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The Blair Witch Project – Un film nel tempo

The Blair Witch Project (1999) di Daniel Myrick e Eduardo Sánchez è un cult dell’horror, considerato uno spartiacque per il genere.

A fronte di un budget minuscolo – 60 mila dollari, circa 113 mila oggi – è stato un successo commerciale senza precedenti: 248 milioni in tutto il mondo.

Di cosa parla The Blair Witch Project?

Un gruppo di cinque ragazzi si avventura nella foresta di Blair e scompare senza lasciare traccia. Tre anni dopo, assistiamo alla registrazione che ci rivela un’oscura verità…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere The Blair Witch Project?

Dipende.

Per quanto mi riguarda è difficile giudicare questo prodotto al di fuori del contesto in cui uscì: molto del suo fascino servirà dalla campagna marketing che fece credere al pubblico che si trattasse di una storia e la poca conoscenza della tecnica foundfootage al grande pubblico.

Tuttavia, a tanti anni di distanza, dopo anche la rinascita del genere con Paranormal activity, potrebbe non fare lo stesso effetto, nonostante in senso generale sia un discreto film di intrattenimento.

Insomma, a voi la scelta.

Aspettativa

The Blair Witch Project si basa su due fattori.

L’aspettativa e la mancanza.

Una tecnica semplice quanto funzionale – già sperimentata, fra gli altri, in Non aprite quella porta (1974) è di creare un certo tipo di attesa nel pubblico, che conosce già la conclusione della storia, ma non i dettagli del suo svolgimento.

In questo modo, assistendo alla iniziale ingenuità dei personaggi, al loro progressivo immergersi in un orrore incomprensibile e sconosciuto, il film riesce a toccare le giuste corde per creare una tensione facilmente coinvolgente.

Ma non è tutto.

Mancanza

The Blair Witch Project è, forse neanche del tutto consapevolmente, un film molto furbo.

Potendo contare su budget minuscolo, non si può permettere di mettere in scena sostanzialmente nulla degli orrori che racconta, ma riesce comunque a tenere sulle spine lo spettatore grazie ad un astuto uso della mancanza.

Sostanzialmente, meno il film ci fa vedere, più noi vogliamo vedere, e ci intrappola sostanzialmente in questa sorta di circolo vizioso in cui non possiamo fare a meno di stare attaccati allo schermo proprio in attesa di una rivelazione visiva…

…che, paradossalmente, non arriverà mai davvero.

Credibilità

Per quanto sulla carta fosse un progetto vincente, vi è un aspetto su cui non poteva sbagliare.

La credibilità.

Per riuscire a soddisfare le aspettative di un pubblico che in parte credeva onestamente di star vedendo una storia vera, era necessario che le immagini mostrate fossero assolutamente credibili e, così, coinvolgenti.

E da questo punto di vista non posso che promuovere la pellicola.

L’utilizzo della camera a mano è ben pensato, riuscendo tutto sommato anche a rendere credibile il fatto che non venga mai spenta, e così anche la costruzione della tensione fra il gruppo che li porta a dividersi internamente fra isteria e orrore.

Plauso anche agli attori protagonisti, che sono veramente riusciti a risultare verosimili nel mostrare la loro alternanza si emozioni: dalla totale inconsapevolezza, alla confusione, alla terrificante claustrofobia, del sentirsi intrappolati contro ogni logica, braccati da un nemico incomprensibile…