Women Talking (2022) di Sarah Polley è un dramma storico ispirato ai reali eventi della colonia di Manitoba in Bolivia nel 2011.
A fronte di un budget abbastanza contenuto – 20 milioni di dollari – nonostante l’ottimo riscontro agli Oscar 2023, è stato un tremendo insuccesso commerciale: 9 milioni in tutto il mondo.
Di cosa parla Women Talking?
Un gruppo di donne senza nome nella comunità mennonita scopre di essere stato ripetutamente violentato nella notte dagli uomini della colonia.
E ora bisogna scegliere cosa fare…
Vi lascio il trailer per farvi un’idea:
Vale la pena di vedere Women Talking?
Assolutamente sì.
Women Talking è stata davvero una bella sorpresa: un film che può essere considerato quasi un dramma da camera, basato quasi esclusivamente sul serrato dialogo fra le protagoniste, è risultato infine incredibilmente coinvolgente e stimolante.
Lo scambio fra i personaggi è infatti ben calibrato nei toni e negli argomenti, andando a toccare delle tematiche non scontate e muovendosi sempre con grande delicatezza ed eleganza in argomenti per cui era facile scadere nel facile melodramma.
Insomma, da riscoprire.
Antefatto
L’incipit di Women Talking è stato per me piuttosto sorprendente.
Come mi aspettavo quantomeno un primo atto dedicato all’atto scatenante della pellicola, invece lo stesso diventa l’antefatto che si intreccia con la narrazione introduttiva della storia, che vive di poche inquadrature ben scelte.
Infatti del fattaccio intravediamo solamente pochi attimi, frammenti di ricordi delle stesse protagoniste, che evitano abilmente di dare fin troppa enfasi alla violenza in sé, insomma di darla in pasto al pubblico…
…raccontandone principalmente le conseguenze.
E in questa fase si può anche perdonare la principale forzatura della pellicola, che agisce quasi come un what if… della storia reale – al pari del romanzo a cui si ispira – che diventa quasi un pretesto per intavolare un discorso non scontato su violenza, potere e colpe.
Perché le protagoniste hanno in realtà una via più facilmente percorribile…
Perdono
Dio ha molte facce.
Dio è vendicativo, violento e giustiziere, e prende possesso di Salome quando si ribella come una furia all’ordine corrente, andando a ribadire la stessa violenza che ha dovuto subire sui colpevoli, tanto da dover essere trattenuta nel suo slancio omicida.
Ma Dio è anche perdono, ed è quello che viene richiesto alle vittime: lasciarsi alle spalle questi orribili atti e riaccogliere questi uomini che verranno solo sommariamente puniti dalla giustizia terrena, e che potranno così liberamente tornare a avventarsi su di loro.
Quindi le vie percorribili sono due.
Rimanere, rimanere sottomesse e passive a quelli che credevano essere i loro compagni e fratelli, accettare il perdono e mantenere intatta la comunità e i suoi fragili equilibri, unico luogo che conoscono e da cui sono state definite, anche in queste nuove condizioni.
Oppure combattere, prendere in mano armi di fortuna e rispondere alla violenza con una furia che le protagoniste forse nemmeno sospettavano di avere dentro di sé, ma che è un’opzione più volte accarezzata per riuscire finalmente ad autodeterminarsi.
Oppure…
Fuga
Gli uomini possono andarsene?
Le protagoniste si trovano in una situazione del tutto nuova, in cui riscoprono il loro diritto di parola, il potere della stessa, e come questa può essere esercitata non solo contro di loro, ma contro gli uomini stessi.
Per una volta, insomma, queste donne che non avevano portato avanti nemmeno le più minuscole richieste, i più piccoli favori all’interno dell’universo domestico, realizzano il paradosso di intraprendere ora una richiesta così importante.
Perché, l’alternativa è scappare.
Questa prospettiva cresce progressivamente all’interno del gruppo, si rincorre nelle parole di queste donne spaventate e senza meta, tenute appositamente nell’ignoranza per depotenziarle…
…ma che al contempo cresce come consapevolezza di essere l’unica via possibile per continuare a vivere, trovandosi ormai in un punto di non ritorno, con una consapevolezza che non possono più ignorare.
E allora, di chi è la colpa?
Colpa
La colpa è di tutti.
Uno dei frangenti più interessanti del dialogo di Women Talking riguarda l’indagine della radice dello stupro, giungendo alla dramma consapevolezza di averne sempre avuto indizi sulla futura violenza sotto i loro occhi, come se la matrice della stessa fosse sempre stata insita nella colonia.
Per questo diventa ancora più importante capire come scrivere diversamente il futuro, come evitare che questa dinamica si ripeta, andando così a porre su un quesito per nulla semplice: quanto possono essere pericolosi i nostri stessi figli che muovono i primi passi verso pubertà?
Ne deriva un ritratto piuttosto sfumato e sorprendente di un’età imprevedibile e turbolenta, che si intreccia con la consapevolezza intergenerazionale di essere state passive davanti ad un dramma che si stava già consumando – e che era solo l’antipasto della violenza che ne è seguita.
E infine non ci rimane altro che vedere queste donne dirigersi verso un orizzonte incerto, senza aver bisogno di sapere altro sul loro futuro e sul loro eventuale fallimento, rinfrancandoci con la visione della loro definitiva autodeterminazione.