Flow (2024) di Gints Zilbalodis è un film animato muto, il primo film lettone ad essere candidato agli Oscar come Miglior film internazionale.
A fronte di un budget piccolissimo – 3.5 milioni di dollari – è stato nel complesso un buon successo commerciale: 17.5 milioni di dollari in tutto il mondo.
(in nero le vittorie)
Miglior film d’animazione
Miglior film internazionale
Di cosa parla Flow?
Il protagonista è un gatto che si immerge in un realtà apparentemente post-apocalittica con improbabili alleati incontrati lungo la strada.
Vi lascio il trailer per farvi un’idea:
Vale la pena di vedere Flow?

Assolutamente sì.
Flow è uno di quei prodotti indipendenti che emergono a sorpresa in un panorama al limite della saturazione, che però si sta rinnovando con sperimentazioni di tecnica mista che vanno dalle grandi produzioni come Il robot selvaggio (2024) fino a prodotti più piccoli – ma di valore.
Un effettivo esempio di arte povera, che lavora efficacemente coi pochi mezzi che ha, fra cui la mancanza del doppiaggio parlato, che diventa in realtà un valore dell’opera nel riuscire a portare in scena le dinamiche animali in maniera il più possibile reale.

Solo

Il gatto protagonista è solo.
Muovendosi in un ambiente abbandonato dall’umano per motivi imprecisati, la lotta diventa esclusivamente animale, totalmente selvaggia, dove il più forte ha inevitabilmente la meglio, dove un branco di cani rabbiosi vuole avere il dominio su tutto, terrorizzando il povero protagonista.

Il primo compagno sembra un altro solitario avventuriero, un capibara totalmente innocuo che lascia che il gatto viva insieme a lui nella sua barca di fortuna, lasciando pigramente salire chiunque lo desideri.
Ma il mondo del branco è ben più ostile.
Branco

Flow gioca molto sul concetto di branco e di smarcarsi dallo stesso.
Infatti in più momenti i personaggi si trovano a cercare una vita alternativa al di fuori della sicurezza del gruppo: il primo è proprio il curioso serpentario, che, per la sua imponenza, terrorizza il gatto, ma che cerca una via di pace offrendogli un pesce appena pescato.

Un tentativo di fatto inutile, perché l’uccello viene subito soverchiato dal resto del branco, che pensa prima di tutto a sé stesso raccogliendo il pesce per la propria prole, e che anzi gli si rivolta violentemente contro quando cerca di difendere il suo nuovo amico.
Una lezione di vita importante, che però non è subito colta dall’invece piuttosto ingenuo ed entusiasta labrador, che cercherà di coinvolgere i suoi compagni nel neonato gruppo, non riconoscendone pericolosità e il dannoso egoismo.
Infatti, la minaccia è duplice.
Minaccia

Gli antagonisti di Flow sono due.
Uno reale, uno apparente.
Il nemico reale è un concetto: l’egoismo e la volontà di subordinare chiunque ci si metta contro, che si concretizza nel già citato branco di cani, che prima terrorizza il gatto, poi, accolto sulla nave, si impossessa senza ritegno del pesce faticosamente raccolto e rompe per dispetto lo specchio del lemure.
Un concetto in parte presente anche nella testarda solitudine del protagonista, che invece nel corso della pellicola impara a lavorare all’interno di un gruppo, anzi imparando dallo stesso – riuscendo a superare la paura dell’acqua e raccogliendo abbastanza pescato da sfamare i suoi compagni.

La minaccia apparente è invece l’immenso capodoglio che infesta le acque della città sommersa, una presenza che fa subito risalire il gatto sulla barca per paura di essere sbranato, ma che in realtà si limita ad esistere pacificamente accanto ai protagonisti protagonista, mostrandosi nella sua immensità.
Ma è una minaccia apparente perché lo stesso è vittima di quell’abbassamento delle acque che è invece la salvezza del gruppo, che riesce infine a vivere sulla terraferma senza paura di rimanere risucchiato dai flutti, essenziali per la sopravvivenza dell’enorme mammifero.
E proprio questa scena ci permette di comprendere il finale – e, per estensione, l’intera pellicola.
Flow significato

Qual è il vero significato di Flow?
Il film può essere letto in due direzioni: per dichiarazione dello stesso regista, la pellicola racconta il percorso complesso ma necessario dell’imparare a lavorare in gruppo, nonostante le differenze e i timori, non mettendo più se stessi al primo posto – ma anche scegliendosi i giusti compagni.
Lo si capisce soprattutto nel comportamento dell’uccello segretario, che litiga con tutti per non far salire sulla barca i cani – che infatti si rivelano infidi ed egoisti fino all’ultimo – che si getta in un enigmatico sacrificio a cui segue la salvezza dell’intero gruppo.

In senso più ampio, anche vista l’ambientazione serenamente post-apocalittica, l’opera può essere vista come racconto della necessità dell’umano di collaborare per non essere autore della propria distruzione, dettata da un continuo egoismo che non avvantaggia davvero nessuno…
…e, in senso più ampio, nel finale si racconta la presa di consapevolezza del gruppo, che acquisisce comprensione del proprio esistere specchiandosi in quell’acqua che può essere ora salvezza, ora minaccia, a seconda di quale punto di vista la si guarda.