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The Apprentice – Tagliare il filo

The Apprentice (2024) di Ali Abbasi è un biopic dedicato ai primi anni dell’ascesa di Donald Trump.

A fronte di un budget abbastanza contenuto – 16 milioni di dollari – è stato un pesante flop commerciale, riuscendo a malapena a superare i costi di produzione.

Candidature Oscar 2025 per The Apprentice (2024)

(in nero le vittorie)

Miglior attore protagonista per Sebastian Stan
Miglior attore non protagonista per Jeremy Strong

Di cosa parla The Apprentice?

New York, 1973. Donald Trump è un giovane immobiliarista che gestisce gli appartamenti del padre. Ma un incontro fortuito gli cambierà per sempre la vita…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea: 

Vale la pena di vedere The Apprentice?

Sebastian Stan nei panni di Trump in una scena di The Apprentice (2024) di Ali Abbasi

Assolutamente sì.

The Apprentice aveva l’arduo compito di tratteggiare le origini di un personaggio molto controverso e già di per sé estremamente parodiabile, senza però scadere in un taglio ridicolo che non avrebbe aggiunto niente ad una storia che il pubblico conosce già.

E ci è riuscito: Sebastian Stan, già da tempo allontanatosi dalla scena più mainstream, riesce a portare in scena il giovane magnate mantenendone i tratti distintivi, ma senza mai esasperarli – anche perché non v’è né alcun bisogno.

Insomma, da recuperare.

Improvvisato

Sebastian Stan nei panni di Trump in una scena di The Apprentice (2024) di Ali Abbasi

La situazione iniziale di Trump appare davvero sconclusionata.

Per quanto il protagonista voglia raccontarsi come un brillante imprenditore, la sua vita è in realtà scandita dalla sua totale impreparazione nella gestione ora degli appartamenti del padre – in cui si scontra con una schiera di personaggi di dubbio gusto – ora della causa che la sua famiglia è costretta a subire.

Sebastian Stan nei panni di Trump in una scena di The Apprentice (2024) di Ali Abbasi

Insomma, in questo frangente The Apprentice segna un punto di partenza fondamentale per la narrazione, smentendo la naturale predisposizione per gli affari che il personaggio millanta di sé stesso, raccontandolo invece nella sua totale incapacità nel gestire anche solo una realtà immobiliare così piccola.

Per questo Roy Cohn è la chiave del suo successo.

Vincere

Jeremy Strong in una scena di The Apprentice (2024) di Ali Abbasi

Roy è un vincente.

La costruzione del suo personaggio è minuziosa, basata sulla profonda consapevolezza che l’apparenza è la chiave della vittoria: Roy non è realmente un vincitore, ma sembra un vincitore, e per questo tutti vogliono essergli amici, tutti vogliono essere inclusi nella sua aura benefica.

E infatti i rapporti sono molto più importanti dei soldi.

Jeremy Strong e Sebastian Stan in una scena di The Apprentice (2024) di Ali Abbasi

Il suo personaggio sceglie di prendere sotto la sua ala un giovane promettente a cui insegna tutti i trucchi per sfoggiare un’apparenza sgargiante e desiderabile, scegliendo consapevolmente di non accettare i suoi soldi – che Donald fra l’altro non ha…

…investendo così nel futuro.

Ma Donald forse non è il cavallo giusto su cui puntare.

Ombra

Jeremy Strong e Sebastian Stan in una scena di The Apprentice (2024) di Ali Abbasi

Donald non è capace di agire nell’ombra.

Il panorama sociale che ruota intorno a Roy è basato unicamente su un’apparenza così fragile che basta un qualunque, maligno pettegolezzo per essere minata, motivo per cui l’abile avvocato si premura di munirsi di tutti gli strumenti necessari per forzare tutte le situazioni a suo favore..

E Donald ne è totalmente disorientato, come ben racconta il caos della festa da cui viene assorbito, e in cui scopre quando la figura di Roy sia artefatta, proprio svelandola nella sua intrinseca contraddizione: come l’omosessualità segreta è un’arma facilmente utilizzabile contro i suoi nemici…

…la stessa è un segreto neanche troppo nascosto dello stesso Roy.

E questo precario equilibrio di apparenze e mosse calcolate è una strada che Trump non è capace di percorrere.

Eccesso

Sebastian Stan nei panni di Trump in una scena di The Apprentice (2024) di Ali Abbasi

Trump vive di eccessi.

Come gli viene data la spinta iniziale per promuovere la sua prima, grande impresa immobiliare – la Trump Tower – il protagonista, nonostante gli avvertimenti Roy, si lancia in maniera sconsiderata in infiniti nuovi progetti che servono solo ad alimentare il suo ego.

In questo senso il film ben racconta come Trump non avesse l’intelligenza di scegliere le imprese che lo potessero meglio rappresentare, finendo per costruirsi l’immagine di miliardario sguaiato e senza freni, che si associa semplicemente a ogni proposta che possa diventare un’ulteriore macchina dei soldi…

…nella totale inconsapevolezza e ignoranza.

Infatti, per quanto il protagonista abbia compreso l’importanza delle apparenze, le costruisce nel modo più sbagliato: come Roy si allena ogni giorno per avere un fisico scattante, Trump si sottopone ad orribili e deleterie operazioni chirurgiche per perdere peso, come Roy mantiene un aspetto asciutto e controllato…

…i primi anni dell’ascesa di Trump raccontano già l’immagine – fra il cerone e il trapianto di capelli – quasi parodistica che fece di sé stesso.

E, infine, si riscrive pure in maniera ben poco credibile.

L’intervista finale racconta molto bene come, arrivati a questo punto, Trump si senta invincibile, e di come conseguentemente, nel suo sconfinato egocentrismo, diventi del tutto dimentico degli aiuti esterni che l’hanno portato nella sua attuale posizione…

…dando il merito del suo successo al proprio istinto rapace che l’ha definito come vincente.

E il resto è storia.