mitologia, con una produzione di altissimo livello e una scrittura generalmente buona. Tuttavia presenta un problema non da poco: una trama poco solida.

Di cosa parla Fondazione?

La serie è ambientata in un mondo immaginario e futuristico, in cui l’universo è dominato dall’Impero Galattico, minacciato dalle teorie di Hari Seldon, scienziato e inventore della piscostoria, materia che permette di prevedere gli eventi futuri tramite calcoli matematici.

Vi lascio un trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Fondazione?

Laura Birn in una scena della serie  tv Fondazione (2021-) di Apple TV+ ispirata al Ciclo della fondazione di Isaac Isamov

In generale, sì.

Partiamo dal fatto che se siete fan di Asimov e soprattutto della saga letteraria del Ciclo della Fondazione, molto probabilmente non vi piacerà. Dagli apprezzatori dell’opera letteraria partenza non ho sentito altro che pareri davvero aspri, per via della mancanza di fedeltà all’opera originaria. Siete avvertiti.

Tuttavia, se non siete fan di Asimov e vi piace una fantascienza di stampo abbastanza classico, con una narrazione piena di colpi di scena e con una mitologia piuttosto solida, abbastanza simile a Dune, probabilmente farà per voi.

Una produzione monumentale

Jared Harris in una scena della serie tv Fondazione (2021-) di Apple TV+ ispirata al Ciclo della fondazione di Isaac Isamov

Come anticipato, Fondazione può godere di una produzione monumentale: effetti speciali strabilianti, fotografia da far girare la testa con colori pienissimi, campi lunghi sui panorami spaziali che fanno sognare.

Insomma dal punto di vista tecnico è un prodotto che potrebbe tranquillamente rivaleggiare, dal punto di vista tecnico, con Dune (2021), confermando un nuovo livello di qualità per il genere. Al contempo anche un ottimo cast, con Jared Harris, Lee Pace, e la nuova scoperta Lou Llobell.

Una mitologia incredibile ma…

Terrence Mann in una scena della serie  tv di Apple TV+ ispirata alall'opera Isaac Isamov

Fondazione gode di una costruzione della mitologia davvero incredibile.

L’immensità dell’Impero ci permette di venire a contatto, in sole dieci puntate, con quattro diverse culture. E chissà cos’altro potremo scoprire. Inoltre tutta la storia della dinastia imperiale e dei cloni è davvero interessante e ben esplorata.

Ma non basta.

Il primo (non) problema della serie è l’andamento narrativo: profondamente scostante e talvolta episodico. Si fanno balzi avanti, balzi indietro e si dedica molto tempo all’approfondimento della lore e dei personaggi. Una narrazione strana, non nelle corde di tutti.

A me personalmente ha colpito.

Jared Harris in una scena della serie tv Fondazione (2021-) di Apple TV+ ispirata al Ciclo della fondazione di Isaac Isamov

Un problema effettivo è invece la gestione della trama: inizialmente sembra andare in una direzione, poi ne prende una tutta diversa, che in conclusione sembra più una larga parentesi in una narrazione ben più ampia che si allargherà nelle prossime stagioni.

Di per sé questo potrebbe anche non essere un problema, ma lo diventa quando prendono piede personaggi poco convincenti e una trama non così interessante. E, in parte, il calo di interesse è dovuto anche alla qualità recitativa di alcuni personaggi, che diventano protagonisti della scena da una puntata all’altra e che, appunto, non sono sempre vincenti.

Una brusca svolta

Leah Harvey in una scena della serie tv Fondazione (2021-) di Apple TV+ ispirata al Ciclo della fondazione di Isaac Isamov

Nonostante nel complesso sia coerente, la parte di Terminus mi è sembrata del tutto superflua per la narrazione complessiva.

Oltre a quello, è stato davvero un dolore passare dalla recitazione esplosiva di Lou Llobell (Gaal) a quella statica di Leah Harvey (Salvor). Il suo personaggio, complice anche appunto la sua espressività veramente limitata, non mi ha proprio coinvolto.

Kubbra Sait in una scena della serie tvdi Apple TV+ ispirata all'opera di Isaac Isamov

Ancora di meno mi ha coinvolto la storia dell’attacco di Anacreon e della Grande Cacciatrice, su cui fra l’altro hanno calcato troppo la mano, rendendola quasi macchiettistica. Oltre a questo, anche la vicenda di Fratello Alba non mi ha appassionato, a parte nel finale e sugli effetti che avrà sul futuro.

Diciamo che secondo me partire da una storia monumentale come quella iniziale, con attori di un certo tipo e passare da una storia locale con attori meno in parte non è stata la più brillante delle idee.

Ma nel complesso non sono affatto pentita di averla vista, e sono anzi curiosa di vedere come proseguirà.

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Castlevania: un incontro vincente

Castlevania è una serie di produzione mista fra USA e Giappone, tratta dal popolarissimo videogioco omonimo. Una saga videoludica talmente pionieristica che viene utilizzata per indicare un genere di videogiochi: si usa il termine Metroidvania (unione fra Castlevania e Metroid, altro videogioco fondamentale ) per indicare un sottogenere di azione avventura, solitamente platform, accumunato da mappe interconnesse e aree da sbloccare. Un prodotto di tale portata meritava assolutamente una serie tv dedicata, con ben quattro stagioni, tutte disponibili su Netflix.

Castlevania è un ottimo prodotto e un incontro vincente fra animazione occidentale e orientale, prendendo il meglio da entrambe.

Ma andiamo con ordine.

Di cosa parla Castlevania

L’antefatto racconta di Lisa, giovane scienziata in epoca pseudo-rinascimentale, che chiede aiuto al Conte Dracula per apprendere le arti della medicina e aiutare il popolo di Wallachia a progredire nella scienza. Tuttavia per questo viene bruciata come strega. E così la terribile ira di Dracula si abbatterà sul mondo umano, deciso a distruggerlo definitivamente con il suo esercito infernale.

A questo punto interviene il cacciatore di mostri rinnegato Trevor Belmont, affiancato dalla speaker Sypha, in un’improbabile alleanza con Alucard, figlio di Dracula, determinato a fermare il folle progetto del padre.

Vi lascio il trailer della prima stagione per farvi un’idea:

Castlevania: n incontro vincente

La serie ha un’animazione e delle dinamiche che si ispirano al panorama orientale, ma è sicuramente più digeribile per un pubblico occidentale. In particolare mette in scena un protagonista accessibile e alla mano, che diventa l’eroe improbabile della storia. Un trope molto utilizzato, ma che funziona.

I personaggi sono estremamente vari e prendono dall’una e dall’altra cultura.

Alucard in una scena della serie Castlevania 2021 Netflix

Per esempio Alucard è un personaggio di forte ispirazione orientale, per il design e per le movenze.

Trevor Belmont in una scena della serie Castlevania 2021 Netflix

Invece Trevor, l’altro protagonista, è più vicino ad un’impostazione occidentale, per come è disegnato (anche solo per il fatto che abbia la barba, elemento quasi assente nell’animazione nipponica) e soprattutto per l’ironia che lo caratterizza insieme a Sypha.

Infatti il rapporto fra Sypha e Trevor, coppia fissa per tutte le stagioni, è sempre fresco e simpatico, ha una evoluzione nè forzata né smaccatamente romantica, anzi. Sono fra i personaggi che ho apprezzato di più, anche per le storie in cui sono coinvolti.

Un climax crescente fra azione e riflessione

Trevor, Sypha e Alucard in una scena della serie Castlevania 2021 Netflix

La struttura delle stagioni è abbastanza peculiare: la prima stagione è sostanzialmente un prologo di quattro puntate, la seconda è una storia abbastanza lineare e con poche divagazioni. Le ultime due sono un crescendo di azione e storie sempre più interessanti e diversificate, con un finale assolutamente soddisfacente.

In ogni stagione vengono introdotti nuovi personaggi e nuove storie, alcuni con natura abbastanza episodica e circoscritta a certe puntate, ma in generale con una scrittura convincente e intrigante. La serie infatti presenta molti momenti azione, anche abbastanza violenti, ma anche molti e bellissimi momenti riflessivi ed esistenziali fra i personaggi. Questo può essere un difetto per alcuni: soprattutto all’inizio la trama procede molto lentamente, e sono più appunto le scene di riflessione e dialogo che quelle di azione o eventi importanti per la trama.

Castlevania può fare per me?

Sypha e Trevor in una scena della serie  Castlevania 2021 Netflix

Se ci si è già approcciati felicemente all’animazione nipponica, Castlevania può facilmente essere la serie per voi. Tuttavia se siete più puristi e appassionati dell’animazione orientale dura e pura, non è il prodotto più adatto per voi, soprattutto se siete fan di prodotti con grandi scene di azione ogni puntata. In questo caso ce ne sono, soprattutto verso il finale, ma molte meno rispetto ad altri prodotti mainstream.

Se vi piacciono le storie di avventura, con creature mostruose e cacciatori di vampiri, ma con un sottofondo riflessivo di grande importanza, fiondatevi a recuperarla.

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Peacemaker: storia di un eroe ridicolo

Peacemaker (2022) è la serie sequel del poco fortunato film The Suicide Squad (2021), sempre nelle mani del brillante James Gunn. Proprio per il flop economico del film, probabilmente non ci si aspettava molto da questo prodotto. Invece il riscontro del pubblico è stato ottimo, portando in poco tempo ad un rinnovo per una seconda (e meritatissima) stagione.

Peacemaker è una serie ben realizzata, con una trama semplice ma funzionale, personaggio indovinati, un umorismo geniale ma mai ingombrante, oltre ad un ottimo comparto tecnico. Di fatto Gunn si conferma un eccellente autore e regista, anche capace di reinventarsi: probabilmente per non dover sottostare ad un rating castrante come era stato per The Suicide Squad, la violenza è molto più castigata e l’umorismo meno pesante. Non di meno è sempre una violenza abbastanza fortina e per nulla patinata come per la maggior parte delle serie di questo genere.

Al momento la serie non è arrivata in Italia e non si sa quando arriverà, ma probabilmente sarà trasmessa su Sky.

Di cosa parla Peacemaker

Chris Smith, anche conosciuto come Peacemaker, in ospedale dopo gli eventi di The Suicide Squad, viene nuovamente coinvolto in una missione governativa. Infatti, per evitare di tornare in galera, Peacemaker dovrà collaborare con la Squadra Speciale X, per il misterioso Project Butterfly.

Non aggiungo altro per evitare di spoilerare troppo e vi lascio al trailer.

Perché Peacemaker funziona

Anzitutto, io credo che James Gunn abbiamo imparato la lezione: per quanto non penso fosse quello il motivo principale dell’insuccesso della pellicola, il rating molto alto e la smisurata violenza di The Suicide Squad sicuramente ha allontanato una parte del pubblico. Io, come ho già spiegato, ho amato il film e vorrei che Gunn fosse libero di mettere tutti gli smembramenti che vuole, ma riconosco anche che, se avesse cominciato ad inanellare un flop dietro l’altro, sarebbe probabilmente stato escluso dalle future grosse produzioni. E per il genere sarebbe stata una perdita enorme. Quindi va bene così.

Il reale e il paradosso si incontrano

Il grande punto di forza di questa serie è il suo realismo: James Gunn porta in scena supereroi credibili ed umani, con problemi reali, che spesso vanno oltre al loro ruolo di eroi. Non sono divinità incorruttibili come i personaggi snyderiani, ma persone comuni che hanno scelto una strada diversa dagli altri, non per forza per via di capacità eccezionali. E il fatto che Gunn prediliga o personaggi senza poteri o personaggi con poteri assurdi rende il tutto, incredibilmente, ancora più credibile.

Gunn porta infatti sulla scena situazioni strane e paradossali, ma che in realtà appaiono estremamente realistiche e spogliate di quella narrazione idealizzante che molto spesso permea le narrazioni supereroistiche. La serie gioca molto con gli stereotipi del genere, ma al contempo cerca appunto di riportarle coi piedi per terra, spesso facendo uso di un umorismo parecchio riuscito e che rende la narrazione estremamente credibile nelle sue dinamiche.

L’insospettabile John Cena

Nella mia vita vorrei avere anche solo la metà della convinzione che ha John Cena in questo ruolo. L’ex-wrestler, divenuto per un certo periodo fenomeno della cultura pop all’inizio degli anni 2000, è riuscito splendidamente reinventarsi come attore, sotto l’ottima guida di Gunn, dopo essersi già fatto notare per Fast and furios 9 (2021). Il suo personaggio è stato in parte riscritto rispetto alla pellicola, cercando di renderlo più tridimensionale.

Peacemaker è infatti un eroe ridicolo, nel senso più positivo del termine: è ridicolo perché rappresenta un personaggio fragile, insicuro, fortemente ingenuo, che cerca di fare la cosa migliore secondo lui e spesso per i motivi più sbagliati possibili. È quindi un personaggio assolutamente fallibile e criticabile. E, per questo, una figura in cui possiamo immedesimarci.

La scena è abbastanza divorata da lui e da Vigilante, la sua spalla comica (e non solo), ma anche il resto del cast dà il meglio di sé, anche se talvolta indugia su una recitazione abbastanza stereotipata.

Una trama semplice ma vincente

La trama di per sé non andrebbe neanche esaltata in tempi normali: è piuttosto semplice, con una costruzione da manuale, anche se portata avanti in maniera molto sapiente. Tuttavia, davanti a praticamente tutte le serie della Marvel fatte di buchi di trama, puntate filler e vicende noiose ed inconcludenti, direi che è un aspetto che va riconosciuto.

In generale è una serie pensata per il rilascio settimanale, con costanti cliff-hanger che vengono un po’ depotenziati da una visione in binge watching.

L’inclusività fatta bene

John Cena, Danielle Brooks, Steve Agee e Chukwudi Iwuji in una scena della serie Peacemaker 2022 HBO Max

Ormai da anni le case di produzione cercano di inseguire il pubblico sulla (giustissima) questione dell’inclusività. Purtroppo molto spesso si tratta di operazioni fatte con grande superficialità, solamente per non essere accusati di alcunché, includendo quelli che non sono altro che dei token, ovvero dei personaggi non bianchi, non uomini e non eterosessuali per fare presenza (ne abbiamo un esempio recente in The King’s Man).

In Peacemaker (come prima anche in The Suicide Squad) la questione è ben diversa. Anzitutto Gunn è solito mettere in scena moltissimo i corpi maschili, sessualizzandoli anche in maniera ridicola, piuttosto che quelli femminili. È il caso del protagonista della serie, che sia qui che nella pellicola è molto spesso spogliato.

Inoltre in una scena in particolare Gunn dà finalmente l’idea di ascoltare le donne, e non portare sulla scena, come spesso appunto succede, una rappresentazione assolutamente irrealistiche delle stesse. Dal momento che la scena in questione è interpretata dalla sua fidanzata, non escludo che sia stata lei stessa a portare avanti questa idea.

Oltre a questo, i personaggi non bianchi sono ben contestualizzati all’interno di una serie che non vuole portare la narrazione di una società idealistica e totalmente inclusiva come spesso accade, ma include anche le fasce più estreme (ma anche estremamente reali) della società americana, dando voce ai problemi reali ed alle situazioni reali in cui appunto le POC (People of color) si trovano a vivere quotidianamente.

Posso guardare Peacemaker senza aver visto The Suicide Squad?

In generale, sì: all’inizio viene fatto un piccolo recap del film. Però è veramente un peccato, perché vi spoilera i momenti salienti della pellicola e, se siete fan di Gunn, dovreste assolutamente recuperarla. Se avete ancora bisogno di essere convinti su Gunn e non ve ne importa nulla degli spoiler, allora guardatela.

La maggior parte dei personaggi erano presenti anche nel film, ma erano molto secondari, quindi in realtà la pellicola non aggiunge molto su di loro. Anche Peacemaker come personaggio si può cominciare a conoscere direttamente da questa serie. Le vicende fanno riferimento ad alcuni elementi della pellicola, ma in generale è una serie che si può guardare anche da sola.

Soft Gunn

Se non vi è piaciuto The Suicide squad, non è detto che questa serie non vi possa piacere. Dipende da quale sia il vostro problema con il film: se vi ha dato fastidio la violenza eccessiva e l’umorismo troppo pesante, in questo caso entrambi gli aspetti sono molto più castigati, soprattutto il primo.

C’è molta violenza e anche molto pesante, ma è molto meno ostentata e visibile in scena. Quindi se il vostro problema era quello e in generale apprezzate il Gunn col freno a mano tirato come in Guardiani della galassia, allora può piacervi anche questa serie.

Se invece non vi piace Gunn, né come tipo di umorismo né come tipo di scrittura e preferite un tipo di cinecomic più classico, più vicino a serie come la recente Hawkeye della Marvel, molto probabilmente non farà per voi.

In generale se la volete vedere e non avete visto The Suicide Squad vi consiglio di recuperarvi la pellicola nell’attesa che esca ufficialmente in Italia.