Non è un paese per vecchi (2007) è probabilmente l’opera più nota e apprezzata della filmografia di Joel e Ethan Coen.
A fronte di un budget abbastanza contenuto – 25 milioni di dollari – è stato un ottimo successo commerciale: 117 milioni in tutto il mondo.
Di cosa parla Non è un paese per vecchi?
Llewelyn Moss è un veterano del Vietnam ormai in pensione, che, approfittandosi di una faida fra gang, riesce ad impossessarsi di una grossa somma . Ma è un denaro fin troppo pericolosa…
Vi lascio il trailer per farvi un’idea:
Vale la pena di vedere Non è un paese per vecchi?
Assolutamente sì.
Non è un paese per vecchi nasce da una riflessione lunga un decennio, partita dall’opera prima del duo registico, Fargo (1996) e riproposta all’interno di un contesto amaramente drammatico, segnando uno dei loro maggiori successi cinematografici.
Un’opera sicuramente complessa, quasi respingente per la sua crudeltà, per la sua scrittura che vive di sottrazione, di simboli, di non detti, dove tutto è lasciato alla messinscena e agli incredibili interpreti coinvolti.
Insomma, non ve lo potete perdere.
Incontrollabile
Non è un paese per vecchi si apre con l’illusione del controllo.
Non conosciamo ancora le capacità di questo misterioso criminale, ma ci limitiamo ad osservarlo mentre viene caricato su una macchina della polizia, mentre è relegato alle retrovie della scena, mentre ci viene raccontato come sia un personaggio del tutto innocuo, sotto controllo…
…finché non si si riappropria prepotentemente della scena tagliando la gola al poliziotto per cominciare il proprio viaggio.
E la stessa illusione è anche propria di Llewelyn Moss, che si trova fin troppo facilmente fra le mani i soldi del cartello, e che inciamperà nei suoi stessi errori scena dopo scena, riuscendo a sfuggire solo per un soffio dal morso di uno dei cani sguinzagliati contro di lui.
E ancora, il protagonista si illude di aver totale controllo della situazione quando elabora un piano in realtà facilmente fallibile, fatto di cambi di macchine, di stanze in squallidi motel, di nascondigli astutamente ideati, pensando di sfuggire alla furia di Anton Chigurh.
Ma Moss non ha idea del pericolo che ha davanti.
Macchina
Anton è un nemico imperscrutabile.
Nonostante gli altri personaggi cerchino più volte di ridurlo alle proprie regole, lo spietato killer segue costantemente una sua personale linea di condotta che non può mai essere messa in discussione, che non può essere in alcun modo frenata, neanche con le richieste più semplici.
Ma la chiave della sua figura si trova proprio in una delle scene in cui esercita il suo opprimente controllo contro un altro personaggio: sfidando l’ingenuo negoziante a scommettere sul lancio della moneta, Anton sta in realtà raccontando la sua visione del mondo.
Di fatto, lo spietato killer disprezza profondamente la realtà mediocre che lo circonda, in cui ogni individuo è soggetto ad una continua scommessa contro una vita irragionevole ed incontrollabile, vivendo nell’illusione di un poco credibile libero arbitrio.
E il suo controllo invece Anton lo esercita aggredendo la vita con un taglio chirurgico ed ineluttabile, come un colpo di pistola che trafora usci e volti senza possibilità di replica, senza possibilità di sottrarsi al suo indiscutibile giudizio.
E allora, cosa rimane?
Ineluttabile
Il più illuso e disilluso insieme è proprio lo sceriffo.
Vedendo l’occasione per trovare un briciolo di giustizia in un mondo feroce e incontrollabile, si intestardisce sempre di più sull’idea di portare non una condanna, ma una salvezza in un duello che può avere come esito solo la morte dell’illuso veterano.
E quel briciolo di speranza che ci offre la sua presenza è infine strozzata da un climax interrotto, che prima ci illude che sarà possibile uno scontro alla pari fra i due duellanti, ma che invece porta all’ennesimo fuoco incrociato che, ancora una volta, Bell non è riuscito ad evitare.
E così tutte le morti significative avvengono fuori scena, fuori dal nostro controllo: non vediamo neanche il corpo di Moss, non abbiamo certezza del destino di Carla, e non sappiamo neanche nulla sulla sorte di Anton stesso, reso infine molto meno inarrestabile di quanto credessimo.
Ci restano solo le amare parole dello sceriffo, che riassume nel suo sogno la flebile speranza rappresentata dal defunto genitore nelle vesti di un cowboy di un’epoca ormai tramontata, con cui riesce a trovare ancora una scintilla di speranza in un mondo arido e crudele.
Ma poi…