Il velo dipinto (2006) di John Curran è un dramma storico-romantico con protagonisti Edward Norton e Naomi Watts, remake dell’omonima pellicola del 1934.
Pur con un budget piuttosto contenuto – circa 19 milioni di dollari – fu un pesante flop al botteghino, incassando appena 26 milioni in tutto il mondo.
Di cosa parla Il velo dipinto?
Londra, 1925. Kitty è una giovane donna non ancora sposata, che si impegna in un matrimonio di cui non è per nulla convinta, e che la porterà a conseguenze inaspettate…
Vi lascio il trailer per farvi un’idea:
Vale la pena di vedere Il velo dipinto?
Assolutamente sì.
Il velo dipinto è un film porto nel cuore, per tanti motivi, a partire dall’ottima costruzione del rapporto fra i protagonisti, impreziosita dalla performance di due fantastici attori, e al contempo resa incredibilmente tridimensionale grazie al taglio fortemente crudo e realistico.
Così l’ambiente in cui si muovono i protagonisti è portato in scena con particolare cura e precisione, grazie anche ad una fotografia molto indovinata, nonché una produzione molto consapevole, che ricade il meno possibile negli errori tipici dei drammi storici di produzione statunitense.
Insomma, ve lo consiglio molto.
Arrivare alla rottura
La costruzione del primo atto è magistrale.
La situazione presente si rivela via via nella sua drammaticità e crudezza, con una Kitty sfiancata dal viaggio a cui il marito l’ha costretta, mentre lo stesso si dimostra del tutto indifferente nei suoi confronti, anzi piuttosto vendicativo.
Si alternano quindi le visioni del passato, con un taglio crudelmente realistico: come Walter è convintissimo della sua scelta, Kitty, nonostante cerchi di trovare degli spazi di indipendenza, accetta il matrimonio per non essere schiacciata dalle pressioni sociali che la porterebbero ad essere una sfortunata zitella.
E così rivelazione dei contorni della situazione di arrivo è accompagnata dal puntuale racconto del degrado della situazione nel passato, in cui entrambi i protagonisti sono le vittime: Kitty è la moglie insoddisfatta che cerca l’amore in un uomo che in realtà ha molto poco rispetto di lei.
Al contempo Walter è il marito tradito, ma tradito soprattutto nei sentimenti e nella fiducia, che mette in moto una vendetta che appare più come una autodistruzione, buttandosi a capofitto in un’impresa mortale e distruttiva, con la speranza di annientare sé stesso e la tanto odiata moglie.
La prigione
Lo svolgimento della parte centrale è drammatico per entrambe le parti.
Per quanto incattivito e intestardito, Walter viene più volte preso contropiede dalla tragica situazione con cui si trova a dover combattere, fra il dramma umano di povertà e malattia, e la barriera culturale e linguistica apparentemente insormontabile.
L’asprezza della situazione si rivela proprio nel momento in cui il protagonista comanda di chiudere il pozzo, molto tiepidamente spalleggiato da Colonnello Yu, che dovrebbe essere il suo middleman, ma che lo tratta con grande freddezza e distacco.
Ma il vero dramma è quello di Kitty.
Imprigionata in un paese straniero, impossibilitata a comunicare, osteggiata da tutte le parti, anche in maniera sottilmente maligna dall’apparentemente ospitale Waddington, proprio quando cerca di ristabilire quel flebile contatto con l’unico ricordo ancora integro della sua vecchia vita: Charlie.
In questo senso la protagonista affronta in maniera diversa il conflitto con il marito: prima con atteggiamento passivo-aggressivo, poi, esasperata dalla noia e dalla disperazione, scontrandosi apertamente con Walter, e cercando di ultimo di superare il suo muro di freddezza.
Ma punto di svolta arriva da dove meno se lo poteva aspettare.
Riscoprirsi
Lo snodo narrativo – e spaziale – fondamentale è rappresentato dall’orfanotrofio.
In primo luogo per Kitty, che riscopre una faccia del marito che finora aveva ingenuamente ignorato: il suo lato più umano, morbido, che lo porta a sacrificarsi – letteralmente – per il bene di una comunità, e non solamente per una propria vendetta personale.
Allo stesso modo Walter riscopre la moglie in una luce inaspettata: credendola solo una ragazzina viziata ed egoista, è totalmente sconvolto nel vedere come Kitty come si presti, pur con tutte le difficoltà, a mettersi in gioco per qualcun altro.
In questo senso il lavoro di Kitty all’orfanotrofio è tutto tranne che idilliaco, anzi segue le stesse strade di Walter: incapacità di comunicare, un impegno molto più duro ed impegnativo di quanto si aspettasse, diversi ostacoli lungo la strada.
Ma il momento di effettiva svolta è il salvataggio di Kitty, in una splendida sequenza in cui la donna fugge da una morte sicura per mano dei ribelli, salvata da due uomini che aveva sempre sottovalutato: non solo il marito, ma anche il povero soldato che la fa da guardia del corpo.
La punizione costruttiva
Il terzo atto è costruttivo e punitivo insieme.
Dopo il ricongiungimento fisico, la coppia riesce a ritrovare una riunificazione sul piano emotivo, e anche a raggiungere un’importante consapevolezza: con una certa amarezza, entrambi si rendono conto di aver cercato nell’altro qualcosa che non era semplicemente possibile.
Così Walter riesce effettivamente a portare del bene nella comunità e a farsi accettare grazie alla costruzione dell’acquedotto, che diventa anche argomento di conversazione con Kitty, con la quale si apre anche per un lato della sua vita a cui pensava che la moglie fosse assolutamente indifferente.
Il picco del rincontro emotivo è la scoperta della gravidanza: come Kitty aveva evidentemente paura di un ulteriore allontanamento del marito appena riconquistato, in realtà Walter sceglie consapevolmente di lasciarsi alle spalle gli sbagli di entrambi, e di accettare le scuse della moglie.
Ma è troppo tardi per salvarsi.
Particolarmente straziante tutta la sequenza dedicata alla sua malattia e morte, in cui Kitty si impegna fino all’ultimo nella sua riconfermata fedeltà, portando anche il marito a prendersi le sue colpe per la drammatica situazione in cui ha trascinato entrambi.
L’accettazione del martirio di Walter ha una gestazione molto lenta per Kitty, scandita sulle note agrodolci di À la claire fontaine, che suggellano l’amarezza dell’addio al compagno.
La maturazione di Kitty si vede anche nelle ultime battute del film: nonostante non sia più impegnata sentimentalmente, sceglie consapevolmente di non ricadere nuovamente nella rete di Charlie, e di non diventare ancora una volta una miserabile amante usa e getta…
Il velo dipinto white savior
Con questa recente visione, mi sono resa conto di quanto fosse facile per questa pellicola scadere nel white saviourism, ovvero quella tendenza tutta occidentale di diventare i salvatori di paesi più svantaggiati unicamente per una glorificazione personale.
Tuttavia, penso che Il velo dipinto se la cavi piuttosto bene da questo punto di vista.
Nonostante sia evidentemente un film occidentale pensato per un pubblico occidentale, nonostante i personaggi britannici non vengano mai dipinti come colonizzatori, non godono di una rappresentazione del tutto idealizzata.
In primo luogo, Walter non salva di fatto nulla: non risolve la situazione, aiuta dove può e porta a compimento un piccolo progetto che riesce a venire a capo solo di una parte del problema – per un ostacolo che, fra l’altro, aveva creato lui stesso.
Allo stesso modo il lavoro delle missionarie e la presenza britannica in Cina sono messi in discussione esplicitamente almeno in due punti, pur non sbilanciandosi eccessivamente in senso negativo.
Ma la scelta che più ho apprezzato a livello produttivo è stato il casting, che ha coinvolto figuranti e comparse effettivamente cinesi, un attore internazionale come Anthony Wong e, soprattutto, che ha scelto consapevolmente di non semplificare il problema della barriera linguistica, come invece tipico di altre produzioni analoghe.