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The Brutalist – L’impossibilità della costruzione

The Brutalist (2024) di Brady Corbet è un dramma storico con protagonista Adrien Brody.

A fronte di un budget di circa 10 milioni di dollari, è già un buon successo commerciale: 25 milioni di dollari in tutto il mondo.

Candidature Oscar 2025 per The Brutalist (2024)

(in nero le vittorie)

Miglior film
Miglior regista
Migliore attore protagonista per Adrien Brody
Migliore attore non protagonista per Guy Pearce
Miglior attrice non protagonista per Felicity Jones
Migliore sceneggiatura originale
Miglior fotografia
Migliore colonna sonora originale
Migliore montaggio
Miglior scenografia

Di cosa parla The Brutalist?

László Tóth è un architetto ebreo che, salvatosi dallo sterminio nazista, emigra negli Stati Uniti. Ma l’accoglienza è solo apparentemente calorosa…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere The Brutalist?

Adrien Brody in una scena di The Brutalist (2024) di Brady Corbet

In generale, sì.

Purtroppo non riesco ad unirmi al coro di entusiasmo riguardo a questa pellicola, che ho sentito, per via delle tematiche raccontate, profondamente lontana da me, oltre che per certi versi inutilmente prolissa nella narrazione di un tema che mi sembrava già ampiamente esplorato già a metà della visione.

Tuttavia, non ne posso che riconoscere l’importanza artistica e soprattutto storica, che si collega drammaticamente alla contemporaneità con un taglio narrativo a tratti straziante, genuinamente disturbante, anche grazie agli ottimi attori protagonisti. 

Salvo

Adrien Brody in una scena di The Brutalist (2024) di Brady Corbet

László è salvo…?

L’arrivo negli Stati Uniti è accompagnato da un sincero entusiasmo, che sembra confermato anche dalla calorosa accoglienza da parte di Attila, che si accompagna alla felice notizia della sopravvivenza della moglie, che ormai il protagonista pensava perduta.

Tuttavia, già qui troviamo degli elementi discordanti.

Nonostante la coppia sembri accogliere László con grande altruismo, lo stesso Attila racconta l’inevitabile cambio di passo della comunità ebraica, costretta a mutare faccia e natura per farsi accettare dagli Stati Uniti, solo apparentemente accoglienti nei confronti dei rifugiati.

Un’insofferenza sotterranea che esplode in concomitanza con l’incidente della famiglia Harrison, e che si aggrava con le accuse infondate da parte della moglie del cugino, che porta il protagonista ad essere definitivamente messo ai margini.

Ma una redenzione è forse dietro l’angolo…

Discrepanza

Adrien Brody in una scena di The Brutalist (2024) di Brady Corbet

Il crescendo del rapporto con Harrison è solo un’ulteriore conferma della discordanza che domina la vita di László.

La stessa rappresenta in piccolo l’atteggiamento occidentale nei confronti della comunità ebraica, verso la quale riconosceva un’importante responsabilità, e che era effettivamente desiderosa di riscoprire per il capitale intellettuale racchiuso nella stessa, ma senza mai renderla sua pari.

Non a caso, il progetto può essere riletto come una rappresentazione della fondazione della stessa Israele, ma che si accompagna ad una sostanziale marginalizzazione degli ebrei: come László è a parole elogiato e premiato, nelle retrovie già solo la sua rozza sistemazione è indice del vero sentimento della famiglia che lo ospita.

E l’arrivo della moglie è l’inizio dell’ecatombe.

Rimorso

Adrien Brody e Felicity Jones in una scena di The Brutalist (2024) di Brady Corbet

Più mi avvicinavo alla seconda parte del film, meno riuscivo a raccapezzarmi della sua storia.

E vorrei dire che l’elemento che più mi ha confuso sia a moglie, ma la stessa alla fine è del tutto comprensibile nel contesto del film: per me è abbastanza immediata l’associazione metaforica fra la Erzsébet e il peso delle radici che il protagonista deve portarsi sulle spalle in maniera piuttosto opprimente.

La lettura può proseguire anche in altre direzioni: un’eredità mutilata e che, nonostante le speranze, non potrà mai veramente rimarginarsi, e al contempo il sentimento di imposizione rappresentato, in maniera più o meno condivisibile, tramite lo stupro da parte di una donna – e di un simbolo – che è diventato insopportabile.

È tutto il resto che mi confonde terribilmente.

Adrien Brody in una scena di The Brutalist (2024) di Brady Corbet

L’andamento della seconda parte l’ho trovato per molti versi superfluo, inutilmente prolisso nel raccontare, anzi nel sottolineare una narrazione simbolica che mi sembrava già conclusa un’ora prima, un’esasperazione di quanto già visto con un’ulteriore scena di violenza sessuale.

Quello che mi è risultato chiaro è quanto personale ed identitaria fosse diventata la costruzione per László, tanto da investirci finanze proprie per concludere un progetto rappresentativo della sua riaffermazione sociale, tramite la ricostruzione di uno spazio che gli era stato sottratto negli anni della guerra…

…che mi allontana ancora di più dalla pellicola.

Universale?

Adrien Brody in una scena di The Brutalist (2024) di Brady Corbet

La mancanza di interesse nei confronti di una tematica non è un difetto dell’opera…

…ma non posso che sottolinearla.

Nonostante il regista abbia tentato di ricondurre la narrazione ad un tema più universale e contemporaneo – il dramma dell’immigrazione – purtroppo proprio per specificità sopra descritte, l’ho trovata al contrario una narrazione su una tematica estremamente specifica e definita dal periodo storico.

Guy Pierce in una scena di The Brutalist (2024) di Brady Corbet

A questo si aggiunge un racconto che, nel suo ultimo atto, non è mai riuscito a coinvolgermi, anche perché la narrazione mi appariva un continuo avanti e indietro, che porta ad un finale enigmatico per più motivi: Harrison viene assorbito dalla costruzione di László, e per estensione, da lui stesso? E se sì, perché?

E, ancora di più, cosa intende raccontarci il finale? Che nonostante il turbolento percorso, alla fine László è l’unico che ne è uscito vittorioso?

Concludo la visione con più domande che risposte, e poco interesse a scoprire quest’ultime.