The Artist (2011) di Michel Hazanavicius più che un film è un sorprendente esperimento cinematografico: provare a riproporre una storia simile a Singing in the rain (1952), ma con la struttura tecnica di una pellicola muta degli Anni Venti.
E il risultato lascia senza parole.
Il film ricevette diversi riconoscimenti, fra cui l’Oscar per Miglior Film, garantendogli anche un buon ritorno economico: a fronte di un budget davvero risicato (15 milioni di dollari), incassò 133 milioni di dollari in tutto il mondo.
Di cosa parla The Artist?
George è una star del cinema muto, che si ritrova improvvisamente a scontrarsi con il nuovissimo cinema sonoro, che sembra spadroneggiare…
Vi lascio il trailer per farvi un’idea:
Vale la pena di vedere The Artist?
Assolutamente sì.
Era davvero difficile riuscire a riproporre un film muto nel 2011, con anche le dinamiche tipiche dei prodotti del cinema primigenio, e renderle apprezzabili al pubblico contemporaneo ormai abituato a prodotti totalmente diversi.
Eppure The Artist ci riesce perfettamente.
Per questo vi consiglio di non farvi frenare dal fatto che si tratti di un film muto: con pochi tocchi e grazie ad una messinscena davvero ben pensata, il regista è riuscito a rendere il prodotto assolutamente godibile.
E vale la pena di spendere due parole in più al riguardo.
Come guardare The Artist
Davanti ad un film come The Artist – in 4:3, in bianco e nero, con dinamiche di un cinema lontanissimo da quello attuale e pure muto – ci si potrebbe facilmente scoraggiare.
Come me è stato in parte per me.
Ma la genialità di questa pellicola sta proprio nella sua capacità di alleggerire notevolmente la maggiore pesantezza del cinema muto, ovvero la continua interruzione della scena per mostrare, tramite scritte sullo schermo, cosa si stanno dicendo i personaggi.
Al contrario, The Artist punta molto sulla recitazione corporea e espressiva, mettendo a schermo neanche un quarto dei dialoghi in forma scritta, ma rendendo chiarissime le dinamiche in scena.
Vedere per credere.
Uno spunto prevedibile…
L’incipit è molto simile – e anche volutamente – al classico del Cinema Singing in the rain (1952): una giovane promessa che riesce ad affermarsi nel nuovo cinema sonoro.
E la pellicola racconta anche un finto spunto narrativo che la rende simile al suddetto film: George deve scontrarsi con la sua vanesia co-star, Costance, che fin da subito si irrita per come il divo gli rubi tutta la scena.
In realtà il suo personaggio viene brevemente rimesso in scena quando Al Zimmer, il produttore, mostra al protagonista la prima prova audio dell’attrice. Poi, semplicemente, esce di scena. E lo stesso vale per la presunta storia romantica fra George e Peppy.
…ma uno sviluppo diverso
Dopo appunto questi spunti narrativi che rimangono orfani – totalmente a favore di pubblico – il film prende una strada totalmente diversa, quasi inaspettata.
Si mostra parallelamente il successo di Peppy Miller, la nuova star del cinema sonoro, e gli inutili tentativi di George di riuscire nuovamente a sfondare nel cinema muto ormai morente, finendo per distruggere anche se stesso.
The Artist quindi si propone di raccontare l’altro lato della medaglia di Singing in the rain: la sorte sfortunata dei divi del cinema muto che non riuscirono a stare al passo con la nuova tendenza.
Infatti nel film del 1952 il contrasto era fra i personaggi positivi – che rappresentano il nuovo cinema – e l’insopportabile diva del muto, che ormai non poteva più essere al passo con la nuova tendenza.
Al contrario, qui è George ad essere vittima della situazione.
Un tipico divo?
George è un protagonista perfetto.
In prima battuta, viene presentato come il classico divo molto – troppo – sicuro di se stesso, anche a costo di mettere in ombra gli altri. Ma non si calca troppo sulla negatività del personaggio, non andando quindi a scadere nella classica narrazione del divo vanesio che si redime nel corso della pellicola.
Il nostro protagonista è semplicemente molto sicuro delle sue doti, e non ha il minimo dubbio sul suo futuro attoriale. Ma si deve scontrare con il cambio dei tempi, spendendo moltissimi soldi per produrre il proprio film, e andando in rovina per questo. E solo per la sua ingenuità, molto spesso rappresentata in maniera quasi giocosa.
Ma anche diversi picchi drammatici, quasi inaspettati per un film con un tono quasi da commedia…
Giocare con il suono
Ho trovato assolutamente geniale il gioco metanarrativo sul suono all’interno della pellicola.
Prima di tutto per l’incubo di George, in cui improvvisamente sente tutti i suoni, ma lui rimane muto, incapace di parlare – proprio come per i suoi film. E il suo urlo rimane totalmente inascoltato.
Ma anche con diversi momenti comici, piccole battute che giocano con il tema del film, ad esempio quando George parla con la signora che è piuttosto interessata al suo cane, e dice:
E con un finale piacevolissimo, che non scade nella banalissima trama romantica, ma anzi mostra il racconto di una dolcissima Peppy Miller che trova un posto a George nel nuovo cinema. Con un finale in cui esplode finalmente il suono, e sentiamo per la prima volta il protagonista parlare.
Con il suo vistoso difetto di provincia.
The Artist meritava di vincere l’Oscar?
Gli Oscar del 2012 furono interessanti per diversi motivi.
Per cercare di rianimare l’interesse intorno alla premiazione, come per gli Oscar del 2010, si decise di portare un numero di nomination fra le cinque e le dieci per la categoria Miglior film, a seconda del risultato delle votazioni interne.
E infatti si ebbero solo nove nomination per quella categoria.
La spartizione dei premi fu molto larga: l’unico film veramente a trionfare nelle categorie principali fu The Artist, affiancato da Hugo Cabret (2011), che però vinse solamente nelle categorie tecniche. Il resto dei premi fu distribuito fra i vari candidati, che acquisirono una statuetta ciascuno.
Purtroppo conosco solamente la metà dei candidati per la categoria Miglior film. Tuttavia, fra quelli che ho visto – Hugo Cabret, Moneyball, The Help, Midnight in Paris – a nessuno avrei assegnato la statuetta.
Per questo secondo me la vittoria di The Artist fu non solo la migliore, ma l’unica che veramente avrei accettato.
Fra l’altro la sua vittoria fu molto interessante nella storia dell’Academy: il secondo film muto a vincere in questa categoria – il primo fu Ali (1927), durante la primissima Notte degli Oscar del 1929. Inoltre fu il primo film in bianco e nero a vincere in questa categoria dopo quasi vent’anni – l’ultimo era stato Schindler’s List (1993).