Memorie di un assassino (2003) è il secondo film della ricca filmografia di Bong Joon-ho.
A fronte di un budget piccolissimo – appena 2,8 milioni di dollari – anche grazie alla distribuzione in Occidente a quasi vent’anni dall’uscita, è stato un ottimo successo commerciale: 12 milioni in tutto il mondo.
Di cosa parla Memorie di un assassino?
Corea del Sud, 1986. In una piccola cittadina di campagna si susseguono una serie di omicidi piuttosto efferati nei confronti di giovani donne. E i metodi di indagine della polizia sono quantomeno dubbi…
Vi lascio il trailer per farvi un’idea:
Vale la pena di vedere Memorie di un assassino?

Assolutamente sì.
Memorie di un assassino rappresenta un punto di partenza fondamentale per ricoprire la filmografia di Bong Joon-ho, che già qui presenza la sua cifra distintiva fra comico, grottesco e drammatico, in un incontro piuttosto peculiare, ma estremamente efficace.
Di fatto il film inganna lo spettatore facendogli credere che la via verso il finale è già segnata e che lo sviluppo della storia sarà piuttosto lineare, riuscendo invece a sorprenderlo in un’evoluzione dei personaggi veramente sottile e perfettamente calibrata.
Insomma, da riscoprire.

Metodi

I metodi della polizia sono quantomeno discutibili.
Park Du-man si fa largo all’interno di un caso spinosissimo a colpi di intuizioni senza alcuna base logica e con un atteggiamento fin subito aggressivo e perentorio, volto a individuare immediatamente il colpevole perfetto per chiudere il caso nel minor tempo possibile.
E, in maniera davvero sorprendente, la regia rende questo aspetto della vicenda apertamente grottesco, ma senza banalizzare la questione, anzi usandola come strumento per definire caratterialmente le due figure dei detective protagonisti e del panorama in cui si muovono.

I due poliziotti infatti sono incastrati in un contesto sociale particolarmente gretto, in cui le investigazioni vengono condotte, nella quasi totale mancanza di mezzi, quasi totalmente alla cieca, per i sentito dire, per i pettegolezzi che si rincorrono e chiusi grazie al tribunale popolare che sembra avere sempre la meglio.
E in questo senso l’arrivo del nuovo detective è emblematico.
Parallela

Seo Tae-yun subisce immediatamente la giustizia sommaria.
In un contesto in cui il minimo indizio può portare alla condanna, il semplice chiedere indicazioni diventa stalking e la situazione precipita anche simbolicamente in un fosso, e ogni tentativo di recuperare la situazione – aiutare la donna a risalire – diventa invece la prova definitiva che lo porta ad essere ammanettato alla macchina.

E questo breve ma significativo incontro già basta per intraprendere un’indagine parallela, del tutto estranea ai disordinati tentativi di creare un caso sul primo malcapitato che si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato, seguendo invece la pista seminata dalla ben più attenta Kwon Kwi-ok, l’unica che trova una prova concreta.
Così finalmente il detective riesce a costruire una rete di indizi effettivamente significativa, basata su effettivi indizi, testimoni e collegamenti un minimo credibili fra i vari elementi in gioco, che lo portano in direzione di una figura apparentemente insospettabile.
Ed è a questo punto che Memorie di un assassino mi ha sorpreso.
Costretto

La direzione del film appare chiara, quasi scontata.
Lo spettatore e lo stesso detective si aspettano di riuscire a seguire una linea chiara che li porterà ad inchiodare il vero colpevole, soprattutto grazie alle insperate tracce di sperma, che potrebbero essere la prova schiacciante per condannare quello che ormai sembrava il killer designato.
Questa ritrovata sicurezza conduce gradualmente Seo Tae-yoon ad avere una visione sempre meno oggettiva del caso e un’ossessione crescente verso il colpevole, che sembra scivolargli dalle mani ad ogni nuovo assassinio che non è riuscito a sventare.

Per questo l’arrivo dei test del DNA, l’unica via che ormai gli sembrava percorribile per arrestarlo, nella sua totale inutilità definisce l’ultimo atto del suo fallimento, che lo porta, di fatto, ad essere tutto quello che odiava:
esecutore di una giustizia sommaria.
Memories of a Murder finale

Il finale di Memories of a Murder è il suo punto più alto.
Nonostante Park Du-man sembra essersi lasciato il caso alle spalle, il destino lo riporta inevitabilmente nel primo luogo del delitto, dove ammette che effettivamente non c’è più niente da vedere, nonostante la regia indugi su un eloquente primo piano stretto che racconta l’aspettativa del personaggio di trovare qualcosa.

E infine quel solitario scalo fognario diventa il punto di incontro mai prima riuscito fra il killer misterioso e il detective, che pende dalle labbra dell’unica, nuova testimone, ancora una volta incapace di dargli la prova schiacciante per chiudere il caso.
E ora?
Ci chiede Park Doo-man guardandoci direttamente negli occhi.
Sipario.