Il Corvo (1994) di Alex Proyas, tratto dall’omonimo fumetto di James O’Barr, è uno dei più grandi cult cinematografici degli Anni Novanta.
La sua fama è legata anche all’infausto incidente dell’attore protagonista, Brandon Lee, che morì sul set a soli ventott’anni e non poté mai vedere il film finito…
A fronte di un budget piuttosto contenuto – appena 23 milioni di dollari – fu un enorme successo commerciale, con 95 milioni di dollari di incasso in tutto il mondo, tanto da portare a ben due sequel.
Di cosa parla Il Corvo?
Eric e Shelly sono una giovane coppia innamorata, il cui destino viene stroncato da un evento improvviso. Ma la vendetta è dietro l’angolo…
Vi lascio il trailer per farvi un’idea:
Vale la pena di vedere Il Corvo?
In generale, sì.
Non voglio troppo sbilanciarmi: Il Corvo è un film che va veramente inquadrato nel periodo in cui è uscito, in quanto figlio di un’estetica che ad oggi potrebbe essere considerata quasi trash e dozzinale.
Inoltre, se siete appassionati del fumetto d’origine, potreste rimanere parzialmente delusi – per me è stato così – in quanto questa trasposizione cerca di rendere più digeribile una vicenda davvero cupa e malinconica.
Tuttavia, al di là di questo, Il Corvo è indubbiamente una lettera d’amore verso l’opera di James O’Barr – presente anche con un piccolo cameo – che riesce al meglio delle sue possibilità – e con scelte complessivamente vincenti – a rendere una graphic novel così complessa e sofferta.
Insomma, da vedere.
In questa recensione inevitabilmente ci saranno dei confronti con l’opera originale, che vi invito a riscoprire.
Frammenti di dolore
Non era semplice rendere la scena dell’omicidio iniziale de Il Corvo.
Il film sceglie un taglio peculiare, ma assolutamente adatto alla narrazione dell’opera originale: un montaggio travolgente, in cui frammenti della scena si susseguono sullo schermo, attimi di dolore e paura…
Inoltre la pellicola opera alcuni cambiamenti funzionali alla riuscita del film: la violenza non avviene in strada, ma nell’appartamento della coppia, e così Shelly non viene uccisa con un colpo alla testa, ma affronta trenta ore di dolore in ospedale.
La monumentalità ammorbidita
Allo stesso modo, anche portare in scena Eric era la sfida più ardua.
Nel fumetto il protagonista è una figura monumentale e paurosa, che vive del contrasto fra l’orrido presente e la morbidezza delle scene d’amore quotidiano con Shelly, che sottolineano la profondità del dolore e del desiderio di vendetta del suo personaggio.
La pellicola in questo senso sceglie un taglio leggermente diverso: Brandon Lee sembra quasi uno zombie che riemerge dalla tomba…
…e riesce nel complesso a reggere sulle spalle un personaggio così complesso, con una buona presenza scenica e una resa visiva veramente calzante.
Al contempo però il film sceglie anche di riportare il protagonista più coi piedi per terra, di non giocare troppo con il contrasto fra presente e passato…
…ma piuttosto di mantenere questa dicotomia nel presente stesso: come Eric è un killer insaziabile, al contempo è anche un giovane ragazzo distrutto dal lutto, ma ancora legato agli affetti terreni.
Nello specifico, al personaggio di Sarah.
La felicità intrusiva
Nonostante ne comprenda la funzione, Sarah è l’elemento che ho meno apprezzato.
Nel fumetto Sarah ha un ruolo minore, limitato a pochi momenti, mentre nel film diventa una figura fondamentale per rendere più umano il protagonista e permettere allo stesso di trovare col suo ritorno in terra una funzione ulteriore oltre alla vendetta.
Insomma, serve a dare un briciolo di speranza in più allo spettatore.
Sempre per lo stesso fine, la madre di Sarah segue un percorso di redenzione proprio grazie al protagonista, liberandosi dalla dipendenza dalle droghe e ricominciando a curare la figlia.
Una scena di per sé inutile ai fini della trama, ma del tutto funzionale per ammorbidire il tono del film.
E lo stesso avviene nel finale.
Il vero amore?
Il finale del film ruota principalmente intorno al personaggio di Sarah.
A differenza del fumetto, Eric nel terzo atto ha fondamentalmente concluso la sua missione ed è pronto a ricongiungersi con Shelly, ma ritorna in campo proprio per salvare la ragazzina, perdendo anche parte dei suoi poteri – l’immortalità – e quindi dovendo combattere ad armi pari T-D.
Nel complesso tuttavia ho apprezzato il cambiamento della fine di del boss, che solo alla fine Eric comprende essere il vero artefice del suo dramma: per questo decide di punirlo con qualcosa di peggiore della morte stessa.
Ovvero, fargli provare l’insopportabile dolore di Shelly prima di morire.
Al contrario, mi è ha meno convinto la chiusura del film.
Per rendere la vicenda più comprensibile allo spettatore medio, si sceglie di glissare totalmente sul motivo originario – nel fumetto – della vendetta di Eric, ovvero il tentativo di liberarsi dalla colpa di non essere riuscito a salvare la sua amata, così da poter lasciare questa vita di mezzo e ricongiungersi con lei.
Il film sceglie una via più semplice, sottolineando la forza di un amore così sincero ed immortale come quello fra Eric e Shelly, che gli ha permesso di tornare in vita e di punire i suoi aguzzini, e, infine, di ricongiungersi amorevolemente con lei.
Il Corvo Sequel
A cura di Carmelo.
Vale la pena di vedere i sequel de Il Corvo?
Dipende.
Il secondo film è molto vicino allo spirito del primo capitolo: nonostante il protagonista sia diverso, la sua motivazione e le dinamiche della sua storia sono simili.
Fra l’altro, è presente un collegamento diretto con il film del 1994, per la presenza di Sarah, che funge da guida per il nuovo protagonista.
Un sequel che si distingue per un taglio più onirico e surreale, ma che può essere comunque apprezzato.
Lo stesso si può dire de Il Corvo 3 – Salvation (2000).
In questo caso il protagonista è un ragazzo condannato alla sedia elettrica per il presunto omicidio della sua fidanzata, e torna per vendicarsi dei veri assassini.
Insomma due sequel che cercano di mantenere il taglio del primo film, e che possono comunque essere apprezzati se vi intriga la dinamica raccontata.
Assolutamente sconsigliato invece il quarto capitolo, Il Corvo – Preghiera maledetta (2005): girato tutto alla luce del sole – quindi mancando totalmente dell’atmosfera originale – porta l’elemento magico-fantastico in direzioni molto meno desiderabili, snaturando l’opera originale.
Insomma, da evitare.