Con le grandi case di produzione che rincorrono sempre di più il pubblico, sfornando prodotti alla velocità della luce, aumentano anche le perplessità riguardo all’uso e all’abuso della CGI.
Ma la CGI è il vero problema?
Cos’è la CGI?
Partiamo dalle basi.
Cos’è la CGI?
La sigla letteralmente significa Computer-generated imagery, ovvero immagini generate al computer, un termine ombrello che include tutte le tecnologie utilizzate per creare e modificare elementi della scena in ambito cinematografico, televisivo e videoludico.
Per il cinema è impiegata per una grande varietà di utilizzi: dalla creazione di elementi da zero alla modifica dello spazio in cui gli attori si muovono.
Un esempio veramente indicativo di utilizzo della CGI nel cinema contemporaneo è La Sirenetta (2023), in cui le scene sott’acqua sono ricreate per la maggior parte degli elementi in digitale – compresi i capelli di Ariel:
Prima si stava meglio?
Esiste un mondo senza CGI?
La CGI cominciò a prendere piede negli Anni Settanta, a partire da Westworld (1973) e soprattutto con Una nuova speranza (1977). Tuttavia si trattava ancora di un uso limitato ad alcuni effetti speciali presenti in scena, molto diverso dal tipo di applicazione che vediamo nei blockbuster moderni.
Per esempio, ecco il dietro le quinte di Episodio IV:
E invece il dietro le quinte di Captain America – Civil War (2016):
La differenza è sostanziale.
Per le produzioni precedenti al Duemila tendiamo a ricordare principalmente la grande inventiva di grandi autori nel creare, anche senza un uso massiccio della CGI, delle sequenze incredibili: è il caso per esempio di quella meraviglia di Terrore dallo spazio profondo (1978):
Oppure quel capolavoro di effettistica di The Thing (1982)
O anche, andando un po’ più avanti nel tempo, l’acclamato reparto trucco per gli orchi di Il Signore degli Anelli (2001 – 2003):
Ma esiste anche un lato più oscuro.
Il lato oscuro
Accanto a ottime prove di autori capaci di creare prodotti indimenticabili con poca o nessuna CGI, non mancano nel tempo dei risultati molto più sfortunati in questo senso.
Un esempio di utilizzo assai improprio della CGI lo possiamo trovare nel sequel del cult La Mummia (1999), ovvero il ben più sfortunato La Mummia – Il ritorno (2001), con l’indimenticabile – ma per i motivi sbagliati – Re Scorpione interpretato da The Rock:
Ma un utilizzo veramente drammatico della CGI lo troviamo saltando avanti di una decina d’anni, con Lo Hobbit – La desolazione di Smaug (2013), nello specifico nell’uso nauseante che ne è stato fatto per la Città del Lago:
Ma il caso più eclatante degli ultimi anni è stato sicuramente Cats (2019), con cui prendiamo un treno in direttissima per la uncanny valley:
Non ci credo!
Soffermiamoci un momento sul concetto di uncanny valley.
Nell’uso più semplicistico, il termine indica una sensazione di disturbo, perturbamento, del trovarsi davanti ad una scena che non ci appare familiare, ma che contiene elementi – anche non spiegabili sulle tulle – che ci portano a respingerla.
Parlando dalla CGI banalmente si tratta di quei momenti in cui, per un motivo o per un altro, non riusciamo a credere a quello che vediamo sullo schermo, perché ci appare bizzarro, oppure perché non riusciamo banalmente non riusciamo proprio a crederci…
Un esempio tristemente noto è la ormai celebre scena della baby shower in The Flash (2023):
Qui e in altri momenti del film proviamo involontariamente questa sensazione di straniamento, proprio perché la CGI è resa molto male, in particolare nei bambini – che ovviamente non sono veri – che sembrano dei modelli 3D mai finiti, ma provenienti indubbiamente da un gioco per la PS2.
Ma perché succede questo?
Prodotto, non film
Come abbiamo visto non mancano anche esempi più lontani nel tempo di produzioni poco consapevoli o semplicemente di tecniche molto approssimative. Quindi sarebbe poco onesto affermare che il cinema ha preso semplicemente la strada più buia e non ci sia più possibilità di tornare indietro o di correggere queste tendenze.
Tuttavia è indubbio che sia giusto condannare questa corsa pazza delle grosse produzioni per portare in sala il maggior numero di prodotti possibili, andando però in questo modo ad imporre delle tempistiche impossibili e così dei risultati scadenti.
Perché, come è emerso negli ultimi tempi, le major stanno diventando sempre più impositive e spietate, arrivando a stressare in maniera impossibile gli attori, ma soprattutto i professionisti degli effetti speciali, che non si trovano in grado di poter fare il loro lavoro adeguatamente.
E così ci troviamo con modelli non finiti in The Flash (2023), errori di montaggio in Secret invasion (2023) ed effettivi incubi in Antman and the Wasp: Quantumania (2023):
Due strade
Nel panorama attuale, secondo me ci sono due strade possibili.
La prima strada percorribile a mio parere non prevede l’abolizione totale della CGI – anche perché non sarebbe realistico – ma piuttosto un utilizzo più consapevole, sia nei modi che nei tempi.
Si possono nominare due esempi piuttosto recenti in questo senso: anzitutto la trilogia prequel de Il pianeta delle scimmie, nello specifico Dawn of the Planet of the Apes (2014) e War for the Planet of the Apes (2017).
In entrambi i casi troviamo un superbo uso della CGI, sia per l’utilizzo di un’ottima motion capture con grandi professionisti del settore, sia in generale con una grande cura nella resa visiva delle scimmie protagoniste:
E ovviamente non si può non nominare l’ultima fatica di Cameron, con Avatar – La via dell’acqua (2022), che ha raggiunto nuovi livelli di perfezione tecnica nella creazione di un mondo e personaggi quasi del tutto in digitale:
La seconda strada percorribile è premiare maggiormente quelle produzioni o quegli autori che si impegnano per portare una proposta diversa e più originale, non per forza legata alla CGI.
Ne è un esempio Barbieland in Barbie (2023) – totale reale e ricreata in studio – Oppenheimer (2023) – le esplosioni non sono ricreate in digitale – ma anche Dune (2021), per cui il regista Villeneuve ha insisto per girare in un effettivo deserto:
Senza dimenticare ovviamente Del Toro, le cui creature immaginarie sono spesso interpretate dal suo attore feticcio Doug Jones, con costumi e trucchi reali e pochissima CGI utilizzata, come in La forma dell’acqua (2017):
Insomma un futuro di una CGI più consapevole non solo è possibile, ma in alcuni casi è già reale.