Space Force è una serie tv di Netflix creata da Greg Daniels, autore anche di The Office, e Steve Carell, che è il protagonista.
Un prodotto che è stato accolto abbastanza tiepidamente, soprattutto per una delusione dei fan storici di The Office. Ma proprio perché, secondo me, si sono fatti i confronti sbagliati.
In questa recensione, assolutamente senza spoiler, vi darò tre motivi per guardare almeno la prima stagione (a cui mi sono fermata, per ora).
Di cosa parla Space force?
Appena nominato generale a quattro stelle, il generale Naird viene messo a capo di una divisione militare per lo spazio chiamata Space force. La serie segue le sue vicissitudini nel dover portare risultati per mantenere in piedi la divisione, contro importanti minacce internazionali.
Vi lascio il trailer della prima stagione per farvi un’idea:
È un divertimento rilassato
Come detto, da questa serie non vi dovete aspettare The Office. L’umorismo per certi versi è simile, ma non vuole essere una sitcom (pure raffinata come The Office, appunto) che deve farti ridere continuamente.
Al contrario è una serie di genere commedia, piuttosto realistica, che fa ridere e appassionare ai suoi personaggi, che devono scontrarsi con problemi non da poco. Però sempre con un divertimento generalmente leggere e rilassato.
Non mancano le sottotrame più fini a se stesse e per la costruzione dei rapporti fra i personaggi, ma non mancano comunque tutte di un minimo di profondità e non sono solamente riempitive.
Steve Carell e John Malkovich a stessa serie
Direi che il titolo è esplicativo già da solo, ma in generale vi posso dire che la chimica fra questi due attori è davvero coinvolgente, addirittura toccante in certe scene. E entrambi hanno trovato un loro spazio.
Da una parte il generale Naird, un uomo di ferro, figlio di una cultura militarista e machista, ma che nasconde molte debolezze. Con uno Steve Carell al massimo della forma, con la sua esplosiva recitazione corporea e facciale con cui si fece conoscere fin da Una settimana da Dio(2003)
Il dottor Adrian Mallory è una sorta di grillo parlante per Naird, che cerca di portare l’amico e collega verso le scelte più giuste. Per la maggior parte del tempo è un personaggio contenuto e riflessivo, ma Malkovich non manca neanche di mostrare la sua verve comica, che ricordo fin da Burn after reading (2008)
Space Force parla di noi
Non propriamente di noi, ma sicuramente degli Stati Uniti a lui contemporanei. Facendo neanche troppa attenzione, si capisce che parla, pur nascondendo i personaggi dietro pseudonimi e non nominandolo esplicitamente, degli Stati Uniti di Trump.
E infatti non è una serie imbevuta di stereotipi tipici della cinematografia americana main stream, che individua ancora come nemico la Russia della Guerra Fredda, ma, al contrario, racconta la paranoia legata alla ben più importante minaccia cinese.
E affronta non di meno altri temi importanti come la cultura delle armi e tematiche morali inaspettate per un prodotto del genere.
Ma quindi, vale la pena di vedere Space force?
In generale, sì.
Non mi sento di venderla come serie imperdibile come può essere Severanceo un Better call Saul. Tuttavia è una serie che mi sento di consigliare se vi piacciono le serie comedy che non vi devono far sganasciare, ma intrattenere con un umorismo di buon livello e dei personaggi profondi e coinvolgenti.
Fra l’altro, con dieci puntate dalla durata molto contenuta.
Severance è una serie tv Apple Tv+, piattaforma streaming che sembra ormai incapace di produrre prodotti di scarso valore: da Fondazionea Ted Lasso, era da tanto che non si vedevano prodotti di così altro livello, uno dietro l’altro.
Severance, in Italia nota come Scissione, è infatti una serie di altissimo valore, che sono riuscita a divorarmi in pochissimo tempo, tanto era la tensione ed il coinvolgimento che mi ha offerto.
Di cosa parla Severance?
Mark è impiegato per due anni in un’azienda molto particolare: per accedere al lavoro ogni dipendente deve sottoporsi all’operazione della severance, che permette di dividere la vita privata da quella lavorativa…
Vi lascio qui la sigla, che è già abbastanza autoesplicativa…
Vale la pena di vedere Severance?
Assolutamente sì.
Severance è già un piccolo cult, soprattutto oltreoceano: oltre ad un’ottima costruzione del mistero, la serie può godere di un ricco world building e di personaggi interessanti e intriganti, persino i più secondari.
Si tratta di una fantascienza piuttosto particolare, che si avvicina come tematiche e atmosfere a Black Mirror– in particolare allo speciale White Christmas (2015) – e gode di villain tremendamente inquietanti e di una trama assolutamente coinvolgente.
Insomma, assolutamente imperdibile.
Ogni elemento al suo posto
L’ottima qualità di Severance risiede soprattutto nella scrittura ben calibrata e che mette tutti gli elementi al loro posto.
Infatti, per la costruzione di un mistero che tenga col fiato sospeso lo spettatore, è importante che la soluzione dello stesso sia potenzialmente accessibile, tendenzialmente nelle mani di un personaggio.
In questo caso questo ruolo è ricoperto da Petey, che purtroppo dura pochissime puntate, e che serve solo come punto di partenza per la risoluzione del mistero – che poi non è neanche veramente risolto.
A differenza di altre occasioni in cui semplicemente i personaggi potevano mettersi ad un tavolo e in dieci minuti tutto si sarebbe risolto, in Severance la fonte della soluzione è poco attendibile e ritrosa anche a raccontare quello che conosce, con delle dinamiche assolutamente credibili – e non è scontato.
E, per rendere la risoluzione ancora più difficile, il protagonista non è del tutto convinto di voler conoscere la verità.
Al contempo un elemento fondamentale per avere un buon world building ed evitare spiegoni inutili è la presenza di un personaggio esterno alla storia che venga introdotto nel nuovo ambienteraccontato, al pari dello spettatore.
In questo caso ancora di più il personaggio nuovo, Helly, è una scheggia impazzita: di fatto, se lei non avesse cercato di ribellarsi, non avremmo saputo la maggior parte delle torture e dei segreti della Lumon.
L’alienazione e l’infantilizzazione
La strategia di Lumon, solo apparentemente favorevole per il lavoratore che si può distaccare dallo stress lavorativo, è in realtà un metodo di totale alienazionee di conseguente infantilizzazionedel lavoratore.
Chi lavora alla Lumon viene infatti privato della sua personalità, delle sue memorie, e quindi delle sue libertà. Messo in stanze senza finestre, senza quindi possibilità di vedere il mondo esterno, senza avere neanche idea di come sia fatto.
Così essere totalmente alienato dal suo lavoro, senza sapere cosa produce e addirittura cosa significa quello che sta facendo.
Al contempo una totale infantilizzazione: il dipendente viene ricompensato del buon lavoro fatto con dei premietti, delle piccole gratificazioni senza alcun valore, dalle gomme da cancellare a cinque minuti di musica.
Oltre a questo, il lavoro sembra più un videogioco che un lavoro effettivo. Questo aspetto si nota in particolare quando Helly riesce a completare il file e gli viene mostrata una cut scene di Kier che si complimenta con lei.
Ancora peggio la questione della break room: teoricamente significherebbe la stanza della pausa (da break, pausa), ma in realtà è la stanza che ti rompe, fisicamente e soprattutto mentalmente.
Una terribile tortura psicologica, assimilabile a quando alle elementari fanno scrivere mille volte ai bambini sulla lavagna quello che non dovrebbe fare. E così il lavoratore vive nel terrore di doverlo fare ancora, e in qualche modo assimila anche quello che ha dovuto ripetere all’infinito.
E così viene spezzato, appunto.
Le facce giuste
La scelta del cast è ottima: le facce giuste, le facce particolari, che si sposano con il carattere grottesco e surreale della serie.
In particolare, Adam Scott, che interpreta Mark, attore che, possiamo dirlo, ha una faccia molto particolare, ma, soprattutto, veramente antipatica. Infatti, la maggior parte delle volte interpreta personaggi negativi e sgradevoli.
In questo caso, come personaggio chiuso in se stesso e remissivo, funziona alla perfezione.
Così perfetti anche Zach Cherry e soprattutto John Turturro, che sono riusciti a mettere in scena dei credibili impiegati, le facce che ti aspetteresti entrando in qualsiasi ufficio americano.
Per i villain è un discorso a parte.
I villain
I villain sono costruiti a regola d’arte, con dei volti e degli interpreti azzeccatissimi.In primo luogo, Mrs. Cobel, interpretata dall’ottima Patricia Arquette, con i suoi occhi di ghiaccio e i capelli color ferro, perfettamente acconciati.
Una donna accecata dal culto della persona di Kier, apparentemente calma e calcolatrice, in realtà irosa e violenta.
Insomma, una donna di cui avere paura.
Ancora più inquietante Mr Milchick, che cerca di vendere questa apparenza di uomo festoso e cordiale, quasi da animatore del villaggio turistico, in certe scene al limite del grottesco.
Infatti, è sempre lui che porta i premi ai lavoratori, ma anche quello che glieli toglie e li tortura nella break room. Fra l’altro Tramell Tillman, l’attore che lo interpreta, ha una capacità di cambiare espressione nel giro di pochi secondi veramente ammirevole.
La Severance ti ha cambiato
Per la maggior parte dei personaggi che hanno subito la severance, non sembra che ci siano particolari cambiamenti nel loro carattere e modo di fare fra le loro versioni innie e outie. Tutti tranne Helly, che poi conosciamo come Helen.
Il maggior colpo di scena della serie, ma al contempo il più importante mistero e spunto di riflessione.
Chi poteva immaginare che la piccola Helly, indottrinata fin da piccola alle idee di Kier, potesse diventare la prima dei ribelli? Helly è la prima a stupirsi, non riuscendo ad accettare l’idea che la sua outie possa rivoltarsi contro di lei.
E invece la stessa accentua ancora di più l’alienazione e la spersonalizzazione del lavoratore, negandogli in via definitiva la sua identità, anzi distaccandosi dalla sua persona.
E Helly riesce in parte a prendersi la sua vendetta.
Cosa non mi ha convinto di Severance
Ci sono alcune piccole cose che non mi hanno del tutto convinto della serie Severance.
Anzitutto, per quanto sia stato molto coraggioso includere una coppia non solo omosessuale, ma anche di personaggi anziani (scelta rarissima nelle produzioni mainstream), ho trovato che la loro relazione sia stata eccessivamente drammatizzata.
Infatti, la loro storia mi ha convinto, anche molto, fino a quando Irving non va a bussare disperatamente alla porta di Burt outie, scelta che ho trovato appunto troppo eccessiva.
Al contempo, spero sia meglio spiegata la questione del perché ci sia così poco controllo e di fatto un personale ridottissimo all’interno di Lumon: tutti i protagonisti hanno la possibilità di fare molte cose che, se non ci fossero solo quattro gatti in quella azienda, non avrebbero mai potuto fare.
Ma, a parte questo, una serie magnifica.
Cosa sappiamo finora
La serie lascia aperti molti interrogativi, anche perché, secondo dichiarazione degli stessi showrunner, era stata pensata per diverse stagioni.
Per ora quello che sappiamo è che Helen aveva deciso di sottoporsi alla severance, che la sua outie è assolutamente spietata, e che è riuscita per qualche secondo a parlare al mondo della sua condizione. Mrs. Cobel l’ha minacciata di non farla più tornare dentro a Lumon, e quindi è possibile che, almeno all’inizio, non la vedremo più, almeno come innie.
Emagari conosceremo meglio la sua outie.
Per quanto riguarda Mark, è riuscito effettivamente a parlare con la sorella della Lumon, e quindi a questo punto sia il suo outie che la sorella stessa cercheranno di penetrare all’interno dell’azienda, anche se probabilmente con non poche difficoltà, visto lo strapotere dell’azienda.
Al contempo Mark dovrà ritrovare la sua moglie perduta, che fa probabilmente parte di un piano più articolato per testare la severance.
La cosa particolare è che la moglie nella sua versione innie dice di aver vissuto 107 ore, che corrispondono a circa 13 giorni lavorativi. Veramente poco: che la Lumon avesse in qualche modo il suo corpo in questo misterioso testing floor per due anni per poi testarlo su Mark e avere la certezza che la severance funzionasse?
Altre teorie più fantasiose ipotizzano che la Board sia in realtà formata dalle coscienze digitalizzate dei fondatori o dei vari CEO dell’azienda, e che quindi non siano persone reali.
A tutte queste domande, potremo rispondere almeno fra un anno. Infatti, ancora non è stato annunciato l’inizio della produzione, anche se, visti i tempi piuttosto celeri di conferma di un seguito,forse già la prossima primavera potremo goderci la seconda stagione.
South Park è una serie d’animazione satirica statunitense, giunta quest’anno alla venticinquesima stagione. Una serie che mi ha accompagnato per la maggior parte della mia vita, da quanto la scoprì ancora forse troppo giovane per capirne le battute, rimanendone una fan fedele ancora oggi.
Una serie incredibile per molti motivi: non va confusa con prodotti apparentemente simili come I Simpson e I Griffin, che in realtà non c’entrano assolutamente nulla. South Park è infatti una serie sui generis, che gode di ottima salute e che ha una durata potenzialmente infinita.
Di cosa parla South Park
Partiamo dalle base: South Park non è una sitcom.
Almeno non in senso stretto.
È più che altro una serie satirica di stampo comico: si concentra tramite i suoi protagonisti sugli argomenti di più stringente attualità con una tecnica di animazione molto particolare (di cui parlerò più avanti).
La serie vede come protagonisti un quartetto di ragazzini che abitano nella città di South Park in Colorado. Il più importante dei quattro è Cartman, che rappresenta l’americano medio e spesso al centro delle storie più assurde.
Tuttavia, la serie spazia anche su trame e personaggi molto diversi.
Come è possibile essere così attuali
La particolarità di South Park è appunto essere sempre così attuale: a differenza delle altre serie (animate e non) che richiedono di essere programmate dall’inizio alla fine con mesi di anticipo, South Park può godere di maggiore flessibilità.
Infatti, la tecnica di animazione utilizzata permette di creare le puntate in poco tempo.
Non a caso i disegni sono estremamente stilizzati ed i movimenti dei personaggi molto meccanici. Ad oggi sono sicuramente più fluidi e con maggiori particolari, ma all’inizio erano veramente dei pezzi di carta che si muovevano su uno sfondo statico. Un apparente limite, ma che in realtà diventa quasi un vantaggio per la natura stessa della serie.
Un umorismo veramente pesante
South Park si caratterizza da un umorismo veramente pesante. Al di là delle parolacce, che ormai sono la norma nelle produzioni statunitensi, la serie si spinge davvero molto in là con l’umorismo, giocando col surreale e l’assurdo nei suoi momenti migliori, scadendo anche (e per fortuna non troppo spesso) in battute riguardanti le feci, i genitali e simili.
Oltre a questo, chi pensava che I Simpson e I Griffin fossero serie per adulti, non ha mai visto South Park: come nelle prime due serie le scene di sesso vengono solo suggerite, al contrario in South Park ci sono talvolta anche scene di sesso piuttosto esplicite. Ovviamente non fanno grande effetto per la qualità dell’animazione, ma comunque ci sono.
Non mancano ovviamente le battute, anche piuttosto pesanti, su argomenti sensibili, su organizzazioni religiose e anche ad personam, che hanno sollevato diverse proteste negli anni.
Censura
Come anticipato, negli anni South Park è stato al centro di importanti polemiche e censure.
Una delle polemiche più famose riguardò Scientology e particolarmente Tom Cruise per la puntata Trapped in the closet (9×12).
Infatti, in tale puntata non solo si definiva l’organizzazione religiosa come una truffa globale, ma si insinuava che Tom Cruise fosse segretamente omosessuale. Per questo l’attore richiese che non vi fossero ulteriori repliche della puntata.
Uno dei bersagli preferiti è ovviamente la religione cattolica: nella puntata Bloody mary (9×14) viene rappresentato il miracolo del sanguinamento della statua della Madonna come legato alle sue mestruazioni, e così vi è una scena in cui il Papa ispeziona la statua e viene spruzzato dal suo sangue.
Questo ha ovviamente suscitato pesanti polemiche, con la richiesta ufficiale di scuse e di rimozione dell’episodio da parte di un importante gruppo cattolico statunitense.
Uno dei momenti più alti della censura fu l’autocensura applicata nella puntata 200(5×14), nella quale, a seguito di moltissime polemiche e persino minacce di morte per la rappresentazione di Maometto, i creatori di South Park censurarono per protesta interi dialoghi.
Perché guardare South Park
Se tutto questo non vi ha ancora convinto, vi dico che dovete guardare South Park perché nella vostra vita non vedrete probabilmente mai un prodotto mainstream così tanto geniale. Questa serie, oltre ad essere genuinamente divertente, ci permette al contempo di ridere e riflettere sulla nostra società e sull’attualità in generale, in maniera spesso anche molto sottile.
I prodotti a cui potrei associare questa serie non sono molti, ma vi direi che se vi piace un prodotto come The Suicide Squad (2021) o, abbassando di più il livello, This is the end (2009), probabilmente vi piacerà South Park. Ovviamente se non potete sopportare un certo tipo umorismo e di volgarità molto pesante, lasciate stare.
Tuttavia, se decidete di guardarla, potete facilmente recuperare quasi tutte le puntate gratuitamente sul loro sito ufficiale, anche se ovviamente sono in lingua originale e con i sottotitoli in inglese. In generale vi consiglio di guardare la serie in lingua originale, per apprezzarla appieno.
Trey Parker e Matt Stone, i creatori della serie, oltre ad essere splendidamente geniali, sono degli abilissimi doppiatori, che si occupano della maggior parte dei personaggi.
Per farvi capire di che tipo di persone stiamo parlando: nel 2000 South Park – Il film (1999) venne candidato come miglior Canzone Originale. Per l’occasione i due decisero di presentarsi vestiti da donne e, come se questo non bastasse, erano anche fatti di LSD.
E, per evitare di essere cacciati, indossarono due vestiti già presentati agli Oscar anni prima da Jennifer Lopez e Gwyneth Paltrow, così, nel caso qualcuno avesse avuto qualcosa da dire, avrebbero detto A loro non avete fatto problemi, perché a noi sì? Tutto ciò è sessista e omofobo!
Una foto di repertorio
Tuttavia, i doppiatori italiani fanno comunque un ottimo lavoro:
Come guardare South Park
Questa è probabilmente la domanda più difficile, per due motivi: la mole di episodi e la qualità crescente. Si contano ad oggi 317 episodi (episodi da 20 minuti, ma comunque tanti). Oltre a questo, a mio parere, più si prosegue, più la qualità visiva e di scrittura migliora. Quindi possiamo dire che è un investimento che ripaga nel tempo.
Tuttavia, ci sono tre modi in cui ci si può approcciare a South Park.
Il metodo purista
Cominciare dall’inizio, semplicemente. E poi proseguire passo passo, prendendosi tutto il tempo necessario, fino ad essere in pari. Questo perché, a differenza di altre serie come I Griffin, le vicende non sono strettamente autoconclusive, ma spesso personaggi e questioni vengono ripresi a distanza anche di diverse puntate.
Inoltre, certe tematiche onnipresenti si comprendono e si apprezzano nella loro interezza guardando l’intero arco evolutivo della serie.
In particolare la morte di Kenny era una gag ricorrente nelle prime stagioni, ma col tempo è divenuta meno frequente, per poi essere a volte ripresentata a sorpresa.E, non avendo in mente cosa significava questo elemento per la serie agli inizi, non fa lo stesso effetto.
Quindi, se ne avete il tempo, cominciate così.
Il metodo pigro
Il metodo pigro consiste nel cominciare a recuperare la serie cominciando dalle stagioni più recenti, così da mettersi al passo e venire a contatto con tematiche più attuali. Io vi consiglio di cominciare almeno dalla ventesima stagione, a mio parere una delle più geniali e ancora profondamente attuale.
Tuttavia, per i motivi sopra detti, non è un metodo che vi consiglio. Una cosa molto importante è non partire dagli speciali dedicati al Covid che sono usciti negli ultimi due anni: per la maggior parte si basano su delle battute che possono essere comprese solo avendo almeno un’idea generale delle dinamiche della storia e dei personaggi.
Il metodo toe in the water
Cominciare a mettere un piede nell’acqua, ovvero avere un assaggio della serie per capire di cosa si tratta. E, solo in seguito, cominciare a guardarla in maniera organica.
Io non posso dirvi da che puntata partire, ma posso darvi la mia classifica delle puntate, secondo diversi parametri.
La mia puntata preferita
World War Zimmerman (3×17)
La puntata fa riferimento a un caso di cronaca nera del 2012 che fece molto scalpore: George Zimmerman sparò ad un ragazzo afroamericano disarmato e dichiarò in tribunale di averlo fatto per legittima difesa. La puntata fa inoltre riferimento al film World War Z (2013).
La puntata più strana
You’re Getting Old (15×07)
Stan compie dieci anni e viene colpito da un profondo cinismo. Da vedere insieme alla puntata successiva, che ne è il seguito.
La puntata che non riesco a rivedere
HumancentiPad (15×01)
Ispirato al film The Human Centipede (2009), che già da solo mi disturba tantissimo.
La puntata che cito continuamente
Dance with the Smurfs (13×13)
Cartman riesce a diventare la voce che dà gli annunci al mattino nella scuola, ma ne approfitta per esporre le sue idee politiche.
La puntata che mi fa più ridere
Fishsticks (15×03)
La puntata ha come protagonista l’assolutamente non permaloso Kanye West.
La puntata più devastante
Scott Tenorman Must Die (5×04)
Cartman viene bullizzato crudelmente da un ragazzo più grande di lui.
La puntata più sorprendente
Woodland Critter Christmas (8×14)
In italiano, Il Natale degli animaletti del bosco. Sembra molto tenero vero? Non lo è.
La puntata più graffiante
The Tale of Scrotie McBoogerballs (14×02)
I protagonisti scrivono un libro volgarissimo e, una volta scoperti, danno la colpa a loro amico Butters. Tuttavia, la situazione non va come si aspettavano…
E potrei andare avanti. Ma lascio che siate voi a scoprire le puntate migliori.
Peacemaker (2022) è la serie sequel del poco fortunato filmThe Suicide Squad (2021), sempre nelle mani del brillante James Gunn. Proprio per il flop economico del film, probabilmente non ci si aspettava molto da questo prodotto. Invece il riscontro del pubblico è stato ottimo, portando in poco tempo ad un rinnovo per una seconda (e meritatissima) stagione.
Peacemaker è una serie ben realizzata, con una trama semplice ma funzionale, personaggio indovinati, un umorismo geniale ma mai ingombrante, oltre ad un ottimo comparto tecnico. Di fatto Gunn si conferma un eccellente autore e regista, anche capace di reinventarsi: probabilmente per non dover sottostare ad un rating castrante come era stato per The Suicide Squad, la violenza è molto più castigata e l’umorismo meno pesante. Non di meno è sempre una violenza abbastanza fortina e per nulla patinata come per la maggior parte delle serie di questo genere.
Al momento la serie non è arrivata in Italia e non si sa quando arriverà, ma probabilmente sarà trasmessa su Sky.
Di cosa parla Peacemaker
Chris Smith, anche conosciuto come Peacemaker, in ospedale dopo gli eventi di The Suicide Squad, viene nuovamente coinvolto in una missione governativa. Infatti, per evitare di tornare in galera, Peacemaker dovrà collaborare con la Squadra Speciale X, per il misterioso Project Butterfly.
Non aggiungo altro per evitare di spoilerare troppo e vi lascio al trailer.
Perché Peacemaker funziona
Anzitutto, io credo che James Gunn abbiamo imparato la lezione: per quanto non penso fosse quello il motivo principale dell’insuccesso della pellicola, il rating molto alto e la smisurata violenza di The Suicide Squad sicuramente ha allontanato una parte del pubblico. Io, come ho già spiegato, ho amato il film e vorrei che Gunn fosse libero di mettere tutti gli smembramenti che vuole, ma riconosco anche che, se avesse cominciato ad inanellare un flop dietro l’altro, sarebbe probabilmente stato escluso dalle future grosse produzioni. E per il genere sarebbe stata una perdita enorme. Quindi va bene così.
Il reale e il paradosso si incontrano
Il grande punto di forza di questa serie è il suo realismo: James Gunn porta in scena supereroi credibili ed umani, con problemi reali, che spesso vanno oltre al loro ruolo di eroi. Non sono divinità incorruttibili come i personaggi snyderiani, ma persone comuni che hanno scelto una strada diversa dagli altri, non per forza per via di capacità eccezionali. E il fatto che Gunn prediliga o personaggi senza poteri o personaggi con poteri assurdi rende il tutto, incredibilmente, ancora più credibile.
Gunn porta infatti sulla scena situazioni strane e paradossali, ma che in realtà appaiono estremamente realistiche e spogliate di quella narrazione idealizzante che molto spesso permea le narrazioni supereroistiche. La serie gioca molto con gli stereotipi del genere, ma al contempo cerca appunto di riportarle coi piedi per terra, spesso facendo uso di un umorismo parecchio riuscito e che rende la narrazione estremamente credibile nelle sue dinamiche.
L’insospettabile John Cena
Nella mia vita vorrei avere anche solo la metà della convinzione che ha John Cena in questo ruolo. L’ex-wrestler, divenuto per un certo periodo fenomeno della cultura pop all’inizio degli anni 2000, è riuscito splendidamente reinventarsi come attore, sotto l’ottima guida di Gunn, dopo essersi già fatto notare per Fast and furios 9 (2021). Il suo personaggio è stato in parte riscritto rispetto alla pellicola, cercando di renderlo più tridimensionale.
Peacemaker è infatti un eroe ridicolo, nel senso più positivo del termine: è ridicolo perché rappresenta un personaggio fragile, insicuro, fortemente ingenuo, che cerca di fare la cosa migliore secondo lui e spesso per i motivi più sbagliati possibili. È quindi un personaggio assolutamente fallibile e criticabile. E, per questo, una figura in cui possiamo immedesimarci.
La scena è abbastanza divorata da lui e da Vigilante, la sua spalla comica (e non solo), ma anche il resto del cast dà il meglio di sé, anche se talvolta indugia su una recitazione abbastanza stereotipata.
Una trama semplice ma vincente
La trama di per sé non andrebbe neanche esaltata in tempi normali: è piuttosto semplice, con una costruzione da manuale, anche se portata avanti in maniera molto sapiente. Tuttavia, davanti a praticamente tutte le serie della Marvel fatte di buchi di trama, puntate filler e vicende noiose ed inconcludenti, direi che è un aspetto che va riconosciuto.
In generale è una serie pensata per il rilascio settimanale, con costanti cliff-hanger che vengono un po’ depotenziati da una visione in binge watching.
L’inclusività fatta bene
Ormai da anni le case di produzione cercano di inseguire il pubblico sulla (giustissima) questione dell’inclusività. Purtroppo molto spesso si tratta di operazioni fatte con grande superficialità, solamente per non essere accusati di alcunché, includendo quelli che non sono altro che dei token, ovvero dei personaggi non bianchi, non uomini e non eterosessuali per fare presenza (ne abbiamo un esempio recente in The King’s Man).
In Peacemaker (come prima anche in The Suicide Squad) la questione è ben diversa. Anzitutto Gunn è solito mettere in scena moltissimo i corpi maschili, sessualizzandoli anche in maniera ridicola, piuttosto che quelli femminili. È il caso del protagonista della serie, che sia qui che nella pellicola è molto spesso spogliato.
Inoltre in una scena in particolare Gunn dà finalmente l’idea di ascoltare le donne, e non portare sulla scena, come spesso appunto succede, una rappresentazione assolutamente irrealistiche delle stesse. Dal momento che la scena in questione è interpretata dalla sua fidanzata, non escludo che sia stata lei stessa a portare avanti questa idea.
Oltre a questo, i personaggi non bianchi sono ben contestualizzati all’interno di una serie che non vuole portare la narrazione di una società idealistica e totalmente inclusiva come spesso accade, ma include anche le fasce più estreme (ma anche estremamente reali) della società americana, dando voce ai problemi reali ed alle situazioni reali in cui appunto le POC (People of color) si trovano a vivere quotidianamente.
Posso guardare Peacemaker senza aver visto The Suicide Squad?
In generale, sì: all’inizio viene fatto un piccolo recap del film. Però è veramente un peccato, perché vi spoilera i momenti salienti della pellicola e, se siete fan di Gunn, dovreste assolutamente recuperarla. Se avete ancora bisogno di essere convinti su Gunn e non ve ne importa nulla degli spoiler, allora guardatela.
La maggior parte dei personaggi erano presenti anche nel film, ma erano molto secondari, quindi in realtà la pellicola non aggiunge molto su di loro. Anche Peacemaker come personaggio si può cominciare a conoscere direttamente da questa serie. Le vicende fanno riferimento ad alcuni elementi della pellicola, ma in generale è una serie che si può guardare anche da sola.
Soft Gunn
Se non vi è piaciuto The Suicide squad, non è detto che questa serie non vi possa piacere. Dipende da quale sia il vostro problema con il film: se vi ha dato fastidio la violenza eccessiva e l’umorismo troppo pesante, in questo caso entrambi gli aspetti sono molto più castigati, soprattutto il primo.
C’è molta violenza e anche molto pesante, ma è molto meno ostentata e visibile in scena. Quindi se il vostro problema era quello e in generale apprezzate il Gunn col freno a mano tirato come in Guardiani della galassia, allora può piacervi anche questa serie.
Se invece non vi piace Gunn, né come tipo di umorismo né come tipo di scrittura e preferite un tipo di cinecomic più classico, più vicino a serie come la recente Hawkeye della Marvel, molto probabilmente non farà per voi.
In generale se la volete vedere e non avete visto The Suicide Squad vi consiglio di recuperarvi la pellicola nell’attesa che esca ufficialmente in Italia.