Il discorso del re (2010) di Tom Hooper è un dramma storico, vincitore di diversi premi, fra cui Miglior Film e Miglior Attore protagonista agli Oscar.
Un film che incassò ottimamente, sopratutto davanti ad un budget veramente risicato: appena 15 milioni di dollari, con un incasso di 423 milioni.
Di cosa parla Il discorso del re?
Il principe Alberto, futuro Giorgio VI e padre della compianta Elisabetta II, è balbuziente. Problema non da poco per un reale che deve sostenere dei discorsi in pubblico…
Vi lascio il trailer per farvi un’idea:
Vale la pena di vedere Il discorso del re?
Assolutamente sì.
Il discorso del re è un film veramente ottimo, sia per la regia, ma sopratutto per le superbe interpretazioni di Colin Firth e Geoffrey Rush – fra i migliori ruoli della loro carriera.
Un prodotto con ritmi lenti e compassati, ma al contempo una costruzione praticamente perfetta della storia, e sopratutto dei personaggi, nei loro turbolenti rapporti.
Un principe debole
All’interno di una crisi serpeggiante della Corona Inglese, non era accettabile avere al proprio interno un membro debole e impresentabile.
E Bertie era davvero impresentabile, praticamente una vergogna per la sua famiglia.
Ma era altrettanto difficile abbassarsi ad accettare questa debolezza, così da riuscire a risolverla effettivamente. E infatti, per tutto il tempo, la strategia Lionel è quella di spogliare il futuro re della sua identità regale e di metterlo al suo livello, quasi infantilizzandolo.
Privandolo della sua identità, per dargliene una nuova.
E infatti alla fine lo chiama secondo la sua carica, riconoscendola in maniera definitiva.
Mostruosamente capace
Portare sullo schermo le balbuzie, lo sforzo, le difficoltà e le paure annesse, non è cosa da tutti.
Ma Colin Firth è stato mostruosamente capace.
Neanche per un momento all’interno della pellicola ho mai pensato stesse recitando, tanto era intensa e convincente la sua interpretazione. E funziona perfettamente anche nel modulare la sua evoluzione nel corso del film, sopratutto nel suo lento ma costante miglioramento.
Ed era fondamentale che ne fosse capace.
La costruzione drammatica
Uno dei motivi del successo di pubblico di questa pellicola è la sua costruzione drammatica – semplice ma vincente.
Il protagonista del film – e così anche Lionel – è la vittima della situazione e ci coinvolge profondamente a livello emotivo perché gli antagonisti – il padre quanto il fratello – sono indifendibili.
Quindi si percorre una strada sicura nel raccontare la famiglia reale come un luogo rigido e opprimente, quasi militarista. La stessa strada che percorre anche The Crown, alternando le vittime a seconda della stagione – prima Margaret, poi Carlo, infine Diana.
Facendo fra l’altro leva su un trigger emotivo che facilmente coinvolge il pubblico: i rapporti familiari difficili.
La vera famiglia reale?
Vedere Il discorso del re oggi, dopo cinque stagioni di The Crown, fa tutto un altro effetto.
La mano dietro ai due prodotti è radicalmente differente, sopratutto nella scelta del casting: come Peter Morgan – per The Crown e The Queen (2006) – punta sulla somiglianza perfetta, Tom Hooper invece predilige i grandi nomi.
Anche se questi assomigliano veramente poco alle loro controparti reali.
Ed in generale forse è l’elemento che mi ha meno convinto dell’intero progetto, con una costante sensazione di messa in scena e dei personaggi molto caricati e un po’ finti, per certi versi. Ma le interpretazioni sono talmente buone che comunque non è niente di eccessivamente condannabile.
Il discorso del re meritava di vincere l’Oscar?
Gli Oscar del 2011 furono piuttosto interessanti per diversi motivi.
Oltre a Toy Story 3 (2010), terzo film d’animazione nominato nella categoria Miglior Film in tutta la storia degli Oscar, Il grinta (2010) fu nominato in dieci categorie. E le perse tutte – la seconda volta in tutta la storia dell’Academy.
Il discorso del re fu la pellicola a ricevere più nomination, ma si divise una buona fetta di premi con Inception (2010): entrambi si portarono a casa quattro statuette.
Le pellicola di Tom Hooper aveva dei contendenti molto forti nella categoria Miglior film, in particolare Inception e The Social Network (2010). Ma, per la qualità del prodotto, mi sento di confermare la scelta dell’Academy.
Tuttavia, devo dire che non è il film che personalmente avrei premiato: il mio voto sarebbe indubbiamente andato alla pellicola di David Fincher.
Ma è anche vero al contempo che Il discorso del re è uno di quei film che, pur essendo artisticamente validi, sono perfettamente confezionati per trionfare a queste premiazioni – per il cast stellare e il tipo di storia raccontata.
Farewell, my dear Hooper…
Il regista, Tom Hooper, ha avuto una sorte veramente infelice.
O meritata, a seconda di come la si guarda.
Ha vissuto degli anni felici come golden boy dell’Academy, a capo di film ampiamente discussi e premiati come Les Misérables (2012) e The Danish Girl (2015). Insomma, si era fatto un nome ad Hollywood e per quasi un decennio sembrava invincibile.
Poi è arrivato Cats (2019).
Cats è ancora oggi un mistero cinematografico: sulla carta sembrava un prodotto incredibile, destinato a far parlare molto di sé, essendo il primo adattamento cinematografico dell’omonimo spettacolo teatrale.
Ed effettivamente fece molto parlare di sé.
Ma non nel modo che Hooper probabilmente si aspettava.
Cats fu infatti un disastro sotto ogni punto di vista: fu un flop disastroso al box office, non riuscendo minimamente a coprire le spese di produzione, venne sbeffeggiato in ogni dove e, sopratutto, fece perdere ogni tipo di credibilità al regista.
Anche a livello umano Hooper fu sotterrato dalle critiche: vennero alla luce una serie di indiscrezioni per cui avrebbe sottoposto gli addetti agli effetti visivi – fra l’altro terribili – a dei ritmi massacranti, comportandosi anche in maniera incredibilmente scorretta nei loro confronti.
E vincendo un Razzie awards come peggior regista dell’anno.