Piccole donne (2019) di Greta Gerwig è un period drama tratto dal celebre romanzo omonimo. Un film che fu circondato da un grande chiacchiericcio, e non sempre per i motivi giusti. E non a caso ottenne numerose candidature, in parte per me assolutamente inspiegabili.
O, meglio, spiegabili nel contesto degli Oscar.
Un prodotto che ebbe anche un buon riscontro di pubblico: a fronte di un budget di appena 40 milioni, ne incassò complessivamente 206 in tutto il mondo.
Di cosa parla Piccole donne?
Inghilterra, seconda metà dell’Ottocento. La vicenda ruota intorno alle quattro sorelle March, con caratteri molto diversi ma che incarnano i topos delle eroine romantiche tipiche di quel periodo.
Fra matrimoni e amori infelici, un classico dramma strappalacrime, ma fatto con una certa cura.
Vi lascio il trailer per farvi un’idea:
Vale la pena di vedere Piccole donne?
Dipende.
Dal mio personale punto di vista, non ha un grande valore artistico, ma potrebbe essere un film molto coinvolgente, se siete pronti a farvi catturare da certi ganci emotivi.
Io personalmente mi sono lasciata agganciare.
Infatti Piccole Donne è una storia molto emotiva, con una profonda esplorazione della psicologia dei personaggi, anche in maniera facilmente coinvolgente. E possono essere due ore molto piacevoli in un prodotto che vuole essere sicuramente lacrimevole, ma anche molto confortante, tutto sommato.
Innamorati di Saoirse Ronan
Molti registi, soprattutto ad inizio carriera, hanno i loro attori feticcio. Di Caprio per Scorsese, Johnny Depp per Burton, e via dicendo.
Per Greta Gerwig è Saoirse Ronan, con cui aveva già lavorato per Lady Bird (2017).
E proprio come nel precedente film, non vedeva l’ora di farle interpretare un personaggio che si oppone testardamente a tutti, ma è fragile internamente. Per figure di questo tipo, che potrebbero risultare in qualche modo antipatiche allo spettatore, si lascia sempre loro lo spazio per ammettere le proprie debolezze.
E così è anche il caso di Jo.
Tuttavia io non sono riuscita a farmi conquistare. Ammetto che mi ha non poco emotivamente colpito la sequenza sul finale, in cui Jo ammette che avrebbe infine sposato Laurie se glielo avesse chiesto, soprattutto per il suo senso di solitudine.
E non di meno ho apprezzato la costruzione di un personaggio femminile che risolve i suoi problemi al di fuori di una relazione romantica, ma piuttosto tramite una propria realizzazione personale.
Tuttavia per tutto il film non ho potuto fare a meno che darle ragione quando ammette che la sua situazione di tristezza sia unicamente colpa sua, della sua superbia e testardaggine.
Insomma, non sono riuscita a stare dalla sua parte.
Dalla parte di Amy
Amy è il personaggio più bistrattato dell’intero film.
Anche se spiega comunque abbastanza esplicitamente il suo disagio sul business dei matrimoni, comunque viene complessivamente raccontata come la sorella invidiosa e aggressiva, che si oppone alla sorella ben più meritevole dell’affetto dello spettatore.
E al contempo appare anche come il personaggio che deve starci meno simpatico, perché non si sottrae al sistema oppressivo del mercato dei matrimoni come la sorella, appunto.
Eppure io sto dalla parte di Amy.
Sono riuscita molto di più ad empatizzare con la sorella non particolarmente brillante e che si sente la seconda scelta, ma che alla fine realisticamente riesce a sistemarsi economicamente e emotivamente con Laurie.
E l’ho sinceramente preferita, perché il suo dolore mi è sembrato molto più sincero rispetto a quello di Jo.
E non è neanche l’unico problema del suo personaggio.
Il premio dell’odio
Scherzosamente tra me e me mi piace pensare che avrebbero dovuto dare il Premio dell’odio alla costumista di Piccole donne per come ha vestito Florence Pugh. E con lei anche il reparto make-up.
Ma probabilmente tutto viene dalle mani della regista, per nulla innamorata di questa attrice, anzi.
Se si fa un confronto fra come è vestito e gestito esteticamente il personaggio di Jo rispetto ad Amy, la differenza salta subito all’occhio. Saoirse Ronan è alta e snella, e la fotografia, la scelta dei colori e dei vestiti la fanno apparire molto slanciata e ne esaltano la figura.
Florence Pugh è ben più bassa, ha il volto tondo e paffuto, e il fisico più massiccio. E giustamente si è deciso nei flashback di metterle le trecce e la frangetta, pessime per il suo volto, e di vestirla per la maggior parte delle volte con linee dritte e vestiti chiusi fino alla gola che la ingoffiscono.
Purtroppo non è la prima volta che lei o altre attrici non perfettamente snelle non siano messe in risalto, ma anzi si cerchi di nascondere il loro fisico ed ingoffirle.
Era successa una cosa non molto differente in Black Widow (2021): mentre Scarlett Johansson ha la tutina attillata senza nulla sopra e che esalta il suo fisico, Florence Pugh è in molte scene ancora una volta ingoffita da una giacca smanicata sopra la tuta, oppure con abiti molto meno aderenti.
L’altra femminilità di Meg
Un grande pregio del film è di saper raccontare diversi tipi di femminilità e soprattutto di eroine romantiche. Oltre all’eroina che va contro la femminilità imposta (Jo) e quella che invece vi cerca il suo posto (Amy), Meg è il personaggio femminile che sceglie l’amore nonostante l’aspetto economico.
E il classismo dilaga quando lei sente pesantemente il peso della sua scelta, di non poter essere felice come le altre sue coetanee ben più ricche e con i vestiti più belli. Ma alla fine anche lei trova la sua dimensione e accetta la bellezza che la sua vita comunque può offrirle.
Beth: l’eroina tragica
Beth è in tutto e per tutto l’eroina tragica.
Un elemento tipico della narrazione romantica è proprio quello della malattia, soprattutto quella che disabilitante.
In questo caso Beth è l’aggancio emotivo principale della pellicola, soprattutto per la scena della sua morte. All’inizio lo spettatore tira un sospiro di sollievo quando scopre che Beth sette anni prima non è morta, ma è altrettanto distrutto quando scopre che nel presente è invece successo.
Una figura fra l’altro angelica e innocente, con un genio inesplorato che riesce solo marginalmente a mostrare nella sua brevissima vita. Forse un personaggio un po’ di contorno, ma che ha una tutta una sua funzione molto ben bilanciata all’interno della pellicola.
Il posto giusto, il momento sbagliato
Qui non voglio togliere importanza a Greta Gerwig con autrice e regista, ma contestualizzare il successo che hanno avuto i suoi film.
Non me ne vogliano gli appassionati, ma secondo me Gerwig non è al momento il meglio che abbiamo nella scena del cinema contemporaneo, e credo che ci siano autrici decisamente più interessanti di lei, anche solo Jane Campion Il potere del cane (2021).
Già solo in Piccole donne la regia secondo me non è così eccezionale, non particolarmente ispirata, e anche troppo chiassosa.
Per ora questa regista per quanto mi riguarda ha fatto dei prodotti buoni, ma non eccezionali, che meritavano molto meno plauso di quanto hanno ricevuto.
E purtroppo, sopratutto per i discorsi che si facevano al tempo, ho paura che questa autrice sia diventata una sorta di token in un contesto delle premiazioni, soprattutto gli Oscar, dominate da registi uomini…