See how they run (2022) di Tom George, in Italia noto col titolo molto più blando di Omicidio nel West End, è una pellicola di genere giallo whodunit, con una spruzzata di metanarrativa che irride il genere di riferimento.
Una pellicola che purtroppo, come tanti altri film di piccola produzione in questo periodo, è stato un sonoro flop: a fronte di un budget di 40 milioni di dollari, ne ha incassati appena 22 in tutto il mondo.
Di cosa parla See how they run?
Londra, 1953. Durante i festeggiamenti per la centesima rappresentazione teatrale di Trappola per topi, uno dei titoli minori di Agatha Christie, il regista viene assassinato nel backstage. E l’indagine sarà nelle mani di una coppia di poliziotti piuttosto improbabile…
Vi lascio il trailer per farvi un’idea:
Vale la pena di vedere See how they run?
In generale, sì.
La pellicola è molto forte su alcuni punti, più debole su altri. I punti di forza sono sicuramente l’ambientazione e i personaggi: atmosfere molto curate, dal sapore vintage, che ricordano tanto un film di Wes Anderson e del giallo classico degli Anni Cinquanta.
Al contempo, personaggi piacevoli sul filo del macchiettistico, con due ottimi attori protagonisti: Saoirse Ronan e Sam Rockwell.
Tuttavia, See how they run non vuole essere solamente un giallo, ma in qualche modo giocare con il genere, inserendo elementi metanarrativi anche interessanti, ma che nel complesso risultano abbastanza deboli e non perfettamente congegnati.
Ma nulla che guasti veramente la piacevolezza della pellicola.
Cosa significa il titolo See how they run
Il titolo originale, See how they run, è fondamentalmente incomprensibile se non si è inglesi.
Si riferisce infatti ad un verso di una nursery rhyme, una canzoncina per bambini, Three Blind Mice:
Three blind mice. Three blind mice.
See how they run. See how they run.
They all ran after the farmer's wife,
Who cut off their tails with a carving knife.
Did you ever see such a sight in your life
As three blind mice?
Tre topolini ciechi, tre topolini ciechi
Guarda come corrono, guarda come corrono
Corrono tutti dietro alla moglie del fattore,
che gli ha tagliato la coda con un coltello
Hai mai visto niente di simile nella tua vita
Come tre topolini ciechi?
E probabilmente allude anche all’omonima pièce teatrale del 1944, una farsa dal sapore comico basata su scambi di identità ed incomprensioni.
Quindi il titolo in entrambi descrive la natura stessa della storia: un insieme di situazioni comiche e paradossali, proprio come quella di tre topolini ciechi che inseguono la donna che gli ha appena tagliato la coda.
E questo riferimento nella pellicola si intreccia perfettamente con lo spettacolo teatrale che è al centro della storia: Trappola per topi, appunto.
Atmosfere travolgenti
Le atmosfere e l’estetica della pellicola sono ottimamente congegnate
Soprattutto per le prime scene, mi hanno ricordato Grand Budapest Hotel (2014) – e sicuramente Wes Anderson è stato d’ispirazione per il film. Un’estetica davvero curata sia negli ambienti – che sembrano quasi teatrali – sia nei personaggi e nei costumi, perfettamente in linea con le atmosfere e il tono della pellicola.
Anche gli esterni sono piuttosto suggestivi: vicoli fumosi e strade nella penombra, in cui la brillantezza dei colori si scontra con le lunghe ombre che si allungano sulla scena, minacciando i personaggi e al contempo apparendo come irraggiungibili…
Un semplice buddy movie
Nelle dinamiche, See how they run riprende il taglio del buddy movie.
Una scelta che ha favorito anche l’ovvio inserimento di un personaggio femminile come protagonista, che risulta così ben contestualizzato nel contesto temporale: l’unica donna del corpo di polizia che deve farsi largo in un mondo di uomini che la sottovalutano.
In particolare, Stoppard la sottovaluta moltissimo, cerca costantemente di metterla al suo posto ed è quasi infastidito dalla sua eccessiva emozione nel condurre un caso, da cui cerca sistematicamente di escluderla.
Ma entrambi i personaggi hanno due picchi drammatici che raccontano l’evoluzione del loro rapporto: quando il detective mente alla ragazza dicendo di dover andare dal dentista – e viene scoperto – e quando Stalker lo accusa ingiustamente dell’omicidio.
Ma alla fine è la stessa ragazza a salvare il burbero detective.
Don’t jump to conclusions!
L’elemento metanarrativo che meglio funziona è quello del don’t jump to conclusions!
Questo è infatti l’ammonimento che Stoppard fa alla giovane poliziotta, ma in realtà anche allo spettatore: non saltiamo subito alle conclusioni! Infatti è molto tipico di questo tipo di gialli whodunit essere articolati in un susseguirsi di interviste dei sospettati.
E, per ognuno di loro, il flashback mostrato racconta la loro totale colpevolezza, ricalcata in questo caso proprio dall’irruenza di Stalker. Ma siamo appunto anche noi spettatori a saltare subito a queste conclusioni.
E infatti il film riesce comunque a prenderci bonariamente in giro: l’accusa a Stoppard è davvero credibile!
Una metanarrativa debole
Purtroppo la pellicola, volendo così entusiasticamente giocare con il genere, finisce a perdersi in se stessa.
Funziona molto meglio quando questo elemento è sottile – come abbiamo appena visto – molto meno quando la conclusione del film è stata già praticamente raccontata nella prima parte della pellicola, ovvero tramite la sceneggiatura che Leo Köpernick voleva mettere in scena.
E vederla avvenire esattamente come era stata descritta, poteva apparire sulla carta come un’idea brillante e la conclusione più metanarrativamente interessante per la pellicola stessa, ma in realtà mi è parsa solo piuttosto goffa e semplicistica.
Tuttavia, è l’unico vero difetto che mi sento di segnalare.