Nosferatu (2024) di Robert Eggers è un remake dell’omonimo classico del cinema espressionista di Murnau.
A fronte di un budget comunque significativo – 50 milioni di dollari – ha aperto in maniera piuttosto promettente al box office statunitense: 21 milioni di dollari.
Di cosa parla Nosferatu?
Thomas Hutter vuole offrire una nuova vita alla sua neonata famiglia, e per questo accetta un incarico piuttosto particolare: visitare il misterioso conte Orlok in Transilvania.
Vi lascio il trailer per farvi un’idea:
Vale la pena di vedere Nosferatu?
In generale, sì.
Con Nosferatu Eggers dimostra nuovamente le sue incredibili capacità registiche, riuscendo a portare in scena atmosfere effettivamente inquietanti, incorniciate da un montaggio particolarmente indovinato, che regala un davvero indemoniato alla pellicola.
Rimane però un po’ di amaro in bocca nel constatare la quantità di temi e di riflessioni – già esplorate da Eggers altrove – che potevano essere meglio approfondite, cercando magari di dare maggiore originalità all’opera, che per il resto rimane un piacevole omaggio al classico di partenza.
Paura
In un genere ormai oltre che saturo come l’horror, riuscire a spaventare non è semplice.
In questo senso, Nosferatu di Eggers è vincente nel caricare le atmosfere in scena, soprattutto nel primo atto, di un senso di puro terrore, basato su un abile uso del vedo-non-vedo, in cui le fattezze del Conte Orlok emergono fumose dall’oscurità della sua magione…
…e diventano sempre più agghiaccianti grazie agli altri elementi che animano la scena – i riti pagani di purificazione, i particolari gotici del castello, la carrozza fantasma… – riuscendo a far immergere lo spettatore nella corsa cieca e disperata del nostro ingenuo protagonista.
Ma non è finita qui.
Controllo
Il perno centrale della narrazione di Nosferatu è la mancanza di controllo.
I protagonisti sembrano del tutto succubi ad una trama già intessuta molto tempo prima, a cui è impossibile sfuggire, come ben racconta il montaggio frenetico in cui le vicende si svolgono secondo la volontà del conte – e senza possibilità di replica alcuna.
In questo senso, altri due elementi contribuiscono al fascino della pellicola.
Il primo, è il senso di claustrofobia: proprio per la mancanza di controllo, Thomas Hutter sembra inevitabilmente imprigionato nell’ombra di Orlok, e vani sono tutti i suoi tentativi di ucciderlo e di fuggire, fino alla scelta disperata di buttarsi nell’oceano.
A questo si aggiunge l’interessante paragone fra il vampiro e la peste, ben rappresentata dalla sfrenata corsa dei topi che scendono dalla nave e che si intrufolano in ogni angolo della città, portando con loro una malattia invisibile ed irrefrenabile.
Ma, davanti a queste scelte piuttosto convincenti, rimane per me un’amarezza di fondo.
Occasione
Come altri registi nascenti in ambito horror, fin da The Witch Eggers si è distinto nel portare un quid in più all’interno del genere.
Purtroppo, questo non è il caso di Nosferatu.
Proprio come il suo protagonista, anche Eggers sembra intrappolato all’interno dell’eredità di Murnau e del suo desiderio di omaggiarlo, senza riuscire così a portare una propria originale rilettura del film di partenza, limitandosi a confezionare un ottimo horror di atmosfere.
In questo senso, gli spunti si sprecano: il personaggio di Ellen da solo offriva il fianco a diverse riflessioni sulla liberazione sessuale, sulla considerazione degradante delle capacità mentali delle donne – nella appena citata isteria – che poteva dare un significato ben più interessante a tutte le scene di possessione.
Per questo per me Nosferatu è una buonissima prova registica di Eggers, ma che per brillare davvero come regista dovrebbe affidarsi ad una sua storia originale – o, almeno, ad una storia originalmente riproposta – senza vivere nell’ombra di nessun altro autore, per quanto importante.