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The Sandman – Al limite

The Sandman è una serie Netflix di recente uscita, tratta dalla graphic novel omonima di Neil Gaiman. Un autore che è diventato molto popolare negli ultimi anni: le sue opere sono state il punto di partenza per diversi prodotti seriali, fra Lucifer e American Gods, con risultati altalenanti.

Io sono stata impressionata dalle capacità narrative di Gaiman fin da Coraline (2002), prodotto che è riuscito a traumatizzarmi sia per il lungometraggio animato che per la sua controparte cartacea.

Tuttavia, ero in grande dubbio sulla riuscita di questo prodotto, per la poca soddisfazione che mi aveva dato Lucifer, e pure American Gods a lungo andare. Ma soprattutto ero scettica visto il tipo di produzione che c’era dietro, quella di Netflix, non sempre propriamente associata a prodotti di qualità.

Invece, sono rimasta sorpresa.

Alla fine della recensione troverete anche un interessante approfondimento dedicato al confronto col fumetto, scritto da una mia cara amica appassionata dell’opera di Gaiman.

Di cosa parla The Sandman?

Sandman è un’entità con vari nomi (Sogno, Morfeo…), che presiede il mondo dei sogni e degli incubi. Dovrà scontrarsi con diverso nemici, anche a lui molto vicini, con vicende quasi antologiche che ci accompagneranno nella scoperta del suo personaggio.

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di guardare The Sandman?

Tom Sturridge in una scena di The Sandman, serie tv Netflix tratta dall'omonima graphic novel di Neil Gaiman

Decisamente sì, e lo dico da persona che è rimasta sinceramente sorpresa vedendo la serie. Infatti, come anticipato, dopo essere rimasta abbastanza scottata dalla deriva di Lucifer e dalla discreta delusione di American Gods, non ero del tutto sicura che mi sarebbe piaciuta e non avevo un reale interesse.

E invece è un prodotto che è stato capace di gestire nel migliore dei modi la materia originale, sotto l’occhio esperto di Gaiman, con davvero poche sbavature. Aspettatevi quindi una serie che ha alcuni elementi in comune con gli altri prodotti precedentemente citati, ma che è su un livello decisamente più alto.

Vivere al limite

Tom Sturridge in una scena di The Sandman, serie tv Netflix tratta dall'omonima graphic novel di Neil Gaiman

Per la maggior parte della serie io ero abbastanza tesa, perché avevo già visto come la materia di Gaiman, con il suo incontro fra mitologia e modernità, se trattata malamente, potesse sfociare nel trash più becero.

E non aiutava l’estetica, del tutto peculiare, che rimanda ad un immaginario molto tipico della serialità degli Anni Novanta e primi Anni Duemila, dove tutto sembrava finto e posticcio.

E invece la produzione di The Sandman si ferma sempre al punto giusto, raccontando un immaginario interessante e mai eccessivo, con fra l’altro degli ottimi effetti speciali, anche in questo caso con pochissime sbavature.

Una conduzione peculiare

David Thewlis in una scena di The Sandman, serie tv Netflix tratta dall'omonima graphic novel di Neil Gaiman

Allo stesso modo mi ha sorpreso la modalità della narrazione: un’abile gestione di una trama sia orizzontale (ovvero della storia complessiva) che verticale (quasi autoconclusiva per alcuni episodi). La storia è gestita con piccoli archi narrativi che arricchiscono il world building e che portano avanti la storia in maniera complessivamente molto organica.

La serie di fatto racconta la caduta e la rinascita di Morfeo, ma al contempo la arricchisce con una serie di vicende più o meno secondarie, e con una carrellata di personaggi uno più interessante dell’altro. Fra tutte, ho particolarmente apprezzato la puntata 24/4 con David Thewlis, attore che fra l’altro mi piace moltissimo. Ma anche lo scontro fra Sogno e Lucifero in A Hope in Hell, e così anche la puntata The Sound of Her Wings dedicata a Morte.

Purtroppo mi ha un po’ meno convinto l’arco narrativo finale, con protagonista Rose. Infatti, davanti alla grande originalità del prodotto, gli ultimi tre episodi li ho trovati scorrere su binari più prevedibili e consolidati, che non sono riusciti a conquistarmi.

Un protagonista in divenire (e la sua spalla)

Tom Sturridge in una scena di The Sandman, serie tv Netflix tratta dall'omonima graphic novel di Neil Gaiman

La particolarità di The Sandman è che il suo protagonista è sempre in divenire, ma non in maniera forzata e poco organica, come accadrebbe in diversi prodotti di questo tipo. Sogno è per la maggior parte del tempo un personaggio immutabile ed etereo, soprattutto nei primi momenti della serie, in cui parla solo come voce narrante.

Tuttavia il suo confronto sia con gli umani sia con altre entità lo porta a mettersi alla prova, a dimostrarsi più volte fallibile, e, infine, a compiere un interessante arco evolutivo. L’attore, poi, sembra nato per il ruolo.

Molto indovinata anche la sua spalla, Matthew, che vive in funzione dello spettatore, per fare le giuste domande e per permettere ai personaggi di spiegarsi su cose che già sanno, senza che questo risulti forzato o didascalico.

Personaggi iconici

In The Sandman si vedono personaggi che fin dalla prima apparizione sono perfettamente identificabili e iconici. Anzitutto Lucifero, che ovviamente non può essere identificato con un genere, e che quindi si è scelto di far interpretare da un’attrice dai tratti androgini.

Una figura che si discosta dall’estetica del fumetto (ispirata a David Bowie), avvicinandola più che altro all’estetica del putto barocco, con un contrasto assolutamente vincente fra la sua eleganza angelica e la minaccia delle sue imponenti ali nere.

Ma la punta di diamante è stato sicuramente Desiderio: appena è apparso in scena, non ho avuto dubbi di chi si trattasse, tanto era convincente la sua estetica. Fra l’altro la produzione ha avuto l’ottima pensata di castare un interprete non-binary e che già di suo abbraccia l’estetica del suo personaggio.

Un andamento positivo, che vede uno spiraglio per questi interpreti anche nelle produzioni statunitensi, come già visto in Euphoria con Hunter Schafer, per cui è stata fatta un’operazione molto simile.

Il significato del sogno in The Sandman

Una delle colonne portanti della serie è il concetto di sogno, ben più ampio di quello che ci si potrebbe immaginare.

Il sogno non è solo quello in cui ci si immerge quando si dorme, ma un elemento fondamentale per l’umanità, da viva e da morta.

Infatti gli umani da vivi, se non avessero un sogno, quindi una speranza da inseguire, non avrebbero più volontà di vivere. E così i serial killer nella penultima puntata, privati del loro sogno di essere le vittime, si rendono conto della loro condizione bestiale ed egoistica, e si tolgono la vita o si costituiscono.

Ancora più interessante come viene raccontato nella puntata A Hope in Hell, quando Dream ricorda a Lucifero che i suoi dannati, se non sognassero il paradiso, non soffrirebbero più la loro condizione.

Un concetto potente e interessante.

Due parole sulla puntata bonus di The Sandman

La puntata bonus di The Sandman è stata un piccolo e gradito regalo per tutti gli spettatori che si sono appassionati alla serie. E fra l’altro un segnale molto positivo della produzione verso una a questo punto molto probabile seconda stagione.

Delle due storie ho sinceramente preferito la prima, anche se più stringata e veramente tanto surreale: un modo per raccontare i sogni dei gatti e delle possibilità della della malvagità umana. Il sogno per una sorta di paradiso dei gatti, più selvaggio ma anche più giusto, per certi versi.

Meno interessante a mio parere la seconda storia, Calliope: per certi versi mi è sembrato un more of the same della prima puntata, che non va particolarmente ad approfondire una tematica, ma ripropone questioni già ampiamente trattate nelle altre puntate.

Il confronto con il fumetto

The Sandman: quanto è fedele al fumetto?

Fin dall’uscita dei primi trailer della serie Netflix, si è parlato molto di affinità e differenze con il capolavoro a fumetti di Neil Gaiman, ma quanto è davvero fedele la serie all’opera originale e a cosa sono state dovute certe scelte?

Andando con ordine, ecco un’analisi di come sono stati rappresentati l’ambientazione, i personaggi e gli eventi in questa prima, riuscita stagione.

L’ambientazione

Le scelte estetiche dell’adattamento si rifanno molto ai telefilm di genere degli Anni Novanta, aspetto che chi leggeva il fumetto proprio in quegli anni non potrà non apprezzare. Nella storia originale, infatti, la fuga di Sogno raccontata nelle prime due puntate della serie avveniva in un tempo più o meno contemporaneo all’uscita del primo volume, tra l’88 e l’89.

Essendo però la serie di Netflix uscita il 5 agosto di quest’anno, a più di trent’anni di distanza, la scelta è stata quella di mantenere l’aspetto della contemporaneità  attualizzando gli eventi, dunque fondamentalmente spostando la fuga di Sogno di una trentina d’anni. Dal punto di vista narrativo questo ha permesso di aprire una piccola storyline [linea narrativa] sul personaggio di Alex Burgess, figlio del negromante Roderick Burgess, che perpetuerà la prigionia di Sogno dopo la morte del padre, coprendo quell’intervallo di trent’anni di differenza con la saga a fumetti.

Alex Burges

Il risultato è stato un buon compromesso tra l’esigenza di mantenere l’atmosfera originale – resa appunto tramite i richiami alla serialità di genere degli Anni Novanta – e l’esigenza invece di rendere l’opera il più possibile fruibile dagli spettatori odierni. Unica grande pecca: i fastidiosi effetti bagliore presenti dalla prima all’ultimissima scena della stagione: questi sono ripresi – bisogna concederlo – dalle copertine e dai numerosi artwork presenti nei fumetti originali, che univano fotografia e disegno con giochi di pattern e sovrapposizioni molto peculiari.

La resa su schermo però è tutt’altro che gradevole e restituisce impressioni ben diverse da quelle oniriche e astrattiste del fumetto, anzi, finisce per dare un’aria cheap [dozzinale] al prodotto, come se la produzione non avesse avuto abbastanza budget per i fondali. Questo a riprova del fatto che trasporre un’opera da un media all’altro dovrebbe richiedere più di un becero copia e incolla, ma di tradurne i linguaggi.

Lo stesso espediente o la stessa scelta estetica possono avere una resa del tutto diversa a seconda del media attraverso il quale sono veicolati, quindi alcune variazioni si rendono necessarie nelle trasposizioni per garantire certi standard di fruibilità, qualità e coerenza.

Questa stagione è ispirata ai primi due volumi (dal n.1 al n.16) del fumetto, che caso vuole siano anche quelli dalle ambientazioni più  concrete e terrene, ma se la serie continuerà – come spero – a seguire la trama dell’originale, dovrebbero esserci ambientazioni sempre più astratte e concettuali.

Vedremo come se la caveranno in quel caso.

I personaggi

Sogno nel fumetto The Sandman di Neil Gaiman

Tom Sturridge, il bravissimo interprete di Sogno, ha affermato che inizialmente avevano provato a dargli un look più fedele a quello del fumetto: capelli blu notte folti e sparati in ogni direzione, un cerone bianchissimo sul viso e le stelle negli occhi.

Sorpresone, il risultato era piuttosto ridicolo e poco organico. Tra l’altro, si tratta di un personaggio che viene introdotto al pubblico bloccato in una palla vetro, nudo, senza potersi muovere o parlare. La possibilità dell’attore di esprimersi attraverso espressioni facciali e piccoli movimenti del corpo – che diventa dunque estremamente importante – avrebbe rischiato di essere compromessa da un trucco pesante.

Hanno quindi continuato a provare trucchi e parrucchi diversi, senza trovarne uno convincente finché, a detta di Sturridge, non si sono resi conto che lui è già insanamente pallido, ha già i capelli molto scuri e, se lo guardi nel profondo degli occhi, puoi vedere il cosmo.

Non c’è bisogno di fare modifiche per farlo sembrare un essere eterno.

Gli altri

Sogno e Morte nel fumetto The Sandman di Neil Gaiman

Se su Sturridge non posso certo dissentire, sul personaggio di Morte ho invece qualche riserva in più. Se l’attrice Kirby Howell-Baptiste rende bene il carattere sicuro, dolce e affabile del suo personaggio, il costume non le rende giustizia, abbandonando i tratti mistici e punk del suo aspetto a favore di un’estetica che ricorda tanto un prodotto di scarsa qualità come l’adattamento di Shadowhunters.

Il maggiordomo di Sogno nel fumetto The Sandman di Neil Gaiman

Ci sono poi alcuni personaggi del cui casting si è parlato in termini di gender swap [scelta di cambiare genere a un personaggio] o presunto tale. Lucienne, aiutante di Sogno che si occupa della biblioteca nel palazzo dell’eterno, nel fumetto è un uomo bianco dall’aspetto vagamente elfico, mentre nella serie è interpretato dall’attrice nera Vivienne Acheampong, che riesce, a dispetto del phisique du role decisamente diverso, a rendere il personaggio in maniera fedelissima alla saga fumettistica, soprattutto nel suo rapporto con Sogno.

John Costantine nel fumetto The Sandman di Neil Gaiman

John Constantine nella serie diventa Johanna, questo a detta di Gaiman per rendere il personaggio più accessibile al pubblico di oggi, che potrebbe non avere con il personaggio originale, all’epoca del fumetto già molto popolare e titolare di una saga sua, la stessa familiarità che aveva il pubblico degli Anni Novanta.

Lucifer nel fumetto The Sandman di Neil Gaiman

Ultimo ma non ultimo il personaggio di Lucifero, che non avrebbe avuto senso far interpretare a Tom Ellis (interprete di Lucifer) per il mood [l’atmosfera] totalmente diversa della serie. È stata scelta invece la grandiosa Gwendoline Christie, già popolare per Game of Thrones. In questo caso, come ribadito dallo stesso Gaiman, non si può parlare di gender swap, perchè il Diavolo non ha genere. Per chi non conoscesse il fumetto, Lucifero è disegnato con le fattezze di David Bowie: prendere il testimone da un’icona del genere non dev’essere facile, ma per noi l’attrice ha raggiunto l’obiettivo.

Gli eventi

La serie è incredibilmente fedele alla trama dei fumetti, la differenza maggiore è la proroga di 30 anni della prigionia di Sogno, che apre una piccola digressione sul figlio del suo carceriere, Alex Burgess.

C’è poi un evento che non è stato gestito benissimo, ma costituisce uno spoiler che non raccomanderei a chi non abbia visto la serie, quindi andate avanti a leggere a vostro rischio e pericolo.

Si tratta della questione della gravidanza di Unity Kinkaid, che da come viene descritta nella serie sembrerebbe essere originata da un concepimento avvenuto in sogno, come nel caso di Lytha Hall, l’amica di Rose. Nel fumetto è invece chiaro come questo sia stato purtroppo originato da uno stupro.

In ultimo chiudiamo con un interessantussimo video in cui Neil Gaiman commenta il trailer della serie e racconta dei retroscena della produzione: