Lamb (2021) di Valdimar Jóhannsson è un film islandese presentato anche a Cannes nel 2021 e agli Oscar 2022 nella categoria Miglior film straniero, con un certo riscontro anche nel cinema internazionale.
Il budget del film è ignoto, ma sicuramente è stato abbastanza risicato, effetti speciali permettendo. In tutto il mondo ha incassato 3,1 milioni.
Di cosa parla Lamb?
María e Ingvar sono due fattori in un luogo sperduto dall’Islanda, che vivono la loro vita per giorno. La situazione cambia improvvisamente con la nascita di uno strano cucciolo da una delle loro pecore…
Vi lascio qui il trailer, ma vi sconsiglio di guardarlo: il primo atto del film è molto più godibile senza sapere nulla.
Vale la pena di vedere Lamb?
In generale, sì.
Lamb è un prodotto di alto valore artistico, ma con ritmi e un linguaggio non del tutto comprensibile nell’immediato, soprattutto per quanto riguarda il primo atto, quello più dominato dai silenzi e dalle inquadrature enigmatiche.
Gli ultimi due terzi di film sono quelli più digeribili: le dinamiche in scena, tolto l’elemento fantastico, il film si segue con abbastanza facilità. Come prodotto mi ha in parte ricordato The Witch (2015), senza però l’elemento orrorifico, molto meno presente di quanto è stato pubblicizzato.
Insomma, se cercate un prodotto di cinema fantastico che gioca molto con l’elemento favolistico e folkloristico, potrebbe davvero sorprendervi.
La costruzione del colpo di scena
Il primo atto è complessivamente quello più riuscito dell’intera pellicola: ti racconta lo sbocciare dell’amore per Ada e la rinascita della relazione matrimoniale, al contempo capace di nasconderti sapientemente la vera natura della figlia adottiva.
Infatti io, che conoscevo principale colpo di scena del film, ho avuto un cortocircuito mentale in cui pensavo di essermi sbagliata nel capire il punto centrale della storia, in quanto mi aspettavo che il vero aspetto di Ada fosse rivelato immediatamente.
In un certo senso all’inizio forse i due protagonisti nascondono la natura della figlia anche a loro stessi: mentre il suo essere una creatura ibrida può apparire grottesco, vedere solo la testa di agnello ispira una naturale simpatia e dolcezza.
Oltre a questo, questa scelta della rivelazione più tardiva non distrae dal punto centrale della scena: la crescita del rapporto d’amore per la bambina.
La maternità rubata
Marìa si appropria quasi egoisticamente di una maternità che non le appartiene, ribadendo la sua superiorità umana contro quella bestiale della vera madre di Ada. E se ne riappropria definitivamente utilizzando un’arma umana contro di lei.
La scelta è dovuta ai suoi incubi ricorrenti riguardo a questa maternità rubata: la donna è di fatto cosciente di essersene appropriata ingiustamente, ma non può permettere che di nuovo un’altra figlia le sia tolta. Si vede infatti che Marìa visita la tomba della figlia umana morta, con lo stesso nome della figlia adottiva.
E, come una sorta di contrappasso dantesco, questa violenza le si ritorce contro: alla fine sarà il vero padre di Ada, che ha tutte le capacità umane di rivalersi contro i rapitori della figlia, proprio nella stessa maniera umana che loro stessi hanno utilizzato.
Il simbolismo di Lamb
Lamb sembra trarre da diverse simbologie: quella più immediata è indubbiamente il mito del Minotauro, un racconto di hybris sempre legato ad una maternità mostruosa.
Con anche una sorta di ribaltamento: al contrario del Minotauro, che è un essere repellente, Ada è associata ad un animale spesso simbolo di delicatezza e dell’infanzia.
Un altro mito meno immediato è quello di Ganesha, l’aspetto più ricorrente del Dio della religione induista, nella forma di uomo con la testa di elefante. Secondo uno dei miti più diffusi riguardo alla sua nascita, il Dio sarebbe stato originariamente un fanciullo ingiustamente decapitato, la cui testa sarebbe stata sostituita da quella di un animale, l’elefante appunto.
In Lamb si ricollegherebbe al tentativo di Marìa di ricostruire la figlia che le è stata ingiustamente tolta.
Come è stata fatta Ada?
Ada ha dalla sua parte il fatto di essere un personaggio sostanzialmente muto, che non richiedeva quindi di essere interpretata da un attore professionista. E infatti è stata portata in scena da diversi bambini locali coinvolti nella produzione.
I bambini coinvolti indossavano una sorta di casco con il green screen, su cui poi è stata creata la testa, ideata usando come modello delle vere pecore di allevamenti locali al luogo della produzione.
La risoluzione e la credibilità del risultato è senza eguali per un film che è di fatto una produzione indipendente.